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Parte III: Analisi del discorso pubblico

11. Evoluzione della legge sull'aborto in Polonia

11.7 L'adesione all'Unione Europea e l'eccezione culturale

I preparativi per l'ingresso nell'Unione europea si svilupparono in parallelo al processo di democratizzazione: il governo polacco inviò la domanda nel 1994 e cominciò i negoziati nel 1998. Il periodo di più intenso dibattito sull'ingresso in UE si ebbe in occasione delle elezioni parlamentari del 2001, in cui gli “euroscettici” promossero l'immagine della Polonia come una nazione morale con valori cattolici. Sull'altro schieramento, gli “euro-entusiasti” facevano appello a ragioni economiche e parlavano dell'ingresso in UE come del ritorno della Polonia “al dovuto posto nel cuore dell'Europa” (Szczerbiak, 2004: 678, 686). Il dibattito attorno all'ingresso nell'Unione Europea, come quello relativo alla legislazione sull'aborto, finì per essere essenzialmente sulla definizione di “polonità” e sul processo di normalizzazione, con partiti e popolo divisi in due fazioni con idee opposte sulla quantità e qualità di influenza europea accettabile nel paese. Una parte sottolineava che la Polonia doveva “unirsi” all'Europa e diventare liberale e market-oriented; l'altra sosteneva che la Polonia era sempre stata in Europa e sventolava un particolare ramo di “europeanità” basato su una tradizione di Cattolicesimo e di orientamento verso i valori familiari (Keinz, 2011). La dicotomia Polak/Katolik divenne oggetto di contesa per coloro che consideravano l'Unione Europea e l'Europa occidentale come irreligiose e quindi innaturali per la Polonia. La forte opposizione di Papa Giovanni Paolo II all'aborto

continuò per tutto il processo di negoziazione per l'ingresso della Polonia in UE. Nella sua enciclica Evangelium Vitae (1995), il Papa oppose la “cultura della morte” alla “cultura della vita”, descrivendo questo contrasto come «uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita» e ricordò ai cattolici il loro coinvolgimento nella lotta, «con l'ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita». L'enciclica giocò nuovamente nelle mani dei conservatori e degli euroscettici, che si affrettarono a descrivere l'Europa occidentale e l'Unione Europea come irreligiose e moralmente inferiori se non degenerate per l'approccio relativamente liberale sui temi della sessualità e dell'aborto. I criteri di accesso all'UE furono considerati in diretto contrasto con le tradizioni nazionali religiose e sociali (Girvin, 1996)244.

11.8 2001-2005: la mobilitazione pubblica

Nel settembre del 2001 l'allineamento governativo cambiò nuovamente: una coalizione di partiti di sinistra (Alleanza di Sinistra Democratica – Sojusz Lewicy Demokratycznej e Unione dei Lavoratori – Unia Pracy) vinse le elezioni parlamentari, ottenendo quasi la metà dei seggi del

Sejm e la vasta maggioranza del Senato. Nonostante le ripetute promesse in campagna elettorale

di liberalizzare la legislazione sull'aborto, dichiarando che questa modifica era uno dei principi del loro programma politico (Rzeczpospolita, 20 settembre 2001), dopo la vittoria i leader della coalizione si astennero dal presentare qualunque proposta al riguardo. Il primo ministro Leszek Miller, all'inizio del proprio mandato, affermò che l'attenzione del governo era focalizzata sulla chiusura dei negoziati con la Commissione Europea e l'ingresso della Polonia nell'Unione Europea. La coalizione al governo, dopo aver guadagnato il sostegno dell'Episcopato polacco

244Radio Maryja e il gruppo mediatico ad essa riferito si fece protettrice dell'identità e della tradizione polacco- cattolica, dipingendola pubblicamente come messa in pericolo dalle influenze occidentali e mettendo in atto una sostenuta campagna contro l'adesione all'Unione Europea, che divenne uno degli argomenti principali discussi nel periodo sulle pagine di Nasz Dziennik. Si parlava a questo proposito di “internazionalismo” europeo, paragonandolo a quello propagato dall'URSS. I sacerdoti che si esprimevano a favore dell'ingresso in UE erano accusati di aver “dimenticato le proprie radici”, a causa dell'atmosfera di “internazionalismo comunista” in cui erano cresciuti e che aveva corrotto il loro pensiero. Si sottolineava anche che l'Europa si integra “nello spirito liberale e Massone, e non nello spirito Cristiano”. Anche dopo l'adesione della Polonia all'Unione Europea nel 2004, le influenze liberali provenienti da questa e dall'occidente in generale non smisero di essere fortemente criticate. Estratti dei discorsi di Padre Rydzyk sono consultabili a: http://rm.radiomaryja.pl.eu.org/wypow.htm. Sull'opposizione del gruppo di Radio Maryja all'Unione Europea, Ireneusz Krzemiński sottolinea che non solo la religiosità degli utenti di (e partecipanti a) questo gruppo è connessa integralmente ai propri sentimenti nazionali, ma anche che la loro identità nazionale è spesso definita tramite l'opposizione storica alle popolazioni confinanti di religione diversa (Krzemiński, 2009: 127). L'Europa era quindi resa inaccettabile anche dalla forte posizione in essa ricoperta dalla Germania.

relativamente a quest'ultimo tema, decise di non riaprire la discussione politica sulla questione dell'aborto per non perdere l'appoggio della chiesa, che aveva ufficialmente incoraggiato i cattolici a prendere parte nel referendum per l'ingresso in UE (Limanowska, 2002).

Questa decisione fu oggetto di proteste da parte delle organizzazioni femministe durante il

Manifa, una manifestazione organizzata annualmente nelle principali città polacche. Nel marzo

del 2002 il raduno ebbe due slogan: “Mia vita, mia scelta” (moje życie, mój wybór) e “Tre volte sì” (trzy razy tak, spesso abbreviato in 3×TAK) (Erbel, 2008). In aggiunta, cento famose donne polacche, incluso il premio Nobel per la letteratura Wisława Szymborska e la regista Agnieszka Holland, scrissero una lettera indirizzata al Parlamento Europeo, alla Commissione per la parità, all'Episcopato polacco e al primo ministro Leszek Miller, in cui protestavano contro il supposto “accordo” fra il governo e la Chiesa245. Il testimone venne quindi raccolto dal PGK, coordinato

dalla professoressa Joanna Senyszyn della SLD, che decise di stendere una proposta di legge per la legalizzazione dell'aborto246. La bozza si proponeva anche di sostituire nuovamente il termine

“nascituro” con “feto” nei testi legali e definiva concetti come: contraccezione, esami prenatali, interruzione di gravidanza, con lo scopo di ristabilire per loro un uso meno ideologico (Federacja

na Rzecz Kobiet i Planowania Rodziny, 2004). Vi si prevedeva inoltre l'introduzione

dell'educazione sessuale e riproduttiva obbligatoria nel curriculum scolastico. Nel novembre del 2004 il progetto fu dichiarato costituzionale dalla commissione legislativa e passò alla camera, ma nel gennaio del 2005 il Sejm decise di non discuterla (Federacja na Rzecz Kobiet i

Planowania Rodziny, 2004b e 2005). Il rifiuto della possibilità di modificare la rigida legislazione

sull'aborto rifletteva l'idea politica generale che la legge del 1993 fosse un “compromesso sociale” che il governo socialdemocratico non cercò di rinegoziare.

Allo stesso tempo, il governo polacco si oppose alla proposta di risoluzione del Parlamento Europeo sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi del luglio 2002 che al punto 12 «raccomanda che, al fine di salvaguardare la salute e i diritti riproduttivi femminili, l'aborto debba essere legale, sicuro e accessibile a tutti»247. Inoltre, durante la fase finale dei negoziati con l'Unione

Europea, il governo – come risultato della petizione dell'Episcopato polacco – stava discutendo un'ulteriore clausola al trattato di adesione, simile al Protocollo nr. 35 sull'articolo 40.3.3 della

245Fonte: The Network for East-West Women.

246La bozza riconosceva il diritto dei cittadini all'autonomia nelle decisioni nel campo della procreazione, prevedeva per le donne il diritto ad abortire (senza alcun requisito specifico) fino alla dodicesima settimana di gravidanza, mentre dopo questo periodo era possibile solo se la gravidanza era il risultato di un crimine, se poneva seri rischi alla vita o alla salute della donna, o se il feto era soggetto a serie malformazioni.

247Consultabile a:

http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A5-2002- 0223+0+DOC+XML+V0//IT

Costituzione irlandese248. Questo protocollo proteggeva il rigido divieto di aborto irlandese da

qualunque interferenza europea (Adam e Tizzano, 2014), ma era di significato simbolico piuttosto che politico, poiché la legislazione in tema di aborto resta una questione nazionale e non ricade nei poteri legislativi europei. L'UE può emettere raccomandazioni, ma non può imporle agli stati membri. Alla fine il protocollo non fu aggiunto al trattato di adesione polacco (Brzeziecki e Flak, 2003), ma il governo chiese all'UE di escludere la risoluzione del Parlamento sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi dalla lista dei testi da accettare, richiesta che venne però respinta (Laurant, 2007). Nonostante le critiche, l'ingresso della Polonia in UE nel 2004 vide la legge del 1993 intoccata, considerata come “eccezione culturale”249. Il richiamo all'eccezione culturale era

in linea con la tendenza eccezionalista a considerare la famiglia come l'istituzione che assicura continuità con il passato, soprattutto in momenti di profondi cambiamenti sociali.

Negli anni successivi, il movimento pro-life guadagnò un sostegno sempre crescente, favorendo l'ingresso nella coalizione governativa 2005-2007 della Lega delle Famiglie Polacche (Liga Polskich Rodzin – LPR). Nel 2007, questo partito introdusse una proposta di emendamento costituzionale per garantire la protezione della vita umana dal momento del concepimento (quindi un effettivo divieto assoluto di aborto) (Nowicka, 2008). L'iniziativa fu respinta, ma nel maggio del 2011 si ebbe un secondo tentativo di vietare completamente l'interruzione volontaria di gravidanza. Anche questa proposta fu respinta, grazie al voto contrario di 5 membri del parlamento. La posizione dei sostenitori del movimento pro-vita in parlamento è riassunta nelle parole di Marcin Libicki, tre volte eletto al Sejm e membro del Parlamento Europeo dal 2004 al 2009, che dichiarò in un'intervista: «Non puoi obbligare una donna a rimanere incinta, ma quando lo è, credo, possiamo [obbligarla a partorire]. Dopo il concepimento il bambino ha bisogno di protezione»250. Da queste affermazioni traspare una certa oggettivizzazione della donna incinta,

intesa durante la gravidanza come “portatrice” del feto.

Un'interessante produzione documentale dei gruppi pro-vita è il materiale pubblicato dalla Fondazione “Voce per la Vita (Głos dla Życia) della federazione polacca del movimento pro-life. Il documento, del 2009, è intitolato “Come la legge protegge la vita: la via polacca alla legge sul 248Protocollo allegato dalle Alte parti contraenti al Trattato sull'Unione Europea e ai Trattati istitutivi delle Comunità europee del febbraio 1992, in cui si afferma che niente di quanto contenuto in questi Trattati influenzerà l'applicazione in Irlanda dell'articolo 40, paragrafo3, terzo comma della Costituzione irlandese. L'articolo in questione recita: «The State acknowledges the right to life of the unborn and, with due regard to the equal right

to life of the mother, guarantees in its laws to respect, and, as far as practicable, by its laws to defend and vindicate that right» (Lo Stato riconosce il diritto alla vita del nascituro e, con il dovuto riguardo all'eguale diritto

di vita della madre, garantisce nelle sue leggi di rispettare e, per quanto possibile, tramite le sue leggi di difendere tale diritto). Il protocollo è consultabile a http://europa.eu/pol/pdf/consolidated-treaties_it.pdf, p. 321.

249Ossia una deroga al principio del libero mercato, finalizzata a proteggere l’identità e le specificità di una cultura dal rischio di una progressiva convergenza verso un modello culturale unico

diritto alla vita”251. In esso, il movimento pro-vita descrive la Polonia come il primo paese che, in

condizioni democratiche, ha rifiutato la legislazione che permette l'aborto e l'ha sostituita con una orientata alla vita. Secondo l'argomentazione del movimento pro-vita, questo costituisce un precedente che prova che la legalità dell'aborto non è un requisito di civiltà e auspica la nascita di un nuovo trend nella legge sull'interruzione di gravidanza in tutto il mondo. Il documento prosegue tracciando un legame diretto fra la lotta antiabortista e l'autorità della Chiesa Cattolica, particolarmente nella persona di Papa Giovanni Paolo II. Si afferma infatti che il numero di interruzioni volontarie di gravidanza effettuate in Polonia cominciò a calare dall'inizio degli anni '80, grazie all'attività della Chiesa Cattolica sotto la guida papale. Parallelamente, la salute delle donne è migliorata, grazie all'assenza di complicazioni causate dagli interventi. Infine, si dichiara che sebbene sia molto difficile stimare il numero reale di aborti illegali praticati in Polonia, “non c'è prova che questo numero sia alto. Al contrario, l'assenza degli effetti collaterali indotti dall'aborto […] indica che l'aborto non è veramente un problema sociale”. Quest'argomentazione in particolare delegittima le affermazioni avanzate dalla Federazione per le donne e la pianificazione familiare e dalla branca polacca di Planned Parenthood, o in generale dal movimento pro-choice, esplicitamente accusato di diffondere informazioni false: “[a]ffermazioni di questo tipo mancano di ogni base sostanziale e sono dirette a disinformare il pubblico, oltre che a minare la legge anti-aborto (sic), il suo scopo e la sua utilità”.