Parte III: Analisi del discorso pubblico
8. L'eccezionalismo polacco e la figura della Matka Polka
9.4 La costruzione sociale dei ruoli di genere
Ewa Nowicka (2007) suggerisce un interessante framework di riferimento per analizzare la realtà dei diritti riproduttivi in Polonia: osservare la relazione esistente fra individuo e comunità all'interno della società. Secondo l'autrice, la ragione principale per cui le donne polacche hanno sperimentato difficoltà così grandi relativamente al proprio diritto alla salute riproduttiva è legato a una generale scarsa accettazione e considerazione del concetto di diritti individuali della donna, 196Il Center for Reproductive Righs è un'organizzazione non a scopo di lucro con sede centrale a New York e distaccamenti plurimi (Washington, Bogotà, Nairobi, Kathmandu, Ginevra) che si spende per la libertà riproduttiva. Per un approfondimento della loro missione, si rimanda a http://www.reproductiverights.org.
visti come subordinati ai diritti della famiglia e, più in grande, della società. L'argomento avanzato da Ewa Nowicka si richiama alla centralità della figura della Matka Polka ed è il seguente: poiché la Polonia è una società patriarcale, la funzione riproduttiva della donna non è considerata una questione individuale, ma piuttosto come un contributo alla crescita della comunità, che ha quindi il diritto di controllarla. È quindi la funzione riproduttiva stessa a costituire la base per la subordinazione femminile. È ancora molto forte nella società l'idea della “maternità eroica” tipica del diciannovesimo secolo, che ha elevato le donne alla posizione di eroine nazionali subordinandole però allo stesso tempo in una posizione di sacrificio al bene della comunità. Questo “culto della femminilità”, come già accennato, è stato internalizzato da molte delle donne polacche e continua ad influenzarle, scoraggiandole, fra l'altro, dal domandare attivamente i propri diritti (ibid.). Non bisogna tuttavia credere che il modello della “Madre Polacca” fosse sempre per le donne negativo, doloroso o limitante: al contrario, molte trovarono in esso soddisfazione e realizzazione personale. Tutto ciò rendeva particolarmente difficile per una donna realizzare le proprie ambizioni al di fuori della famiglia e della sfera domestica, poiché ogni tentativo in questo senso era visto come un tradimento sia della Chiesa sia della nazione (i due concetti erano talvolta intercambiabili).
Nel XX secolo, questo modello continuò ad esistere, ma assunse forme differenti. Gli argomenti sollevati dai politici di destra nei dibattiti parlamentari degli anni '90, in particolare, riprendono questa narrativa e contrappongono il diritto della donna (all'emancipazione, alla scelta) al diritto della famiglia e/o della comunità. Esaminando le minute dei lavori parlamentari, Ewa Nowicka (ibid.: 179-180) mostra che alcuni dei membri del Sejm197 (fra cui spicca Halina Nowina-Konopka198) presentavano nei dibattiti la donna come orientata quasi esclusivamente alla
casa, alla famiglia e alla maternità. Le loro aspirazioni di carriera e auto-realizzazione considerate come secondarie al ruolo principale di madre e le donne che non sposavano questo modello erano descritte come materialiste ed egoiste. Un'altra parlamentare, Wanda Sikora, durante un dibattito del 1992, affermò: «Se coltiviamo la libertà senza il dovere, se tolleriamo la promiscuità, domani ci ritroveremo con una generazione di egoisti». La sessualità femminile è quindi regolamentata e penalizzata, e intesa come condizionale al “prendersi le proprie responsabilità”. Tutto ciò nega sia l'esistenza di un qualunque interesse della donna (o quantomeno della donna non deviante) al di fuori della famiglia, sia, in parte come conseguenza, la possibilità di interrompere una gravidanza.
Le ideologie sposate dai parlamentari conservatori potevano essere ritrovate anche nella 197La camera bassa del parlamento polacco.
società nel suo insieme e appaiono radicate nella cultura polacca (Siemieńska e Marody, 1996). Secondo un sondaggio del 1989, il 79% degli intervistati riteneva che una donna debba avere figli per potersi sentire completa e riconoscere il proprio valore. Nelle zone rurali, dove il tasso di religiosità e l'influenza della Chiesa sono storicamente più elevati (si veda la seconda parte del presente lavoro, in particolare le Figg. 4 e 5 nel capitolo 6.2), la metà delle intervistate affermò che avere dei figli fosse obbligatorio per una donna sposata (Nowicka e Grabowska, 2000). L'atteggiamento della società non è cambiato sostanzialmente con il passare degli anni: studi del CBOS effettuati nel 2013 mostrano che una vasta percentuale di polacchi è del parere che avere una famiglia sia necessario per essere realmente felice (85%). Il benessere della famiglia è poi ampiamente indicato come valore fondamentale della vita quotidiana (convinzione espressa più frequentemente dalle donne che dagli uomini, rispettivamente 84% e 71%)199. Per quanto riguarda
l'importanza del lavoro domestico e il perseverare dell'idea, legata alla versione genderizzata dell'eccezionalismo polacco, che le donne in Polonia sono rispettate e “trattate con i guanti” a prescindere dallo stato di emancipazione, quasi tre quarti della popolazione (74%) dichiara di non fare distinzioni tra le donne a seconda del loro stato di occupazione200. Ulteriori indicatori degli
atteggiamenti e le aspettative culturali sono riscontrabili in due domande dell'ultima “ondata” della World Values Survey, in cui si chiedeva agli intervistati di indicare il grado di accordo con le seguenti affermazioni: (1) quando una madre lavora i figli soffrono201 e (2) essere una casalinga
è tanto realizzante quanto lavorare202. Sono d'accordo con queste affermazioni rispettivamente il
40.9% e il 34.2% degli intervistati, mentre sono contrari rispettivamente il 33.9% e il 43.8% (per tabelle e grafici si vedano, rispettivamente, Appendice 1, Tabb. 14-14.1 e 13-13.2 e Appendice 2, Figg. 12-12.1 e 11-11.1). Le differenze nelle percentuali non sono particolarmente marcate fra uomo e donna: rispettivamente il 43.6% degli uomini e il 38.5% delle donne è d'accordo con la prima affermazione, mentre il 30.9% degli uomini e il 36.6% delle donne non è d'accordo. Dal 1989 ad oggi, la percentuale di persone che si dichiarano fortemente d'accordo con questa affermazione è calata drasticamente (dal 58% al 18%). Fra la prima e la seconda ondata in cui questa domanda è stata posta (1989-1993 e 1999-2004), la percentuale di persone d'accordo con questa affermazione è cresciuta di 17 punti percentuale (dal 34% al 51%), per poi scendere di altri 199Fonte: CBOS BS/33/2013, “Rodzina – jej współczesne znaczenie i rozumienie” [Famiglia: comprensione e
significato contemporaneo].
200Fonte: CBOS BS/28/2013: “Kobieta pracująca” [Donna lavoratrice]. Da questo sondaggio emerge un'interessante distinzione nell'opinione riguardo alle donne lavoratrici fra gli uomini impiegati e quelli disoccupati o solo occasionalmente occupati. Mentre i primi ritengono che, in una famiglia con figli, le donne che lavorano portano alla vita familiare più perdite che guadagni, i secondi sostengono il contrario. La causa probabile è il fatto che in questo secondo caso le donne costituiscono la principale fonte di reddito.
201WVS 2010-2014, V50: When a mother works for pay their children suffer. 202WVS 2010-2014, V54: Being a housewife is just as fulfilling as working for pay.
10 punti percentuale nel decennio successivo. La percentuale di persone in disaccordo con l'affermazione ha invece mostrato un incremento lento ma abbastanza costante (dal 6% del 1989 al 34% del 2014). Anche per quanto riguarda la seconda affermazione, le differenze nelle risposte fra uomini e donne è di appena 6 punti percentuale: rispettivamente il 37.6% degli uomini e il 31.2% delle donne è d'accordo, mentre il 40.8% degli uomini e il 46% delle donne non è d'accordo. Anche l'evoluzione temporale delle risposte mostra caratteristiche simili al caso precedente: la percentuale di persone fortemente d'accordo con questa affermazione è sensibilmente calata dal 1989 ad oggi (dal 25% al 6%). La percentuale di persone che si dichiarano d'accordo è rimasta relativamente costante nel tempo, salvo un balzo di 10 punti percentuale registrato nella penultima ondata (2005-2009), attribuibile forse a un effetto post- ingresso UE; mentre le persone in disaccordo sono passate dal 31% al 44%.
Infine, in una recente ricerca sulle donne polacche emigrate nel Regno Unito, Bernadetta Siara riscontra che molte di esse citano le aspettative di genere fra le ragioni alla base della loro decisione di emigrare. L'autrice menziona in particolare due casi emblematici fra i soggetti da lei intervistati. Il primo è quello di una donna di trent'anni proveniente da una grande città della Polonia centrale. L'intervistata afferma di non avvertire nel Regno Unito le stesse pressioni sociali e culturali a cui era sottoposta in patria e che il trasferimento le ha dato la possibilità di scegliere lo stile di vita a lei più confacente, senza essere sollecitata a diventare una moglie e una madre. In Inghilterra, afferma, «vivi con un uomo senza essere sposata e non c'è la tradizionale divisione dei ruoli. Non c'è pressione per avere figli» (Siara, 2014: 135-136). Un'altra donna, di vent'anni, sostiene che «una donna deve sposarsi e avere figli, come se non fosse importante per se stessa. Deve avere un marito e dei figli e poi è realizzata. Se è senza figli, è come se fosse una vita sprecata, perché è irrealizzata» (ibid.). Queste affermazioni sono in linea con la teoria di Mirjana Morokvasic (2004), secondo cui le donne emigrano anche per sfuggire alle tendenze tradizionalizzatrici, che impongono aspettative specifiche su di loro in quanto donne. Queste pressioni sono state particolarmente presenti nella Polonia post-1989, quando i rappresentanti della Chiesa Cattolica e i partiti politici conservatori cercarono di ri-tradizionalizzare gli accordi e l'organizzazione di genere (Pascall e Kwak, 2005; Graff, 2008)203.
203Gli stereotipi e i pregiudizi relativi alla costruzione e alla divisione tradizionale dei ruoli di genere nella società e nei media polacchi (nonché sull'accesso effettivo all'educazione sessuale e a informazioni e metodi per la pianificazione familiare) ha sollevato a più riprese preoccupazioni da parte del comitato CEDAW (ONU). Il quotidiano cattolico Nasz Dziennik le ha descritte come “un attacco alla Polonia” (Szafraniec, 2007, 5 marzo).