5. LA TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE FINO ALL’AVVENTO DELLA L.
5.3 Gli obblighi comunitari di criminalizzazione: la direttiva
anticipato, ha subito in maniera consistente l’influenza del diritto comunitario.
195 L.SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., p. 526 ss..
196 M. RAIMONDO, La responsabilità degli enti per i delitti e le contravvenzioni ambientali: Godot è arrivato?, in www.penalecontemporaneo.it, p. 6.
Il diritto dell’ambiente costituisce la materia in relazione alla quale il processo di integrazione europea ha maggiormente inciso sul diritto penale. In particolare, il contributo delle fonti comunitarie si è estrinsecato attraverso due meccanismi: una c.d. influenza indiretta o riflessa, così chiamata in quanto essa è conseguenza non direttamente perseguita dall’intervento normativo comunitario, ed un’influenza diretta, che può esplicarsi attraverso diversi atti impiegati per veicolare le richieste comunitarie di tutela entro i confini nazionali.
Si parla di effetti indiretti (o riflessi) allorché una normativa comunitaria, contenuta in un regolamento o in una direttiva direttamente efficace, avente ad oggetto la disciplina di un settore normativo non penale rientrante tra le competenze delle istituzioni sovrannazionali, produce effetti su una norma penale interna, incidendo sulla definizione di elemento costitutivo della fattispecie o sull’intero precetto198. Tale forma di incidenza, c.d.
integratrice, può estrinsecarsi o attraverso il ricorso a elementi normativi implementati da norme di fonte europea o attraverso la tecnica del rinvio esplicito199. In ogni caso, varie possono essere le modalità di adeguamento e i paradigmi attraverso i quali le fonti di origine comunitaria possono interagire con fattispecie penali nazionali200.
Ai fini della nostra indagine ciò che più ci interessa è considerare gli
input normativi diretti di penalizzazione. In alcuni casi il legislatore
comunitario al fine di garantire efficacia alle normative adottate nelle materie di sua competenza, ha sollecitato direttamente interventi degli ordinamenti nazionali sul piano penale.
Già nel 1998 il Consiglio d’Europa con l’adozione della Convenzione sulla protezione dell’ambiente attraverso la legge penale, aveva perseguito l’obiettivo di implementare la protezione ambientale a livello europeo
198 R.SICURELLA, Diritto penale e competenze dell’Unione, Milano, 2005, p. 63 ss.. 199 A. BERNARDI, L’europeizzazione dei diritto e la scienza penale, Torino, 2004, p. 15 ss.. 200 Per un esame più completo degli effetti indiretti si rinvia a C. BERNASCONI, Il reato ambientale, cit., p. 98 ss..
attraverso il diritto penale, per scoraggiare ed impedire comportamenti nocivi per l’ambiente. La Convenzione intendeva armonizzare le legislazioni nazionali in materia, obbligando gli Stati Parti Contraenti ad introdurre delle sanzioni specifiche nel loro diritto penale o a modificare le disposizioni esistenti201.
Il tentativo, ispirato dalla preoccupazione per l’aumento dei reati contro l’ambiente e per le loro conseguenze, che sempre più frequentemente si estendono al di là delle frontiere degli Stati, non andò a buon fine, per l’insufficienza delle ratifiche ottenute, ma il percorso verso un’armonizzazione in materia era stato avviato. “Il testimone di lì a poco doveva essere raccolto dalle istituzioni comunitarie”202.
Il 27.1.2003 il Consiglio ha approvato la decisione quadro 2003/80/GAI, in base alla quale i governi nazionali avevano tempo fino a gennaio 2005 per adottare misure severe per arginare condotte lesive dell’ambiente. Da tale decisione derivava l’obbligo a carico degli Stati membri di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, comprendenti pene privative della libertà203.
Tale decisione venne successivamente annullata con sentenza dalla Corte di Giustizia (C/176/03)204. Alla base dell’intervento del giudice europeo, non vi era la questione dell’opportunità-necessità che tutti i paesi dell’Unione
201 A. L. VERGINE, L’Italia ha sottoscritto la Convenzione del Consiglio di Europa sulla protezione dell’ambiente mediante il diritto penale, in Dir. pubbl. comp. eur., 2001, p. 413. 202 G. DE SANTIS, La tutela penale dell’ambiente dopo il d.lgs. 121/2011 di attuazione della direttiva 2008/99/CE, in Resp. civ. prev., 2012, p. 669.
203 S. MARCOLINI, Decisione quadro o direttiva per proteggere l’ambiente attraverso il diritto penale?, in Cass. Pen., 2006, p. 244.
204 Corte giust grande sez., 12 settembre 2005, C-176/03, Commissione c. Consiglio, in Racc. giur. C. giust., 2005, p. 9097 ss.. Tra i commenti si segnalano: P. TORRETTA, Quando le
politiche comunitarie attraggono competenze penali: la tutela dell’ambiente attraverso il diritto penale in una recente decisione della Corte europea di giustizia, in Rass. dir. pubbl. eur., 2005, p. 227 ss.; F. VIGANÒ, Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario
e diritto penale, in Dir. pen. proc., 2005, p. 1433 ss.; R. BIANCHI, La tutela penale
dell’ambiente e la pronuncia della Corte europea del 13 settembre 2005, in Amb. & Svil.,
2006, p. 33 ss.; A. FAVALE, La comunità europea ha il potere di esigere che gli Stati membri
impongano sanzioni penali al fine di proteggere l’ambiente, in Dir. pubbl. comp. eur , 2006, p.
480 ss.; L. SALAZAR, La sentenza sulla protezione penale dell’ambiente, in Riv. giur. amb., 2006, p. 58 ss..; L. SIRACUSA, Tutela ambientale: Unione europea e diritto penale tra decisioni quadro e direttive, in Dir. pen. proc., 2006, p. 773 ss..
si dotassero di efficaci strumenti di repressione delle più gravi aggressioni delle risorse ambientali, ma un “bisticcio di competenze”, ossia la contestazione del fondamento giuridico prescelto per fronteggiare il preoccupante aumento dei reati contro l’ambiente. Tra gli strumenti a disposizione dell’Unione per la protezione dell’ambiente, infatti, da un lato si proponeva l’adozione di una decisione quadro, priva di efficacia diretta, riconducibile al terzo pilastro, espressione della cooperazione giudiziaria a livello intergovernativo; dall’altro, si sosteneva la competenza comunitaria piena, da esercitarsi con l’approvazione di una direttiva205.
La Corte di Giustizia, accogliendo il ricorso presentato dalla Commissione206 , ha ricondotto la tutela ambientale al primo pilastro, dischiudendo la possibilità di adottare strumenti normativi vincolanti in materia di illeciti ambientali. I giudici comunitari, in particolare, hanno valorizzato i c.d. poteri impliciti attribuiti alla Comunità per garantire efficacia alla normativa nelle materie di sua spettanza, ricomprendendo, tra questi, la possibilità di stimolare interventi degli ordinamenti nazionali sul piano penale, quando sia necessario in funzione di garanzia dell’effettività del diritto comunitario, pur riaffermando, alla luce del quadro normativo vigente, l’inesistenza di una competenza penale delle istituzioni comunitarie207.
205 S. MARCOLINI, Decisione quadro o direttiva per proteggere l’ambiente attraverso il diritto penale?, cit., p. 244 ss..
206 Con il ricorso la Commissione aveva invitato la Corte a considerare che il quadro normativo
di riferimento per l’adozione di atti aventi lo scopo di armonizzare le legislazioni degli Stati a protezione dell’ambiente dovesse rintracciarsi negli artt. 174, 175 e 176 Trattato CE. Il primo articolo elenca gli obiettivi della politica comunitaria in materia ambientale, destinati ad assicurare un elevato livello di tutela del bene; l’art. 175 Trattato CE definisce le procedure istituzionali da seguire per il conseguimento dei suddetti obiettivi; la terza disposizione, l’art. 176 Trattato CE, infine, in ossequio al principio di sussidiarietà comunitaria, consente agli Stati membri di adottare provvedimenti volti ad assicurare una protezione dell’ambiente maggiore di quella fornita dagli atti comunitari, purché non in contrasto con i principi comunitari. A giudizio della Commissione, le suddette norme costituivano la corretta base giuridica di riferimento per l’adozione di qualunque provvedimento avente lo scopo di garantire un elevato livello di tutela dell’ambiente, anche laddove esso, come nel caso considerato, mirasse ad armonizzare le normative nazionali di natura penale.
207 “In via di principio, la legislazione penale, così come le norme di procedura penale, non
rientrano nella competenza della Comunità (…) quest’ultima constatazione non può tuttavia impedire al legislatore comunitario, allorché l’applicazione di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali, costituisce una misura indispensabile di lotta contro violazioni ambientali gravi, di adottare provvedimenti in relazione al diritto
Con questa fondamentale sentenza, la Corte non solo è giunta a riconoscere che in sede di tutela dell’ambiente sono ammesse direttive di armonizzazione penale tese ad obbligare gli Stati membri a riavvicinare i diritti nazionali in vista di una migliore tutela dell’ambiente, ma ha anche enucleato un principio di diritto che trascende i confini del diritto ambientale, destinato ad incidere sull’assetto istituzionale dell’Europa, di cui per ragioni di economia espositiva possiamo solo far cenno. Si può rinvenire, infatti, l’introduzione in via giurisprudenziale della possibilità per il legislatore comunitario di adottare provvedimenti in materia penale, quando questi risultino strumentali all’efficace perseguimento delle proprie finalità istituzionali208. Per questa via,
senza passare prima per una modifica dei Trattati istitutivi, intervenuta soltanto in un secondo momento209, si è finito con l’attribuire una competenza penale
alle istituzioni europee, in grado di condizionare incisivamente la discrezionalità del legislatore nelle scelte punitive210.
In attuazione delle suddette statuizioni, è stata adottata la direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19.11.2008211. Con tale provvedimento normativo, per la prima volta, si è giunti ad ammettere, in vista dell’esecuzione di una determinata politica comunitaria - nella specie la
penale degli Stati membri e che esso ritiene necessari a garantire la piena efficacia delle more che emana in materia di tutela dell’ambiente”. Così, Corte giust., grande sez., 13 settembre 2005.
208 E. MEZZETTI, Gli obblighi comunitari di tutela penale in una recente pronuncia della Corte di Giustizia UE, in www.giustammm.it.
209 L’orientamento giurisprudenziale ha trovato conferma, a livello normativo, nel Trattato di
Lisbona. A venire in rilievo, in particolare, la previsione dell’art. 83 TFUE, che permetterebbe la regolamentazione, in sede europea, di specifici aspetti della disciplina penale sostanziale, quali, segnatamente, la fissazione di “norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni”. Si v. C. SOTIS, Le novità in tema di diritto penale europeo, in P. BILANCIA, M. D’AMICO (a cura di), La nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona, Milano, 2009.
210 P. TORRETTA, Il consolidamento della prospettiva del diritto penale comunitario (note a prima lettura sulla direttiva 2008/99/CE), in www.forumcostituzionale.it.
211 L. SIRACUSA, La competenza comunitaria in ambito penale al primo banco di prova: la direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2008, p. 263; M.
BENOZZO, La direttiva sulla tutela penale dell’ambiente tra intenzionalità, grave negligenza e
responsabilità delle persone giuridiche, in Dir. giur. agr. alim. e amb., 2009, p. 299 ss.; E. LO
MONTE, La direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente: una (a dir poco)
problematica attuazione, ivi, p. 231 ss.; S. MAGLIA, La tutela penale dell’ambiente, in Amb. &
Svil., 2009, p. 139 ss.; V. PLANTAMURA, Una nuova frontiera europea per il diritto penale, in
salvaguardia dell’ambiente - l’imposizione di precisi obblighi di tutela penale in capo agli Stati membri. Non è questa la sede per esaminare la complessità dei profili politico-istituzionali sottesi al riconoscimento della competenza comunitaria ad adottare atti contenenti obblighi di incriminazione a carico degli Stati membri212, per questa ragione ci limiteremo a esaminare il contenuto più strettamente giuridico della direttiva per i suoi riflessi nell’ordinamento interno, in una prospettiva di riforma del diritto penale dell’ambiente213.
La ratio giustificatrice della Direttiva è illustrata nel preambolo, che la definisce come una misura resasi necessaria al fine di fornire una risposta adeguata all’aumento dei reati ambientali, in ragione dell’incapacità degli Stati membri di contrastare efficacemente fattispecie dannose per l’ecosistema che, pur verificandosi all’interno dei loro confini, presentano implicazioni di più largo raggio, che si estendono oltre il territorio nazionale214. L’introduzione di regole comuni viene ritenuta “funzionale ad assicurare una più efficace tutela del bene ambientale avverso le forme di aggressione idonee a comprometterne in modo significativo le qualità e a riflettersi in forma di pericolo sull’incolumità collettiva”215.
La direttiva impone agli Stati membri uno standard minimo di tutela penale, limitato alle più “gravi violazioni delle disposizioni del diritto comunitario in materia di tutela dell’ambiente”216, lasciando ai singoli
ordinamenti la facoltà di valutare l’opportunità di ricorrere alla sanzione penale o, piuttosto, a sanzioni di natura amministrativa, per la violazione di mere inosservanze di prescrizioni del diritto comunitario in materia di tutela dell’ambiente, nonché facendo salvi i più elevati standard di tutela previsti
212 Si rinvia a A. BERNARDI, All’indomani di Lisbona: note sul principio europeo di legalità penale, in Quad. cost., 2009, p. 40 ss.; C. PAONESSA, Gli obblighi di tutela penale. La
discrezionalità legislativa nella cornice dei vincoli costituzionali e comunitari, Pisa, 2009; L.
SIRACUSA, La competenza comunitaria in ambito penale al primo banco di prova la direttiva
europea sulla tutela penale dell’ambiente, cit., p. 863-877.
213 A. L. VERGINE, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale, in Amb. & Svil., 2009, p. 5
ss..
214 L. SIRACUSA, L’attuazione della direttiva europea sulla tutela dell’ambiente tramite il diritto penale, in www.penalecontemporaneo.it.
215 A. GARGANI, La protezione immediata dell’ambiente, cit., p. 409. 216 Considerando n. 10, Direttiva 99/2008/CE.
negli Stati membri. La strada indicata è quella del rafforzamento delle discipline criminali nazionali secondo un modello che esalti la funzione dell’evento di danno ambientale o almeno di pericolo concreto217.
L’art. 3 (lett. a-i), della direttiva individua nove tipologie di condotte gravemente offensive dell’ambiente218 che se “illecite e poste in essere
intenzionalmente o quantomeno per grave negligenza” devono essere punite
come reati dai singoli Stati, con “sanzioni penali efficaci, proporzionate e
dissuasive” (art. 5), la cui determinazione è riservata alla competenza dei
legislatori nazionali.
Pur non precludendo al legislatore nazionale la possibilità di anticipare la soglia di tutela sul piano del pericolo astratto, la direttiva in relazione ad alcune delle
217 G. HEINE, Recenti sviluppi e principali questioni del diritto penale dell’ambiente in Europa,
in Riv. trim. dir. pen. econ., 2011, p. 105 ss..
218 Art. 3. Infrazioni. “Ciascuno Stato membro si adopera affinché le seguenti attività, qualora siano illecite e poste in essere intenzionalmente o quanto meno per grave negligenza, costituiscano reati: a) lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora; b) la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento di rifiuti, comprese la sorveglianza di tali operazioni e il controllo dei siti di smaltimento successivo alla loro chiusura nonché l’attività effettuata in quanto commerciante o intermediario (gestione dei rifiuti), che provochi o possa provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora; c) la spedizione di rifiuti, qualora tale attività rientri nell’ambito dell’articolo 2, paragrafo 335, del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti, e sia effettuata in quantità non trascurabile in un’unica spedizione o in più spedizioni che risultino fra di loro connesse; d) l’esercizio di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nelle quali siano depositate o utilizzate sostanze o preparazioni pericolose che provochi o possa provocare, all’esterno dell’impianto, il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora; e) la produzione, la lavorazione, il trattamento, l’uso, la conservazione, il deposito, il trasporto, l’importazione, l’esportazione e lo smaltimento di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora; f) l’uccisione, la distruzione, il possesso o il prelievo di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie; g) il commercio di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette o di parti di esse o di prodotti derivati, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie; h) qualsiasi azione che provochi il significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto; i) la produzione, l’importazione, l’esportazione, l’immissione sul mercato o l’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono”.
condotte descritte all’art. 3 impone, da un lato, sanzioni più severe quando per l’inosservanza della normativa amministrativa ambientale, “provochino o
possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone”, dall’altro,
l’introduzione di fattispecie incriminatrici concretamente lesive del bene ambiente qualora il danno rilevante sia arrecato “alla qualità dell’aria, alla
qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora”219.
L’art. 4 della direttiva richiede la punizione come reati del favoreggiamento o dell’istigazione a commettere intenzionalmente le attività di cui all’art. 3. Da ultimo, la direttiva impone agli Stati membri di provvedere “affinché
le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati di cui agli artt. 3 e 4” (art. 6) e di adottare “le misure necessarie affinché le persone giuridiche dichiarate responsabili (…) siano passibili di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive”220.
Le infrazioni previste sono tipizzate in base al duplice requisito della illiceità e della potenzialità offensiva delle condotte punite. Il requisito dell’illiceità consiste nella realizzazione del fatto in violazione della normativa extrapenale o in violazione della legislazione e dei provvedimenti amministrativi che gli Stati membri adottano in attuazione della normativa europea221. Il requisito dell’illiceità amministrativa soddisfa le finalità di collegare l’intervento penale all’attuazione delle normative comunitarie di settore ed al contempo si mostra in linea con le tecniche di incriminazione ricorrenti negli Stati membri, in gran parte incentrate su un certo livello di
219 Il riferimento è alle condotte di scarico, emissione o immissione illeciti di un quantitativo di
sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque (lett.a); raccolta, trasporto, recupero o smaltimento di rifiuti (lett.b); di esercizio di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nelle quali siano depositate o utilizzate sostanze o preparazioni pericolose (lett.d); di produzione, lavorazione, trattamento, uso, conservazione, deposito, trasporto, importazione, esportazione e smaltimento di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose (lett. e).
220 M.RONCO, L’intreccio tra le legislazione nazionale e quella comunitaria in materia di diritto penale dell’ambiente, cit., p. 24 ss..
221 L’art. 2 definisce illecito: “Ciò che viola: i) gli atti legislativi adottati ai senti del Trattato CE ed elencati all’allegato A, ovvero ii) In relazione ad attività previste dal trattato Euratom, gli atti legislativi adottati ai sensi del trattato Euratom ed elencati nell’allegato B ovvero iii) un atto legislativo, un regolamento amministrativo di uno Stato membro o una decisione adottate da un’autorità competente di uno Stato membro che dia attuazione alla legislazione comunitaria”.
interconnessione tra diritto penale e diritto amministrativo222. Per l’integrazione del secondo requisito si richiede, invece, che le infrazioni commesse provochino o possano provocare il decesso o le lesioni gravi alle persone, oppure danni rilevanti alle qualità delle componenti essenziali dell’ambiente223, con l’eccezione di due sole ipotesi224.
La scelta di prevedere la punibilità dei soli comportamenti che siano in concreto lesivi dei beni protetti risulta apprezzabile, per un corretto utilizzo sia del principio di sussidiarietà della legislazione comunitaria, sia del principio di proporzione225. La restrizione dell’obbligo di incriminazione alle violazioni ambientali più gravi realizza con efficacia la vocazione funzionalista del diritto comunitario, in quanto circoscrive l’intervento armonizzatore alle sole misure necessarie per colmare le lacune di tutela degli ordinamenti nazionali e per dare adeguata attuazione alle politiche comunitarie del settore. Al contrario, l’estensione della punibilità alle condotte astrattamente pericolose, che si sostanziano in semplici inosservanze delle prescrizioni di diritto comunitario, avrebbe determinato uno standard maximum, inaccettabile perché in contrasto con i predetti principi226.
La soluzione adottata ha fugato il rischio di un effetto di “iperpenalizzazione” nel settore ambientale, che si sarebbe potuto verificare, laddove l’impiego della sanzione penale non fosse stato imposto quale extrema
ratio cui fare ricorso per le sole offese di maggiore disvalore. È proprio sul
versante della tipizzazione delle offese che l’intervento comunitario sembrava in grado di recare i più significativi miglioramenti, soprattutto per gli
222 L.SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., p. 112 ss.. 223 Si veda art. 3 lett. a), b), d), e), h).
224 Art. 3 lett. f), g) relative alle fattispecie in materia di uccisione, distruzione o commercio di
specie animali o vegetali selvatiche protette, il cui disvalore offensivo è intrinseco all’atto punito e la fattispecie alla lett. i), che sanziona la produzione, l’importazione, l’immissione sul