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La responsabilità degli enti per (taluni) reati ambientali: l’art 25-

5. LA TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE FINO ALL’AVVENTO DELLA L.

5.4 Il d.lgs 121/2011: un recepimento solo parziale

5.4.3 La responsabilità degli enti per (taluni) reati ambientali: l’art 25-

undecies d.lgs. n. 231/2001.

“La delusione per il mancato riassetto complessivo degli illeciti penali ambientali dovrebbe essere tuttavia compensata, almeno in parte” dall’inclusione nell’elenco dei reati presupposto del d.lgs. n. 231/2001 di alcuni reati contro l’ambiente251.

La mancata corresponsabilizzazione sanzionatoria delle persone giuridiche ha rappresentato un gravissimo deficit del nostro sistema di tutela dell’ambiente, in considerazione del fatto che la più pericolosa criminalità ambientale è da sempre stata proprio la criminalità d’impresa252. Dopo il “gran

rifiuto” del 2001, il legislatore italiano si era posto il problema dell’estensione della responsabilità delle persone giuridiche in occasione dell’approvazione del d.lgs. 152/2006 con l’introduzione dell’art. 192 relativo al divieto di abbandono di rifiuti. La norma al quarto comma contiene un ambiguo riferimento al d.lgs.

249 A. L. VERGINE, Rossi di vergona, anzi paonazzi…leggendo la legge comunitaria 2009, in Amb. & Svil., 2011, p. 129.

250 M.SCOLETTA, op. ult. cit., pp. 30-31. 251 Ivi, p. 31.

252 P. GRASSO, in Rapporto Ecomafie 2007 a cura dell’Osservatorio ambiente e legalità,

231/2001253, che non è però idoneo a collocare tale illecito penale nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità degli enti, per la natura meramente solidaristica della particolare previsione punitiva in essa prevista254.

Una parziale estensione della responsabilità degli enti ai reati ambientali è stata invece il risultato dell’introduzione dell’art. 24-ter d.lgs. 231/2001 che inserisce tra i reati presupposto l’associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p., una norma destinata a svolgere una “funzione passerella” rispetto a tutti gli illeciti penali che siano perpetrati in forma associativa255, ossia ad attrarre

nel “fuoco punitivo” del d.lgs. 231/2001 fattispecie codicistiche delittuose “fuori catalogo” (comprese quelle funzionali alla tutela dell’ambiente) qualora commesse in forma associativa nell’interesse o a vantaggio dell’ente256.

Questa lacuna, dunque, è stata parzialmente colmata dal d.lgs. 121/2001, il cui art. 7 ha inciso sul d.lgs. 231/2001, introducendo l’art. 25-

undecies (“Reati ambientali”)257. Più precisamente, è stata prevista la

253 “Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni”.

254 S. BELTRANI, Responsabilità amministrativa di persone giuridiche ed Enti e reati ambientali, in Resp. amm. soc. enti, 2009, p. 141 ss.; P. PISANI-L.INSIGA, Rapporti embrionali

tra T.UA. e D.Lgs. 231/2001, ivi, 2010, p. 109 ss..

255 M. SCOLETTA, Nuove ipotesi di responsabilità amministrativa degli Enti, in S.CORBETTA,

A. DELLA BELLA,G.L.GATTA (a cura di), Sistema penale e sicurezza pubblica: le riforme del

2009, Milano, 2009, p. 373 ss..

256 M. SCOLETTA, Obblighi comunitari, cit., pp. 34-35. 257Art. 25- undecies D.lgs. 231/2001.

1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per la violazione dell'articolo 727-bis, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; b) per la violazione dell'articolo 733-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.

2. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per i reati di cui all'articolo 137:

1) per la violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

2) per la violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.

b) per i reati di cui all'articolo 256:

1) per la violazione dei commi 1, lettera a), e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

responsabilità degli enti per i nuovi reati contravvenzionali introdotti agli artt. 727-bis e 733-bis c.p. e, secondariamente, per alcuni reati ambientali già in vigore al tempo e previsti dal Codice dell’ambiente del 2006; dalla l. 7.2.1992,

2) per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

3) per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote;

c) per i reati di cui all'articolo 257:

1) per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; 2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

d) per la violazione dell'articolo 258, comma 4, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

e) per la violazione dell'articolo 259, comma 1, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

f) per il delitto di cui all'articolo 260, la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da quattrocento a ottocento quote nel caso previsto dal comma 2;

g) per la violazione dell'articolo 260-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel caso previsto dal comma 8, secondo periodo;

h) per la violazione dell'articolo 279, comma 5, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote.

3. In relazione alla commissione dei reati previsti dalla legge 7 febbraio 1992, n. 150, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per la violazione degli articoli 1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

b) per la violazione dell'articolo 1, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

c) per i reati del codice penale richiamati dall'articolo 3-bis, comma 1, della medesima legge n. 150 del 1992, rispettivamente:

1) la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;

2) la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;

3) la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;

4) la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.

4. In relazione alla commissione dei reati previsti dall'articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993, n. 549, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.

5. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per il reato di cui all'articolo 9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

b) per i reati di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

c) per il reato di cui all'articolo 8, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.

n. 150, sul commercio delle specie animali e vegetali in via di estinzione; dalla l. 28.12.1993, n. 549, in materia di tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente; dal d.lgs. 6.11.2007, n. 202, in materia di inquinamento provocato da navi258.

Tale ventaglio di reati è il frutto di una vera e propria operazione di “ortopedia giuridica”259, in quanto il legislatore, rispetto alla versione prevista

dallo schema di decreto legislativo, contenente un richiamo alla quasi totalità delle fattispecie penali tipizzate, ha cercato di operare una selezione degli illeciti effettivamente lesivi.

Secondo un’opinione, “la lista dei reati presupposto è stata epurata da quegli illeciti ritenuti di carattere più formale, anche se i ‘tagli’ non sempre sono stati effettuati in modo coerente”, non venendo impiegato un metodo formale di selezione degli illeciti, ma un metodo qualitativo che guarda al diverso grado di disvalore delle fattispecie ambientali ritenute corrispondenti ai vincoli di criminalizzazione comunitaria260. A titolo esemplificativo, non risulta ragionevole per l’interprete, la mancata estensione della responsabilità dell’ente agli illeciti penali in tema di attività svolte in assenza di autorizzazione integrata ambientale (art. 29-quattordecies, commi 1 e 3) o alla fattispecie di abbandono incontrollato di rifiuti (art. 256, comma 2), a fronte del mantenimento di fattispecie meramente formali come l’art. 260-bis, relativo alla tracciabilità dei rifiuti261.

Al di là di alcune incoerenze, frutto del tentativo di realizzare un compromesso tra i vincoli comunitari e quelli imposti dalla legge delega, il limite maggiore è costituito dal mancato inserimento nei reati-presupposto dei

258 Per una più analitica disamina delle fattispecie ricomprese nei reati presupposto si rinvia a

G. AMARELLI, I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli enti collettivi: una grande

aspettativa parzialmente delusa, in Cass. pen., 2016, p. 408 ss.; G. DE SANTIS, La tutela penale dell’ambiente dopo il d.lgs. n. 121/2011, cit., p. 688.

259 G. CASARTELLI, La responsabilità per gli enti per i reati ambientali, in

www.penalecontemporaneo.it.

260 M.RAIMONDO, La responsabilità degli enti per i delitti e le contravvenzioni ambientali: Godot è attivato?, cit., p. 12.

delitti di disastro innominato, di avvelenamento di acque e della contravvenzione di getto pericoloso di cose, potenzialmente funzionali a sanzionare la causazione di gravi danni all’ambiente o alle persone. Un’omissione tanto più incomprensibile considerato che “l’elezione da parte della direttiva europea delle conseguenze dannose o pericolose per gli esseri umani a criterio di selezione dei fatti da sanzionare penalmente e per i quali configurare la responsabilità da reato” rendeva “evidente come i reati contro l’incolumità pubblica integrabili attraverso condotte dannose per l’ambiente fossero candidati ideali” per il nuovo catalogo introdotto nel d.lgs. 231/2001262.

La formulazione originaria dell’art. 25-undecies d.lgs. 231/2001 ha comportato l’effetto paradossale di far scattare la responsabilità degli enti a fronte dei fatti colposi di minore disvalore, ma non per quelli di maggiore rilevanza di natura dolosa capaci di produrre un macro-evento dannoso e pericoloso per l’ecosistema e per l’incolumità pubblica. Appariva poco ragionevole, però, chiamare un ente a rispondere per condotte come, per fare degli esempi, lo sversamento di acque o l’immissione di gas al di sopra dei limiti tabellari, ma non per le condotte di inquinamento e disastro ambientale263. Nonostante questa grave esclusione, la dottrina ha evidenziato come il d.lgs. 121/2011 abbia avuto il merito di portare l’ennesima smentita della tesi dell’incompatibilità dei reati colposi con il criterio di imputazione della responsabilità degli enti (art. 5 d.lgs.231/2001)264. In relazione a tali reati trova applicazione la soluzione proposta da dottrina e giurisprudenza per i reati richiamati dall’art. 25-septies (cioè le fattispecie di omicidio o lesioni gravi, di cui agli artt. 589 e 590 c.p.). In particolare, il problema della compatibilità delle fattispecie colpose d’evento con il criterio oggettivo, secondo cui il fatto illecito deve essere commesso “nell’interesse o a vantaggio dell’ente”, era stato superato attraverso un escamotage interpretativo consistente nel collegare il

262 A.SCARCELLA, op. ult. cit., p. 28.

263 G. AMARELLI, I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli collettivi, cit., p. 411. 264 G. EPIDENDIO,T.PIFFER, La responsabilità degli enti per reati colposi, in Le Società, Gli Speciali, D.lgs. 231: 10 anni di esperienze, 2011, p. 40.

termine di riferimento dell’interesse o vantaggio non all’evento morte e lesioni, ma alla condotta negligente posta in essere dall’autore materiale in violazione delle normativa cautelare deprivata del suo evento naturalistico265. Tale soluzione sembra ancor più valida in relazione ai reati ambientali, in quanto strutturati come fattispecie di mera condotta e per i quali emerge “chiaramente l’autonomia e la distinzione funzionale tra il criterio imputativo dell’interesse e quello del vantaggio”266.

In particolare, il criterio dell’interesse, inteso in senso oggettivo, dovrebbe trovare applicazione al fine di imputare la responsabilità all'ente allorquando l'illecito sia commesso in forma dolosa: in tal caso, dunque, occorrerebbe valutare, in una prospettiva ex ante, se la condotta illecita sia stata non soltanto finalisticamente orientata, ma anche obiettivamente idonea, alla realizzazione di profitti economici altrimenti non realizzabili o, comunque, di un risparmio sui costi di gestione267. L’operatività del secondo criterio suindicato, invece, andrebbe circoscritta agli illeciti contravvenzionali commessi in forma colposa, essendo la colpa strutturalmente incompatibile con la direzionalità finalistica della condotta. In tali casi “occorrerà, pertanto, valutare se dalla realizzazione del fatto illecito l'ente abbia comunque

265 Questa soluzione è accolta dalla giurisprudenza di merito nella nota pronuncia relativa al

caso Thyssenkrupp, in cui si afferma che “collegare il requisito dell'interesse della persona fisica, dell'interesse o del vantaggio dell'ente non all'evento, bensì alla condotta penalmente rilevante della persona fisica corrispond(e) ad una corretta applicazione della norma ai reati colposi, in particolare a quello di cui all'art. 589 c. p.” Così, Corte d'Assise di Torino, sez. II, 15 aprile 2011. In questa direzione si pone peraltro un nutrito filone della giurisprudenza di merito: Trib. Trani, sez. Molfetta, 11 gennaio 2010, Truck Center e altri, in Le Società, 2010, p. 116 ss; Trib. Pinerolo, 23 settembre 2010, in www.penalecontemporaneo.it; Trib. Cagliari, 4 luglio 2011, n. 1188, Saras, in Le società, 2011, p. 1349. In dottrina tra i sostenitori di questa tesi si veda, tra gli altri, D. PULITANÒ, La responsabilità da reato degli enti: i criteri

d'imputazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 415 ss.; C. SANTORIELLO, Violazioni delle

norme antinfortunistiche e reati commessi nell'interesse o a vantaggio delle società, in Riv. giur. amb., 2008, p. 161; F. D’ARCANGELO, La responsabilità da reato degli enti per infortuni

sul lavoro, in Resp. amm. soc. enti, 2008, p. 64 ss.;. M. SCOLETTA , Responsabilità ex crimine

dell'ente e delitti colposi d'evento: la prima sentenza di condanna, in Le società, 2010, p. 1123

ss.; T. EPIDENDIO, Art. 5 – responsabilità dell'ente, in A. GIARDA, E. M. MANCUSO, G. SPANGHER,G.VARRASO (a cura di), Responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2007, p. 38 ss..

266 M. SCOLETTA, Obblighi comunitari, cit., p. 41. 267 A. SCARCELLA, op. ult. cit., p. 30.

conseguito un profitto che, per giocare un reale (e non apparente) ruolo di ‘filtro’ ascrittivo della responsabilità, dovrebbe essere quantomeno apprezzabile economicamente, non irrilevante in termini quantitativi e direttamente riconducibile alla commissione del reato”268.

Da ultimo, l’introduzione della responsabilità delle persone giuridiche ha costituito una risposta, almeno parziale, ai pregressi problemi dell’apparato sanzionatorio dei reati ambientali legati alla capacità degli enti di neutralizzare le conseguenze delle sanzioni pecuniarie inflitte alle persone fisiche. L’apparato sanzionatorio predisposto sembrerebbe “in grado di porre un freno alla deprecata prassi di computare tra i normali costi di gestione il prezzo dell’irrisoria sanzione pecuniaria inflitta alla persona fisica, spingendo gli enti a dotarsi di modelli di gestione e controllo idonei a prevenire la commissione degli illeciti ambientali”269.

Per tutte le fattispecie criminose contemplate dall’art. 25-undecies sono state previste sanzioni pecuniarie, fissate entro limiti minimi e massimi di una certa rilevanza (il massimo di pena irrogabile è pari a 1.239.200 euro) e graduate secondo la gravità dei reati stessi. Tali sanzioni, inoltre, non sono oblazionabili ed il loro ammontare viene determinato dal giudice, entro i limiti edittali stabili dal legislatore, secondo i parametri di commisurazione di cui all’art. 11 d.lgs. 231/2011. È chiaro che l’efficacia deterrente varia a seconda delle dimensioni dell’ente, ma tenuto conto del fatto nel sistema produttivo italiano sono le piccole e medie imprese a costituire gli attori principali, il giudizio è risultato nel complesso positivo270.

Al contrario, le sanzioni interdittive sono previste solo per i reati considerati più gravi (come ad esempio lo scarico non autorizzato di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose o la realizzazione o gestione di una scarica non autorizzata e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti), in presenza delle condizioni poste dall’art. 13 (quando l’ente ha tratto

268 M. SCOLETTA, op. ult. cit., p. 42.

269 M. RAIMONDO, La responsabilità degli enti per i delitti ambientali, cit., pp. 14-15. 270 Ivi, p. 14.

dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative o in caso di reiterazione degli illeciti) e per un periodo non superiore a sei mesi. Tali misure possono essere anticipate anche in via cautelare ex artt. 45 ss. d.lgs. 231/2001 quando sussistano gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell’ente e vi siano fondati e specifici elementi che facciano ritenere concreto il pericolo che siano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.

L’interdizione definitiva dall’esercizio delle attività, invece, è stata riservata esclusivamente all’ipotesi in cui l’ente o una sua attività organizzativa vengano stabilmente utilizzati allo scopo unico e prevalente di consentire od agevolare la commissione di reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e di sversamento in mare doloso di sostanze inquinanti.

Infine, tra le sanzioni principali cui vanno incontro gli enti, va riportata la confisca del prezzo e del profitto del reato presupposto. Si tratta di una vera e propria sanzione principale, obbligatoria e autonoma rispetto alle altre previste dal decreto271.

6. La tutela penale dell’ambiente nel panorama legislativo europeo.

6.1 Un breve sguardo ai modelli di tutela adottati in altri ordinamenti.