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La prassi pretoria inaugurata dal caso Icmesa di Seveso e il leading

3. IL DISASTRO AMBIENTALE GIUDIZIARIO

3.1 La prassi pretoria inaugurata dal caso Icmesa di Seveso e il leading

La fattispecie innominata di disastro è stata per la prima volta impiegata per la protezione dell’ambiente e della salute collettiva dai pericoli creati dall’attività industriale nell’ambito del caso Icmesa di Seveso, relativo alla

324 Cass. Pen., sez. II, 8 giugno 1954, in Giur. pen., 1954, p. 990 ss.; Cass. pen., sez. II, 3

febbraio 1955, ivi, p. 725 ss..

325 S. CORBETTA, Il disastro innominato: una fattispecie liquida in bilico tra vincoli costituzionali ed esigenze repressive, in Criminalia, 2014, p. 276.

326 In senso critico, si rinvia a D. BRUNELLI, Il disastro populistico, in Criminalia, 2014, passim.

fuoriuscita di una nube tossica a seguito del guasto di un reattore, poi diffusasi in un’ampia area circostante con danni alla vegetazione e lesioni di varia entità a persone e animali 328 . Successivamente, questa ha trovato ulteriori applicazioni in altri casi di nubi o fumi tossici fuoriusciti da stabilimenti industriali329 o provocati da incendio di ammassi ingenti di rifiuti330.

La sempre più estesa applicazione giurisprudenziale dell’art. 434 c.p. alla materia ambientale degli ultimi anni è sfociata nell’interpretazione creativa “di un tipo delittuoso non previsto dalla legge”331, i cui confini si sono dilatati

nel corso del tempo332. Di fatto, il disastro ambientale, dopo una sua iniziale riferibilità ai soli macro-eventi di inquinamento/danneggiamento dell’ambiente a carattere violento e dirompente, ha trovato applicazione anche negli accadimenti di contaminazione ambientale silenti, attuati tramite condotte reiterate e diluite nel tempo.

Questa ulteriore evoluzione prende avvio dal caso del c.d. Petrolchimico di Porto Marghera, che rappresenta, senza dubbio, un importante leading case in materia di disastro ambientale333. Il caso riguarda le vicende dell’impianto “Petrolchimico” di Porto Marghera, nel quale rilevavano, da un lato, il profilo dell’avvenuta esposizione dei lavoratori al contatto con molteplici sostanze chimiche, alcune delle quali di natura nociva, altre di natura tossica o, infine,

328 Cass. IV, 23 maggio 1096, in Cass. pen., 1998, p. 1250.

329 Trib. Busto Arsizio, 9 luglio 2011, in Lav. prev. oggi, 2002, p. 588, con nota di BATTARINO. 330 App. Venezia, 9 dicembre 2005, n. 1719, in Riv. giur. amb., 2006, p. 968.

331 Così F. GIUNTA, I contorni del disastro innominato e l’ombra del disastro ambientale alla luce del principio di determinatezza, in Giur. Cost., 2008, p. 3541 ss..

332 Gli ambiti in cui ha trovato inizialmente applicazione il disastro ambientale sono in

prevalenza quelli dell’escavazione abusiva di cave, della liberazione in atmosfera di gas nocivi e dell’attività illecita di gestione di rifiuti pericolosi (c.d. ecomafie): v. Trib. Verbania, 12 maggio 1999, in Riv. Giur. Amb., 2001, p. 144; Trib. Busto arsizio, cit.; in tempi più recenti, il disastro ambientale ha trovato applicazione in riferimento ad attività di abbandono o di smaltimento di rifiuti pericolosi senza cautele e controlli: G.I.P. Trib. Napoli, 8 giugno 2004, in Merito, 2005, p. 76, con nota di FIMIANI; G.I.P. Trib. S.M. Capua Vetere, 8 novembre 1004, in Corr.mer., 2005, p. 560; Trib. Nola, 28 maggio 2007; Trib. Milano, 20 gennaio 2009, in

Giur. Mer., 2009, p. 2199, con nota di BELLOMO.

cancerogena; dall’altro, la dispersione nell’ecosistema della laguna di Venezia di alcune sostanze, assieme a liquidi e materiali di scarto334.

Ai manager imputati, che si erano succeduti nella direzione e nella gestione dello stabilimento, vennero contestate svariate condotte criminose, tra le quali, la realizzazione di due distinte ipotesi di disastro innominato colposo. Rispettivamente, si è fatto riferimento al disastro innominato “interno” per l’esposizione prolungata ed incontrollata di tutti i lavoratori a sostanze chimiche pericolose per le salute, mentre si è invocato il disastro ambientale “esterno” per la realizzazione di una progressiva dispersione nell’ambiente lagunare di sostanze inquinanti. Concentrando la nostra attenzione sul c.d. “disastro ecologico”, è necessario evidenziare come il capo di imputazione richiamava gli artt. 434 e 449 c.p. con riferimento all’ asserita contaminazione tramite scarichi e discariche dei sedimenti dei canali e delle acque degli specchi lagunari, allo stato di inquinamento del suolo e del sottosuolo in ventisei aree interne ed esterne allo stabilimento per effetto della tumulazione di rifiuti industriali, nonché all’avvelenamento delle acque di falda e delle risorse alimentari presenti nelle aree citate.

Nonostante l’assoluzione degli imputati a causa di una complessiva insufficienza del materiale probatorio prodotto, i giudici di merito prima, la Cassazione poi, hanno precisato che, in linea di principio, il tipo criminoso di cui agli artt. 434 e 449 c.p. potesse essere compatibile con le concrete modalità di verificazione degli eventi di inquinamento. In particolare, la Corte di Cassazione ha enucleato il principio di diritto secondo cui la fattispecie di disastro innominato colposo presupporrebbe un macro-evento dai contorni spazio-temporali incerti e dilatati, idoneo a ricomprendere non solo gli eventi disastrosi nominati di cui agli artt. 422 ss. c.p. di immediata evidenza, ma anche eventi non immediatamente percepibili, passibili di realizzarsi in un lungo arco di tempo335.

334 C. PERINI, Rischio tecnologico e responsabilità penale. Una lettura criminologica del caso Seveso e del caso Marghera, in Rass. it. crim., 2002, p. 396.

Al fine di legittimare il ricorso all’art. 434 c.p. in chiave di “copertura” del disastro ambientale, la Corte di Cassazione ha precisato come “il disastro può anche non avere (le) caratteristiche di immediatezza, perché può realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato, senza che si verifichi un evento disastroso immediatamente percepibile e purché si verifichi quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di quegli altri valori della persona e della collettività che consentono di affermare l’esistenza di una lesione della pubblica incolumità”336. Infatti, secondo la

Corte, non tutte le ipotesi di disastro previste dal Capo I del Titolo VI del codice penale avrebbero le caratteristiche di immediatezza e percepibilità, essendo in tal senso esemplificativa la frana di cui all’art. 426 c.p., che può consistere in spostamenti impercettibili che durano anni, o l’inondazione, che può consistere in una lenta estensione delle acque dei territori emersi.

Questo arresto dei giudici di legittimità risulta particolarmente significativo per l’ulteriore evoluzione della giurisprudenza in materia, in quanto ha permesso di superare le obiezioni avanzate da parte della dottrina circa l’operazione di interpretazione estensiva intrapresa dalla giurisprudenza337. In particolare, era stato evidenziato come, con la sussunzione del disastro ambientale nella fattispecie innominata, i giudici non avessero tenuto conto del fatto che anche questa, al pari degli altri disastri nominati, postulasse la creazione di un “comune pericolo mediante violenza”, ossia richiedesse ai fini della sua integrazione un macro-danneggiamento di carattere istantaneo, idoneo a porre in pericolo la vita o l’integrità fisica di una pluralità indeterminata di persone 338 . Al contrario, la violenza, l’istantaneità,

l’immediatezza, la concentrazione spazio temporale, ritenuti dalla dottrina caratteri strutturali propri di tutti i disastri previsti dal codice, nominati e non, sono stati considerati dalla Suprema Corte “quali connotazioni meramente specificative della nozione di disastro, formalizzando, così, il definitivo

336 Cass. Pen., 17 maggio 2006 n. 4675, cit.. 337 V. infra § 4.

‘sradicamento’ del disastro ambientale dalla categoria dei delitti di comune pericolo”339.

La ricostruzione del disastro innominato quale macro-evento dai confini spazio-temporali fluidi, risultato di condotte ripartite e diluite nel tempo, determina la sua idoneità a ricomprendere qualunque accadimento non previsto come reato da altra disposizione del Titolo VI del Libro II del codice penale atto a mettere a repentaglio la vita, l’incolumità fisica o la salute delle persone. Conseguentemente, la fattispecie di cui all’art. 434 c.p., dotata di una notevole flessibilità sia sul piano oggettivo (consentendo questa di punire tanto il tentativo di disastro quanto il disastro avvenuto), sia sul piano soggettivo (prevedendosi entrambe le forme di colpevolezza, grazie all’art. 449 c.p.)340

diviene “l’armamentario migliore possibile, in termini di efficienza della risposta sanzionatoria e di duttilità di impiego”, per contrastare le nuove forme di aggressione della società del rischio341.

L’impiego dell’art. 434 c.p., quale strumento di adattamento dell’ordinamento penale alle nuove fenomenologie di danno di fonte industriale, non è, peraltro, risultato privo dell’avvallo di parte della dottrina, che ha riconosciuto ai giudici “il merito di aver tentato di colmare il (…) vuoto normativo342” preesistente e ha ritenuto che l’art. 434 c.p. abbia una “funzione di norma complementare e di chiusura del sistema che ben si attaglia ad alcune condotte di sicuro rilievo in campo ambientale”343.

Il progressivo fiorire di pronunce giurisprudenziali volte ad affermare la riconducibilità al reato di disastro innominato di eventi di compromissione del bene ambiente, ha portato alla ricostruzione di una nozione di disastro ecologico, quale evento capace di un’elevata portata distruttiva dell’ambiente

339 A. GARGANI, Esposizione ad amianto e disastro ambientale tra diritto vivente e prospettive di riforma, cit., p. 7.

340 Ivi, p. 7.

341 D. BRUNELLI, Il disastro populistico, cit., p. 261.

342 L. SIRACUSA, La l. 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il diritto penale dell’ambiente, in www.penalecontemporaneo.it.

343 L. RAMACCI, Il disastro ambientale nella giurisprudenza di legittimità, in Amb. & Svil.,

ed ad alta potenzialità lesiva, dal carattere non necessariamente eccezionale, purché abbia l’attitudine a determinare una situazione di pericolo per la vita e l’integrità di un numero indeterminato di persone344. Cosicché, anche alla luce

del consolidamento di tale nozione sul versante della giurisprudenza di legittimità345, i giudici di merito hanno cominciato a richiamarsi tout court al disastro ambientale, senza nemmeno “passare più attraverso il riferimento al disastro innominato di cui all’art. 434”346.

3.2 L’intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 327/2008.