L’esame della tutela penale apprestata al bene ambiente nel nostro ordinamento richiede una riflessione preliminare sui modelli di illecito penale astrattamente utilizzabili in tale ambito. Una tale indagine deve muovere dalla “particolarmente feconda (…) considerazione” 69, secondo la quale esiste uno
stretto rapporto e una reciproca interdipendenza tra beni e interessi meritevoli di protezione, da un lato, e tecniche di tutela (e, conseguentemente, di costruzione della singola fattispecie incriminatrice), dall’altro70. In questo
senso, il settore ambientale costituisce un interessante banco di prova, in quanto si assiste all’emersione di un bene giuridico nuovo, l’ambiente, che acquista autonomia rispetto al tradizionale catalogo dei beni giuridici (quali ad esempio la salute umana)71: da qui, l’esigenza di individuare tecniche di tutela adeguate
68 M.RONCO, L’intreccio tra le legislazione nazionale e quella comunitaria in materia di diritto penale dell’ambiente, in B. ROMANO, I reati ambientali alla luce del diritto dell’Unione
europea, Padova, 2013, p. 21.
69 G.GRASSO, L’anticipazione della tutela penale: i reati di pericolo e i reati di attentato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, p. 690.
70 G. FIANDACA, Il “bene giuridico” come problema teorico e come criterio di politica criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, p. 42 ss.; ID.; La tipizzazione del pericolo, in Dei
delitti e delle pene, 1984, pp. 441-442.
71 In dottrina, è stata anche sostenuta la tesi secondo cui la tutela ambientale sia finalizzata alla
protezione della vita e di altri beni dell’uomo. Nelle nuove fenomenologie dannose che vengono alla ribalta nella società moderna – secondo questa interpretazione – non si può registrare la nascita di nuovi beni giuridici, ma la messa in atto di nuove forme di aggressione a beni tradizionali. Cfr. P.PATRONO, Inquinamento ambientale e tutela penale dell’ambiente, Padova, 1979, p. 34 ss.. Sul punto anche T. PADOVANI, La scelta delle sanzioni in rapporto
alla natura degli interessi tutelati, in AA.Vv. Beni e tecniche della tutela penale, cit., p. 95, il quale presenta un approccio problematico rispetto alla categoria dei c.d. beni giuridici “ad ampio spettro”, quali l’ambiente, la sicurezza del lavoro, la sicurezza della circolazione, la finanza pubblica etc. Questi, secondo l’A., “non individuano, né costituiscono di per sé beni giuridici, ma soltanto situazioni strumentali ritenute congrue, adeguate dal legislatore per la salvaguardia degli interessi sottoposti a rischio in un determinato contesto esistenziale che può essere l’ecosistema, la circolazione di veicoli, l’attività produttiva, e così via dicendo. Questi beni giuridici sono, in sostanza, un modo diverso di esprimere una situazione in cui il conflitto si presenta in termini nuovi, ma rispetto a beni giuridici già dati, nei cui confronti, peraltro, la tutela sinora approntata appare insufficiente di fronte a nuovi fattori di rischio”.
alle specifiche caratteristiche della nuova oggettività giuridica di riferimento72. L’ambiente – secondo un’opinione largamente diffusa in dottrina – divenendo oggetto di tutela penale, al pari di altri beni “superindividuali” o “collettivi” emergenti dall’assetto della società contemporanea, ha contribuito alla crisi del concetto di bene giuridico ereditato dal diritto penale c.d. classico 73 . Proprio in materia ambientale in Germania, in seguito all’introduzione nel 1980 nello Strafgesetzbuch del titolo dedicato ai “Delitti contro l’ambiente”74, si è riacceso il dibattito sul bene giuridico. La dottrina
tedesca ha così individuato tre possibili modelli di illecito, cui corrispondono altrettanti gradi o livelli di accessorietà del diritto penale al diritto amministrativo: modello classico, modello parzialmente sanzionatorio, modello sanzionatorio puro. Tale tripartizione è poi invalsa nella quasi totalità delle riflessioni penalistiche sulla materia ambientale.
Il modello classico di incriminazione, c.d. penalistico “puro”, è caratterizzato da reati di evento, nell’ambito dei quali la condotta tipica consiste in un’azione o omissione produttrice di un danno o di un pericolo concreto per il bene protetto. La descrizione del fatto tipico prescinde dal richiamo delle disposizioni extrapenali e tendenzialmente delinea comportamenti percepibili dai destinatari delle fattispecie in termini naturalistici. Vi è, dunque, un’assoluta autonomia del diritto penale dal diritto amministrativo75.
Nel modello parzialmente sanzionatorio, invece, la condotta tipica consiste in una violazione di disposizioni amministrative ed è altresì produttiva
72 G.FIANDACA, U. TESSITORE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, in A.A.V.V., Materiali per un riforma del sistema penale, Milano, 1984, p. 27.
73 G. INSOLERA, Modello penalistico puro, cit., p. 738. Tra gli altri F. ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983, p. 76; F. C. PALAZZO, I confini della
tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992,
p. 462; S. MOCCIA, Dalla tutela di beni alla tutela di funzioni, Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 343; W. HASSEMER, Il bene giuridico nel rapporto di tensione tra costituzione e diritto
naturale, cit., 1984, pp. 109-110; A. GARGANI, Il danno qualificato dal pericolo, Torino, 2005, p. 111 chiarisce del resto che proprio la rilevanza attribuita dal codice Rocco a beni di carattere superindividuale ha segnato una decisa rottura rispetto alle categorie tipiche del c.d. diritto penale classico.
74 V. infra § 6.2.
di un evento di danno o pericolo concreto. A questo secondo modello corrisponde un livello di “accessorietà media” del diritto penale al diritto amministrativo, in quanto le rispettive condotte costituiscono una violazione di norme o di provvedimenti della Pubblica autorità, che il legislatore seleziona come penalmente rilevanti solo se produttive di un evento lesivo dell’ambiente. Si tratta di un modello “ibrido” o “misto”, a metà strada tra il primo modello, c.d. penalistico “puro”, e il terzo modello, a struttura integralmente sanzionatoria, posto che condivide con il primo, il requisito della verificazione di un risultato naturalistico eziologicamente collegato alla condotta del soggetto attivo e, con il secondo, il requisito dell’antigiuridicità rispetto a prescrizioni extrapenali76.
Infine, il modello sanzionatorio puro si contraddistingue per la previsione di reati nei quali la condotta tipica si esaurisce nella violazione di norme amministrative o di provvedimenti della Pubblica Amministrazione e prescinde dalla verificazione di un evento di danno o di pericolo concreto. In questo caso, il grado di accessorietà del diritto penale al diritto amministrativo è massima, in quanto il fatto tipico consiste esclusivamente nella violazione di norme extrapenali o di provvedimenti amministrativi77.
L’alternativa tra un modello c.d. penalistico “puro” e un modello posto a presidio di funzioni amministrative dipende dalla scelta del legislatore di affidare il bilanciamento dei contro-interessi che caratterizzano la materia ambientale all’autorità giudiziaria o piuttosto alla sfera legislativa o amministrativa.
Nel modello c.d. penalistico “puro”, lo schema di incriminazione è, per lo più, imperniato sulla produzione di un evento di danno o di pericolo concreto. In tal
76 F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione nel diritto penale dell’ambiente, cit.,
pp. 858-859.
77 L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., pp. 85-87. In realtà, questa affermazione è
valida dal punto di vista del disvalore formale; infatti, secondo il punto di vista del disvalore sostanziale, è opportuno rilevare che l’impiego di un criterio formale impone di collocare in un unico gruppo di fattispecie reati cui può corrispondere un diverso potenziale lesivo nei confronti del bene protetto, ma per i quali il legislatore impiega la stessa tecnica di tipizzazione, contrassegnata dal massimo grado di dipendenza del diritto penale dal diritto amministrativo
caso “il paradigma normativo si incentra sul rapporto tra la legge, che individua a priori quale interesse sia prevalente, ed il giudice chiamato ad accertare l’offesa”78, il quale si pone “artefice della mediazione tra specifici (del caso
concreto) interessi contrapposti”79. L’adozione di questa tecnica, però,
presuppone la scelta aprioristica circa l’interesse tutelato da parte del legislatore. Se, invece, non è possibile stabilire la prevalenza di un interesse sugli altri, è necessario rimettere la decisione del conflitto in concreto alla pubblica amministrazione. In tali ipotesi, “il paradigma legge-giudice si complica con l’intervento dell’amministrazione”80, la quale esplica il proprio
potere decisionale in relazione agli interessi da bilanciare81. Il diritto penale, dunque, nel modello sanzionatorio, si limita a tutelare la funzione amministrativa di risoluzione del conflitto di interessi e a sanzionare le modalità legalmente prescritte per il predetto contemperamento.
Nella legislazione italiana il modello di illecito prevalente è quello che per la costruzione del tipo rinvia ad atti amministrativi o alla normativa extrapenale di settore. Quasi tutte le tipologie di illecito rintracciabili nella legislazione penale ambientale appartengono al secondo o al terzo dei modelli indicati; un ruolo marginale -fino alla più recente riforma del 2015- è stato, invece, ricoperto dalle fattispecie incriminatrici di condotte produttive di un danno o di un pericolo concreto82. Alla scelta del legislatore di ricorrere a fattispecie a struttura totalmente o parzialmente sanzionatoria, ha corrisposto la mancata previsione di fattispecie delittuose, ma piuttosto contravvenzionali, e il ricorso ad una tutela anticipata dell’ambiente, mediante l’impiego dei reati di pericolo83.
78 T. PADOVANI, La scelta delle sanzioni in rapporto alla natura degli interessi tutelati, cit., p.
95.
79 G. INSOLERA, Modello penalistico puro, cit., p. 738. 80 T. PADOVANI, Beni e tecniche di tutela penale, cit., p. 96.
81 R. BAJNO, La tutela penale del governo del territorio, Milano, 1980, p. 37.
82 I reati di danneggiamento idrico, di incendio boschivo e di getto pericoloso di cose sono reati
di danno, in quanto sono costruiti, rispettivamente, su di un evento (di danno o di pericolo concreto) rimesso alla valutazione diretta del giudice, e non al filtro di soglie o di titoli abilitativi fissati dal legislatore o da autorità amministrative.
La riflessione sulle tecniche penalistiche di tutela dell’ambiente evidenzia, dunque, un “profondo mutamento del diritto penale classico” 84. Il
modello prevalentemente impiegato in quest’ambito è costituito dal reato di pericolo, nella forma del pericolo astratto – fino alla fine degli anni Sessanta, considerato illegittimo – che non implica la lesione del bene giuridico assunto ad oggetto di tutela85, in un’ottica preventiva (cd. diritto penale della prevenzione)86.
L’opzione legislativa a favore di un’anticipazione della tutela al livello del (reato di) pericolo astratto è stata condivisa da autorevole dottrina che, negli studi prodotti nel corso degli anni Ottanta, ha sostenuto l’inadeguatezza del diritto penale d’evento in materia ambientale, operandone una vera e propria svalutazione. Il modello classico di incriminazione, imperniato nella produzione di un evento naturalistico di danno o di pericolo, non sarebbe adattabile alle caratteristiche del bene giuridico in questione87. Al contrario, l’impiego del modello di pericolo presunto risulterebbe particolarmente adatto alla peculiare fisionomia dei beni “superindividuali” o collettivi, come l’ambiente88.
Nei casi in cui vengono in considerazione beni collettivi, “l’offesa si diluisce e si fa sfuggente”89: la fisionomia diffusa dell’oggetto della tutela rende
ardua l’individuazione dei precisi correlati fenomenici, sicché il legislatore, non potendo collegare la repressione a eventi di danno o di pericolo, è costretto a ripiegare su fattispecie di pericolo presunto90.
La specifica natura, astratta o concreta del bene, inoltre, influisce sulla qualificazione dell’offesa tipica in termini di lesione o messa in pericolo91. È
84 E. LO MONTE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., p. 240.
85 A. MANNA, Le tecniche penalistiche di tutela dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. ec.,. 1997,
p. 665.
86 E. LO MONTE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., p. 241. 87 G. INSOLERA, Modello penalistico puro, cit., p. 740.
88 G.FIANDACA, U. TESSITORE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., p. 61.
89 C. PEDRAZZI, Problemi di tecnica legislativa, in Comportamenti economici e legislazione penale, Milano, 1979, pp. 32-33.
90 G.GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., p. 710.
stato, dunque, evidenziato come la stessa espressione “pericolo presunto” con riferimento all’ambiente, venga utilizzata in senso improprio, trattandosi di un bene giuridico che per la sua natura immateriale, “per dimensioni e pervasità”92,
è insuscettibile di essere leso o messo in pericolo in senso naturalistico, perlomeno non da un’isolata condotta illecita. Il bene ambiente, infatti, non appare in concreto ledibile “per effetto di una singola condotta illecita, ma soltanto a seguito del ripetersi generalizzato e frequente delle condotte tipizzate” 93.
Il carattere seriale dell’attività capace di compromettere l’integrità del bene rende impossibile richiedere un legame causale, effettivo o anche solo potenziale, con le singole condotte94. Risulta oltremodo difficile dimostrare, se
si utilizza il paradigma del reato di pericolo concreto o del reato di danno, la sussistenza di una rapporto di causalità tra l’azione del singolo soggetto e l’evento95, dal momento che “i danni all’ambiente derivano in misura crescente
dagli effetti ‘cumulativi’ di azioni della più diversa specie (…). Di regola, può invece essere accertata l’attitudine generale di un determinato comportamento a ledere un bene ambientale”96. È arduo provare, con riferimento all’esempio
“di scuola” di varie industrie che scaricano nell’ambito di un fiume, a quale di queste sia imputabile l’inquinamento della falda acquifera. Un ulteriore ostacolo sul terreno dell’accertamento del nesso causale è costituito dall’incertezza scientifica in ordine ai decorsi causali: le repentine innovazioni chimiche e tecnologiche non consento, ancora, di enunciare autentiche leggi scientifiche di copertura in grado di fornire una fondata spiegazione causale di un singolo evento di danno o di pericolo97.
92 D.PULITANÒ, La formulazione delle fattispecie di reato: oggetti e tecniche, in AA.VV., Beni e tecniche della tutela penale, Milano, 1987, p. 38.
93 G. FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, cit., pp. 441-442. 94 G.GRASSO, L’anticipazione della tutela penale, cit., p. 710.
95 G. MARINUCCI, Relazione di sintesi, in A.STILE (a cura di), Bene giuridico e riforma della parte speciale, Napoli, 1985, p. 337 ss..
96 G.FIANDACA, U. TESSITORE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., p. 61. 97 G. AZZALI, La tutela penale dell’ambiente, cit., p. 355.
Da ultimo, le fattispecie incentrate sul risultato concretamente offensivo incontrano limiti nella formulazione della fattispecie, e in particolare, nella descrizione dell’evento. “La difficoltà di tipizzare – in modo compatibile con l’esigenza di determinatezza e con le istanze di praticabilità probatorio- processuale – le alterazioni dell’ecosistema (…) espone questa tecnica di tutela al rischio di ‘gigantismo’ paralizzante e di ineffettività del diritto penale”98.
Le suddette ragioni hanno portato il legislatore italiano a “ripiegare su fasi preliminari dell’iter criminoso, impostando la fattispecie su una tipologia di comportamenti, anziché di risultati”, spesso non decifrabili nella pratica99. L’incriminazione deve concentrarsi su “schemi di comportamento che l’esperienza segnala come atti ad incidere negativamente sugli interessi che si intendono tutelare, (con) un procedimento di astrazione legislativa che risponde a un bisogno di semplificazione, e, al tempo stesso, di certezza”100.
Sul piano della costruzione delle fattispecie, ciò si è tradotto nell’introduzione di fattispecie incriminanti lo svolgimento di un’attività produttiva senza la prescritta autorizzazione o in violazione dei suoi contenuti, ovvero il superamento dei limiti soglia nelle emissioni o negli scarichi di determinate sostanze, ovvero, infine, l’omessa comunicazione all’autorità amministrativa di determinati dati. Di conseguenza, non viene punito il fatto di inquinare, bensì l’inosservanza delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzativi oppure delle ingiunzioni emanate dall’autorità competente, o ancora, il superamento di limiti convenzionali, fissati da norme positive. Il pericolo per i beni ambientali non è valutato in concreto dal magistrato giudicante, ma agganciato a parametri prestabiliti in via generale, dal legislatore o da un’autorità amministrativa101.
Le difficoltà del diritto penale classico di farsi carico della soluzione dei problemi, come quelli ambientali, posti dalla c.d. società del rischio
98 A. GARGANI,La protezione immediata dell’ambiente, cit., p. 205. 99 C. PEDRAZZI, Problemi di tecnica legislativa, cit., p. 32.
100 Ivi, p. 34.
(“Risikogesellschaft”), soprattutto in relazione all’accertamento del nesso causale tra condotta ed evento, “hanno spinto la dottrina a percorrere strade ‘alternative’, a volte tra loro diversificate sul piano della metodologia e sul piano dommatico, ma convergenti nel sostenere l’inidoneità del diritto penale del fatto a fronteggiare i rischi ambientali”. Oltre alla già esaminata prospettiva di un “diritto penale c.d. della prevenzione”, fondato sul ricorso a fattispecie di pericolo astratto, è opportuno segnalare come – soprattutto nella dottrina tedesca – si sia fatta strada l’ipotesi di un nuovo diritto penale costruito sulla punizione di norme comportamentali (c.d. diritto penale del comportamento), completamente sganciate non solo dal danno ma anche dal pericolo.
Il “diritto penale del comportamento” giustifica l’inflizione della sanzione penale per la mera inosservanza o delle prescrizioni poste dalle agenzie regolamentatrici oppure delle norme riferite al futuro (con lo scopo di “impedire la distruzione dei fondamenti della vita futura su questa terra”). Nello specifico settore dell’ambiente, dunque, svolgono un ruolo fondamentale le disposizioni che fissano valori-limite (o limiti-soglia), il cui superamento legittima la risposta sanzionatoria.
Entrambe le impostazioni hanno in comune la criminalizzazione di meri comportamenti, del tutto sganciati dal danno o dal pericolo concreto, con l’obbiettivo di ovviare ai problemi di prova della dannosità della condotta102.
Secondo un’opinione radicalmente opposta, invece, le difficoltà di prova relative all’accertamento del nesso causale “non possono ridurre la criminalità ambientale a criminalità bagatellare con la negazione della possibilità di costruire fattispecie penali di danno o di pericolo concreto”103.
Progressivamente, dunque, nell’ambito del dibattito sulla riforma del codice penale, si è sviluppato in dottrina un diverso orientamento, che ha sostenuto, nella prospettiva di un rafforzamento della tutela penale dell’ambiente, sulla scorta anche delle esperienze legislative di altri Paesi europei, la necessità di
102 E. LO MONTE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., p. 239 ss..
introdurre apposite fattispecie di tutela “diretta” del bene, necessariamente imperniate su un evento di danno o di pericolo concreto, al fine di fronteggiare i macro-episodi di aggressione ambientale104.
Si è sostenuto che “le due direttrici della tutela, anticipazione della soglia del pericolo, secondo il modello dell’illecito formale di stampo contravvenzionale, e quella collegata all’evento naturalistico di danno all’ambiente, non sono inconciliabili”, ma, anzi, “possono e devono coesistere per realizzare una tutela effettiva dell’ambiente, attraverso la previsione di apposite fattispecie di danno o di pericolo concreto destinate ad operare in aggiunta, e non in sostituzione, a quelle costruite sulla mera violazione delle discipline amministrative”105.
La prospettiva di una tutela “immediata” dell’ambiente, incentrata su fattispecie penali di danno o di pericolo concreto, è stata per lungo tempo sviluppata in seno ai diversi progetti di riforma presentati negli ultimi venti anni106 ed ha trovato accoglimento da parte del legislatore soltanto con la legge
104A. MANNA, Realtà e prospettive della tutela penale dell’ambiente, cit., p. 851 ss.; G.
SCHIESARO, Problemi e prospettive di riforma della tutela penale dell’ambiente: verso una
riformulazione in chiave offensiva del reato, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1992, p. 779 ss.; A. L.
VERGINE, Ambiente nel diritto penale (tutela dell’), in Dig. disc. pen., Torino, 1995, p. 755 ss..
105 G. DE SANTIS, La tutela penale dell’ambiente, cit., p. 80.
106 Un primo tentativo di porre l’ecosistema quale oggetto giuridico del delitto ambientale risale
al 1992 con il c.d. Progetto Pagliaro, in cui era stato previsto il delitto di compromissione delle risorse naturali e dell’alterazione dell’ecosistema. Su tale progetto: v. A.MANNA, Le tecniche
penalistiche di tutela dell’ambiente, cit., p. 677 ss.; P.PATRONO, I reati, cit., p. 688 ss. Nel 1997 aveva fatto seguito la bozza di articolato messa a punto dalla Commissione ministeriale c.d. “Ecomafia”, nella quale si proponeva di introdurre in seno al Libro II del codice penale un nuovo Titolo VI-bis, significativamente rubricato “Delitti contro l’ambiente” (artt. da 452-bis a 451-nonies), comprensivo, tra gli altri, di illeciti incentrati sull’inquinamento ambientale e sulla rilevante alterazione dell’ecosistema. Quest’ultimo recepito nel disegno di legge varato dal Consiglio dei ministri del 1999. In proposito: A. MANNA, Realtà e prospettive, cit., p. 867 ss.. Un ulteriore tentativo di codificazione è stato poi posto in essere nell’ambito della Commissione per la riforma del codice penale, presieduta dal Dr. Carlo Nordio, il quale è sfociato nella previsione di “reati contro le risorse naturali e la salute pubblica”. Cfr. L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2007, p. 431 ss.. Tra le iniziative successive assume particolare rilievo lo schema di legge governativo approvato dal consiglio dei ministri in data 24.4.2007, caratterizzato dal mantenimento extra codicem nella forma contravvenzionale degli illeciti formali e dei reati di pericolo astratto e dall’inserimento nel nuovo Titolo VI-bis, di fattispecie delittuose basate sul danno o sul pericolo concreto. Si v. A. L. VERGINE, Sui nuovi delitti ambientali e sui vecchi problemi delle incriminazioni ambientali, in Amb. & Svil., 2007, p. 677 ss.; E.LO MONTE, Uno sguardo sullo schema di legge delega per
la riforma dei reati in materia di ambiente: nuovi ‘orchestrali’ per vecchi ‘spartiti’, in Riv.