• Non ci sono risultati.

Le prime applicazioni della fattispecie da parte della Cassazione

4. LA FATTISPECIE DI INQUINAMENTO AMBIENTALE DI CUI ALL’ART 452 BIS

4.5 Le prime applicazioni della fattispecie da parte della Cassazione

autorevole dottrina – “anche se meno ambigua e contraddittoria rispetto a quella del disastro ambientale”, sembra poter resistere al vaglio di costituzionalità solo grazie all’orientamento “conservativo” della Corte Costituzionale sul diritto vivente che, “in definitiva, lascia all’interpretazione uniforme, costante della giurisprudenza, in particolare, di quella di Cassazione, il compito – che dovrebbe essere del legislatore – di determinare la fattispecie criminosa”586. Le tanto attese, e al tempo stesso temute587, prime indicazioni giurisprudenziali sulle nuove fattispecie sono pervenute a circa un anno di distanza dall’entrata in vigore della legge. La Suprema Corte, infatti, si è pronunciata con due sentenze quasi coeve sul delitto di inquinamento ambientale, fornendo importanti puntualizzazioni in ordine ai principali requisiti di fattispecie588.

Il primo caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione ha avuto ad oggetto l’attuazione di un progetto di bonifica dei fondali dei moli Fornelli e Garibaldi del porto di La Spezia. Nel 2015, il progettista e direttore della ditta incaricata delle operazioni di dragaggio veniva accusato di inquinamento ambientale, per avere omesso di osservare le prescrizioni progettuali che prevedevano misure volte a limitare l’intorbidimento e la contaminazione delle acque circostanti, provocando dispersione di sedimenti nelle acque con conseguente trasporto degli inquinanti in essi contenuti

585 Ivi, p. 13.

586 P. PATRONO, I nuovi delitti contro l’ambiente: il tradimento di un’attesa riforma, cit., p. 10. 587 A. L.VERGINE, A proposito della prima (e della seconda) sentenza della Cassazione sul delitto di inquinamento ambientale, in Amb. & Svil., 2017, p. 5.

588 Cass. pen. sez. III, 3 novembre 2016, n. 46170, cit.; Cass., sez. III, 12 luglio 2016 (9

(idrocarburi e metalli pesanti), così cagionando un deterioramento ed una compromissione significativa delle acque del golfo di La Spezia.

Il Giudice per le indagini preliminari procedeva a sequestro del cantiere e di una parte del fondale. Il Tribunale del Riesame, cui si era rivolto l’imputato, annullava il provvedimento, ritenendo insussistente l’evento di compromissione e deterioramento significativo e misurabile delle acque. In particolare, secondo il Tribunale di La Spezia, non sarebbe tale il riscontrato intorbidamento delle acque, né sarebbe sufficiente ad integrare l’evento del reato la moria di mitili, avvenuta nel 2015 e non più ripetutasi: per integrare il delitto, secondo i giudici, occorrerebbe la tendenziale irreversibilità del danno, ritenuta insussistente nel caso di specie.

Il supremo Collegio con la sentenza de quo annulla l’ordinanza del Tribunale del Riesame, con rinvio per nuovo esame, ritenendo non corretta l’interpretazione dell’evento di deterioramento, fornendo delle precisazioni sui requisiti della fattispecie, che – come è stato evidenziato nei paragrafi precedenti – hanno dato luogo a diverse questioni interpretative.

Anzitutto, in relazione all’abusività della condotta, la Corte aderisce all’interpretazione già proposta in dottrina secondo cui, la clausola “abusivamente” comprende non soltanto le condotte che si svolgano in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quelle poste in essere in violazione di leggi statali o regionali o di

prescrizioni amministrative, ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale589.

Tale affermazione, sebbene risulti superflua rispetto al caso di specie, in cui era incontestato che l’attività di dragaggio fosse certamente “abusiva” nella misura in cui violava le prescrizioni imposte dal progetto di bonifica, è particolarmente importante, in quanto ribadisce, anche per gli eco-delitti, la validità di quella consolidata interpretazione giurisprudenziale formatasi in

ordine all’analogo requisito richiesto per l’integrazione del delitto di cui all’art. 260, d.lgs. 152/2006 (“Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”)590.

Secondo la nozione delineata dalla Suprema Corte, viene ravvisato il carattere dell’abusività non soltanto nei casi in cui l’attività sia svolta sine titulo (situazione cui vanno equiparate le ipotesi in cui l’attività si svolga in costanza di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime), ma anche in tutti i casi in cui la condotta si ponga in violazione delle prescrizioni contenute nel titolo abilitativo od in contrasto con le disposizioni, procedimentali e sostanziali, che regolano la materia591.

Nel delineare il concetto di abusività, i giudici di legittimità non hanno, invece, contemplato l’inosservanza dei principi generali che governano la materia ambientale, quali i principi di prevenzione, di precauzione e di sviluppo sostenibile di cui agli artt. 3-bis, 3-ter e 3-quater d.lgs. n. 152/2006, motivo per cui la loro violazione non determinerebbe ex se la rilevanza penale dell’attività laddove questa sia autorizzata e si svolga nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione592.

Il fatto di non considerare rilevanti, al fine di individuare il carattere abusivo della condotta, i principi generali che governano la materia ambientale, impedirebbe, secondo parte della dottrina, la punibilità di condotte che, pur formalmente lecite, possono rivelarsi in concreto inquinanti, “magari perché il titolo abilitativo è stato ottenuto con frode, corruzione o abuso di ufficio, o perché le prescrizioni e i limiti tabellari in esso contenuti sono comunque inidonei ad evitare inquinamenti significativi”593. Tuttavia, come è stato

correttamente obiettato, tale tesi legittimerebbe un arbitrio giudiziale

590 P. MOLINO, Sui nuovi eco-delitti emanata la prima sentenza, in Amb. & Sic., 2017, p. 115. 591 E. DI FIORINO,F.PROCOPIO, Inquinamento ambientale: la Cassazione riempie di contenuti la nuova fattispecie incriminatrice, in www.giurisprudenzapenale.com, p. 4.

592 Sul punto, P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, p. 87.

593 G. AMENDOLA, La prima sentenza della Cassazione sul delitto di inquinamento ambientale,

in www.questionegiustizia.it. Analogamente, L. RAMACCI, Il “nuovo” art. 260 del D.Lgs.

n.152/2006, vecchie e nuove questioni, in Amb. & Svil., 2016, p. 173, il quale osserva che il

requisito dell’abusività “potrebbe ritenersi configurabile (...) anche nel caso in cui non vengano osservati principi generali stabiliti dalla legge o da altre disposizioni normative”.

inconciliabile con il principio di separazione dei poteri, in quanto il giudice si sostituirebbe al giudizio politico espresso dal legislatore e/o alla valutazione tecnica della pubblica amministrazione nel bilanciamento di interessi contrapposti. A tal proposito, i principi generali “non sono nient’altro che principi programmatici, i quali per trasformarsi da norme di azione a norme di relazione vincolanti i privati” necessitano di un’opera di “ponderazione (…) e di implementazione cui sono chiamati il legislatore ordinario e la pubblica amministrazione, non il giudice penale”594.

In secondo luogo, la sentenza individua, nel caso di specie, il bene ambientale protetto nelle “acque in genere”, evidenziando che, a differenza del suolo e sottosuolo - per i quali la norma esige che la compromissione/ il deterioramento riguardino “porzioni estese o significative” -, rispetto ad esse per la configurazione del delitto non si richiede alcun riferimento quantitativo o dimensionale595. Tale differenziazione, “riconducibile alla minor agevole individuabilità che caratterizza le acque e l’aria”, non esclude che anche con riferimento a queste ultime la compromissione o il deterioramento ricadano su estensioni non esigue: “l’estensione e l’intensità del fenomeno produttivo di inquinamento ha comunque una sua incidenza, difficilmente potendosi definire ‘significativo’ quello di minimo rilievo, pur considerandone la più accentuata diffusività nell’aria e nell’acqua rispetto a ciò che avviene sul suolo e nel sottosuolo”596. A ben vedere, sarebbe, quindi, stata sufficiente la significatività

594 C. RUGA RIVA, Il delitto di inquinamento ambientale al vaglio della Cassazione: soluzioni e spunti di riflessione, in www.penalecontemporaneo.it, p. 3. In relazione a tale aspetto l’A.

evidenzia come da un lato, nei casi patologici esistono “adeguati strumenti che consentono di non arrestarsi ad un controllo meramente formale-cartolare delle condotte impattanti sull’ambiente, senza al tempo stesso eludere la nozione di ‘abusivamente’ e senza negare in linea di principio l’esistenza di uno spazio di rischio consentito, articolato nelle forme e nei limiti previsti dal legislatore o specificati dalla pubblica amministrazione nel titolo abilitativo e nelle relative prescrizioni”; dall’altro, in casi fisiologici, non si può accettare la sostituzione ad opera del giudice, del giudizio espresso dal legislatore e/o dalla pubblica amministrazione. “Al di fuori di singole regole di comportamento codificate o richieste dalla pubblica amministrazione, e dunque, per ciò stesso conoscibili, non sembra che l’attuazione di principi generalissimi possa essere lasciata alla discrezione del giudice penale, che, invadendo le prerogative del potere legislativo ed esecutivo, ridefinirebbe delicatissimi giudizi di bilanciamento tra interessi contrapposti”.

595 P. MOLINO, Sui nuovi eco-delitti emanata la prima sentenza, cit., p. 113. 596 Cass. pen. sez. III, 3 novembre 2016, n. 46170, cit., p. 4.

dell’alterazione al fine di delimitare l’area di tipicità della nuova fattispecie, che invece si mostra tautologica (richiedendo una significativa alterazione di una porzione significativa)597.

La parte più approfondita delle motivazioni, però, ha ad oggetto la questione giuridica più rilevante, ossia l’interpretazione dei concetti di compromissione o deterioramento significativi e misurabili richiesti dalla norma per l’integrazione del delitto di inquinamento.

Ai fini dell’individuazione del significato concreto da attribuire a tali concetti, secondo la Corte non assumerebbe alcun rilievo la denominazione di “inquinamento ambientale” attribuita al delitto, la quale “evidenzia, sostanzialmente, una condizione di degrado dell’originario assetto dell’ambiente”. Allo stesso modo, viene escluso che tali concetti possano essere letti alla luce di formule analoghe inserite in disposizioni non penali contenute nel d.lgs. 152/2006 (artt. 5, co. 1 lett.i)-ter e 300, rispettivamente inerenti alle nozioni di inquinamento e di danno ambientale) in quanto orientate ad altri fini rispetto a quelli della individuazione della soglia di rilevanza penale dell’offesa598 e non espressamente richiamate dalla l. 68/2015599.

Così precisato, nella sentenza la compromissione e il deterioramento si risolvono in un’alterazione dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema caratterizzata, nel caso della compromissione, da una “condizione di rischio o pericolo che potrebbe dirsi di squilibrio funzionale” incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o

597 E. DI FIORINO,F.PROCOPIO, Inquinamento ambientale: la Cassazione riempie di contenuti la nuova fattispecie incriminatrice, cit., p. 5.

598 Di scarsa utilità appare la definizione di inquinamento contenuta nell’art. 5, comma 1, lettera

i)-ter, d.lgs. n. 152/200615, essendo questa stata fornita per un’applicazione all’interno del solo Testo Unico e dunque inidonea a distinguere le varie ipotesi penalmente rilevanti. Tale nozione, quindi, pur rappresentando un canone interpretativo utile per valutare ogni alterazione peggiorativa dell’ambiente, non può rilevare ai fini di una fattispecie incriminatrice che mira a definire il momento in cui la condotta assume le connotazioni proprie del delitto di inquinamento. Tantomeno utile è il riferimento ad un “deterioramento significativo e misurabile” contenuto nella definizione di danno ambientale di cui all’art. 300 del citato decreto, il quale riveste – del resto – la differente funzione di garantire una tutela risarcitoria, e quindi civilistica, a fronte di ogni danno ambientale.

dell’ecosistema medesimi; nel caso del deterioramento, da una condizione di “squilibrio strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi.

Prendendo le distanze dalla tesi del Tribunale del Riesame - che su

questo aspetto aveva motivato la propria decisione di revocare il sequestro disposto in precedenza dal G.i.p. - la Suprema Corte evidenzia come l’eventuale reversibilità del fenomeno inquinante non possa assumer alcun rilievo nell’escludere l’illiceità penale della condotta, ravvisando piuttosto in tale circostanza un elemento di differenziazione tra il delitto de quo e quello, più severamente punito, di disastro ambientale, previsto dal successivo art. 452-

quater c.p. Non occorre, dunque, accertare una condizione di “tendenziale

irrimediabilità” dell’inquinamento, caratteristica che farebbe rientrare la condotta nel più grave delitto di disastro ambientale: è necessario, invece, che vi sia uno “squilibrio funzionale o strutturale”, evidenziato nel caso in esame, dal livello di torbidità e soprattutto dalla “presenza nei fanghi fuoriusciti dall’area di bonifica, di sostanze tossiche quali i metalli pesanti e gli idrocarburi policiclici e cromatici (questi ultimi qualificati anche come cancerogeni e mutageni) la cui presenza nelle acque, indipendentemente dagli effetti letali sulla fauna, può determinarne la contaminazione”600.

Secondo i giudici di legittimità, l’alterazione dell’ambiente, che pure non deve essere irreversibile come nel più grave delitto di disastro, dovrà risultare “significativa”, ossia denotata di incisività e rilevanza, e “misurabile”, ovvero quantitativamente apprezzabile o comunque oggettivamente rilevabile Si tratta di requisiti che, “elevando in modo considerevole il livello di lesività della condotta”, consentono di delimitare l’ambito di operatività dell’art. 452-

bis c.p., così da escludere i fatti di minore rilievo601.

La significatività, quindi, richiederebbe che si tratti di fenomeni di inquinamento seri, da valutarsi – prescindendo da criteri cronologici fissi o

600 Cass. pen. sez. III, 3 novembre 2016, n. 46170, cit., p. 6. 601 Cass. pen. sez. III, 3 novembre 2016, n. 46170, cit., p. 6.

soglie temporali – sia da un punto di vista temporale che in relazione alla gravità dell’offesa. In primo luogo occorre operare una distinzione sul piano temporale, tra condotta ed evento, potendosi verificare contaminazioni di breve durata capaci di creare effetti gravi e irreversibili, come nel caso di sversamenti di breve durata delle acque, che pur risolti in poco tempo, sono produttivi di pesanti effetti compromissivi per le specie ittiche presenti; secondariamente, si deve guardare alla gravità dell’inquinamento, ossia all’intensità e all’estensione degli effetti, variabili a seconda dell’oggetto della contaminazione602. Quanto

alla misurabilità, la sentenza si limita a constatare l’assenza di espliciti richiami o rinvii ai limiti imposti dalla disciplina di settore, motivo per cui questi ultimi non potranno essere considerati un “vincolo assoluto” ma solo “un utile riferimento nel caso in cui possano fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitività, un elemento concreto di giudizio”603. Con le ultime precisazioni la Corte ha, inoltre, operato un apprezzabile chiarimento dei rapporti tra valori-soglia e nozione di pericolo/danno rilevante ai fini dell’inquinamento penalmente rilevante. Il giudice deve verificare l’eventuale superamento dei valori soglia prescritti, ma il superamento di eventuali valori-soglia di settore non potrà essere ex se determinante nella valutazione del giudice: pur essendo misurabili, gli stessi non sono certamente significativi di un danno per l’ambiente (richiesto dalla fattispecie in esame), ma al più di un pericolo astratto per il bene tutelato604.

In definitiva, la Corte richiede al giudice di merito una valutazione complessiva dei dati acquisiti, non limitata ai soli effetti irreversibili, e per la quale – in ragione della complessità degli accertamenti richiesti – appare irrinunciabile il ricorso all’ausilio del sapere scientifico, segnatamente della perizia tecnica. Nel caso di specie, si tratterà di accertare che le opere di

602 C. RUGA RIVA, Il delitto di inquinamento ambientale, cit., p. 6.

603 Cass. pen. sez. III, 3 novembre 2016, n. 46170, cit., p. 4. Rileva G. AMENDOLA, Il diritto penale dell’ambiente, cit., p. 318, nt. 26, che eventuali parametri normativi possano essere

“utilizzati come criteri utili, anche se certamente non determinanti ed esclusivi, per valutare se una situazione di danno ambientale rilevante integri o meno la fattispecie in esame”

dragaggio, parte di un progetto di bonifica di un’insenatura già fortemente inquinata nel primo tratto di fondale e svolte in contrasto con regole di contenimento, siano state inquinanti, ossia che, comportando una dispersione in un’area più vasta ed eventualmente in superficie di sostanze, abbiano determinato un maggior pericolo o un danno per la funzionalità o struttura chimica delle acque, o per la flora o la fauna605.

La seconda vicenda in cui la Cassazione si è pronunciata in materia di inquinamento ambientale riguarda anch’essa un procedimento cautelare. Si trattava di un sequestro preventivo di due depuratori del comune di Contursi Terme, che dovevano ritenersi “pertinenti alla consumazione di taluni reati ambientali”, ipotizzati a carico di alcuni amministratori locali, tra i quali quello previsto dall’art. 452-bis c.p., integrato, dall’avere con condotte reiterate nel tempo alterato e deteriorato il vallone S. Caterina, le acque del fiume Sele e le acque del mare.

Il sequestro dei suddetti impianti di trattamento dei reflui urbani, inizialmente rigettato dal G.i.p., veniva disposto dal Tribunale del Riesame, sia pure con riferimento soltanto ad alcuni dei reati contestati. In particolare, venivano rinvenuti gli estremi del delitto di cui all’art. 635., comma 2, n. 3, c.p. (“Danneggiamento”), in presenza dell’immissione, senza soluzione di continuità, di sostanze dannose in una risorsa idrica della collettività e in considerazione delle gravi e negative ricadute economiche nello sfruttamento turistico-commerciale dei beni ambientali interessati dallo sversamento, con particolare riguardo alla balneabilità delle coste marine e fluviali e alla coltivazione ittica. Parimenti sussistente veniva ritenuta la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. (“Gettito pericoloso di cose”), per avere gettato in luogo pubblico cose idonee ad imbrattare o molestare persone, in particolare per aver immesso acque torbide e maleodoranti nel suolo, nel fiume Sele e nelle acque del mare.

I giudici del riesame hanno, invece, escluso la sussistenza dell’ipotesi

ex art. 452-bis c.p., avuto riguardo al richiamo letterale a espressioni quali

"compromissione o deterioramento significativi e misurabili delle acque o

dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo, di un ecosistema, della biodiversità anche agraria, della flora o della fauna", con le

quali il legislatore avrebbe inteso sanzionare condotte inquinanti aventi aspetti quantitativi e qualitativi rilevanti ed estesi, non integrate nel caso sottoposto al loro esame. Inoltre, il ricorso all’aggettivo “misurabile” starebbe “quasi a significare che la punibilità possa configurarsi solo ove si sia effettuato un accertamento tecnico specifico sul grado degli agenti inquinanti e sul loro rapporto con gli elementi naturali del corpo fisico recettore”606.

La Corte, aderendo alla tesi del ricorrente, ha ritenuto che la motivazione riportata si configuri come meramente apparente, in quanto omette sia di ricostruire compiutamente la fattispecie ipotizzata, sia di analizzare le considerazioni sviluppate, sia in fatto che in diritto, dal Pubblico ministero in sede di appello e, sostanzialmente, qualifica la situazione di fatto accertata, in maniera del tutto apodittica, come non connotata da “aspetti quantitativi e qualitativi davvero rilevanti ed estesi”. Ciò appare tanto più significativo ove si consideri, come correttamente posto in luce dal ricorrente, che gli stessi giudici, nell’affermare il fumus in relazione alle fattispecie previste dagli artt. 635 e 674 c.p., hanno contraddittoriamente riconosciuto l’esistenza di una situazione di inquinamento esteso, di danno per le matrici ambientali (suolo, fiume e mare) e di pericolo per la salute umana, rispetto alla quale gli stessi non hanno in alcun modo spiegato perché essa non possa configurare un’ipotesi di deterioramento o di compromissione dell’intero ecosistema, o, comunque, un danno ambientale riconducibile ad un deterioramento significativo e misurabile, idoneo a determinare un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana. Il collegio, dunque, ha annullato con rinvio al Tribunale di Salerno l’ordinanza impugnata, affinché il giudice del riesame “esponga con

motivazione più articolata e puntuale, le ragioni per le quali abbia ritenuto di non ravvisare il fumus della nuova fattispecie delittuosa”607.

Tale pronuncia della Cassazione, oltre a risultare espressiva di un orientamento conforme a quello della prima sentenza circa la definizione dei termini utilizzati dal legislatore per descrivere il fatto tipico, si segnala per evidenziare le difficoltà interpretative legate alla vaghezza del testo di legge in relazione al requisito della misurabilità608. La Terza Sezione della Suprema Corte, afferma che “l’aggettivo ‘misurabile’ inserisce un elemento di fatto della condotta non certo di agevole interpretazione, quasi a significare che la punibilità possa configurarsi solo ove si sia effettuato un accertamento tecnico specifico sul grado degli agenti inquinanti e sul loro rapporto con gli elementi naturali del corpo fisico recettore”. Laddove si dovesse ritenere sussistente il requisito della misurabilità solo una volta effettuato un accertamento tecnico, dovrebbe escludersi per il reato di inquinamento ambientale la forma del tentativo. In altre parole, misurato il fenomeno, vi sarebbe un’unica alternativa netta: il reato dovrebbe dirsi consumato ovvero insussistente609.

Peraltro, attenta dottrina ha osservato come tale sentenza risulti paradigmatica non solo della “genericità, indeterminatezza, approssimazione, equivocità della descrizione dell’evento, ma anche della sprovvedutezza di un legislatore che non ha pensato, anche se era stato da più parti consigliato, di coordinare le nuove fattispecie con le ‘vecchie’ già vigenti” rinvenibili nel d.lgs. 152/2006 o anche nel Codice Penale”. Nel caso di specie, la stessa condotta, relativa alle stesse risorse, secondo il PM, poteva essere sussunta