5. LA TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE FINO ALL’AVVENTO DELLA L.
5.2 I reati ambientali nella legislazione complementare
5.2.2 Problemi di effettività e vuoti di tutela
A differenza di altri ordinamenti, nel diritto penale italiano per lungo tempo non sono state previste fattispecie incriminatrici intese a punire quelle condotte che comportino un reale pericolo, non solo per la dimensione convenzionale dell’ambiente, ma anche per la sua effettiva consistenza naturalistica. Nel nostro ordinamento si è affermato un “diritto penale minimo” non già per estensione, in considerazione dell’elevato numero delle disposizioni penali e dei divieti, ma per incisività punitiva: “parafrasando Ferri, si potrebbe dire che, quello italiano, è un diritto penale nano”187.
Il ricorso alle fattispecie di pericolo presunto, anziché risolversi in una maggiore efficacia di tipo prevenivo, ha prodotto effetti opposti. È stato osservato come il “pericolo astratto che dovrebbe garantire una tutela anticipata – e quindi più rigorosa – del bene, si sia rivelato nella pratica uno strumento di sostanziale depenalizzazione e comunque di ineffettività del sistema”188. Come
è stato sostenuto, la protezione avanzata di beni c.d. a largo spettro nel settore del diritto penale dell’economia e dell’ambiente maschera spesso un assoluto vuoto di tutela189.
Del tutto inadeguato, è risultato anche il sistema sanzionatorio caratterizzato, in ossequio al principio di ragionevolezza, da uno scarso rigore punitivo, ulteriormente indebolito dal meccanismo dell’oblazione e della sospensione condizionale della pena, determinando l’affermazione di un “diritto penale a prevenzione sostanzialmente ‘nulla’”190. Proprio a causa della
debolezza delle sanzioni, le figure contravvenzionali sono state giudicate “armi
186 E.DOLCINI, Il reato come offesa a un bene giuridico: un dogma al servizio della politica criminale, in S. CANESTRARI, Il diritto penale alla svolta di fine millennio, Torino, 1998, p. 215.
187 F.GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione, cit., p. 856. 188 E.LO MONTE, Diritto penale e tutela dell’ambiente, cit., p. 151.
189 P. PATRONO, Diritto penale dell’impresa e interessi umani fondamentali, cit., p. 10. 190 L.SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente, cit., p. 504.
completamente spuntate” rispetto all’obiettivo di assicurare un’effettiva repressione delle offese ai beni ambientali.
La ridotta efficacia dei reati ambientali contravvenzionali è ulteriormente aggravata dal fatto che essi sono sparsi, “a mò di appendice in una miriade davvero impressionante di leggi”, il che rende ancora più difficile l’esatta conoscenza delle relative norme e la loro osservanza191.
I risultati insoddisfacenti sul piano dell’effettività della tutela correlati al sistema di tutela contravvenzionale, nonché la mancata previsione di fattispecie ambientali che, “smarcandosi” dal precetto amministrativo, andassero a punire le forme di aggressione più gravi, hanno portato parte della dottrina a interrogarsi sull’opportunità di rafforzare il modello “debole” di tutela penale dell’ambiente, attraverso la previsione di apposite fattispecie di danno e di pericolo concreto destinate ad operare, non in alternativa, ma in aggiunta a quelle costruite sulla mera violazione delle funzioni amministrative di governo. “L’espressione complementare (…) alla predetta direttrice politico- criminale è rappresentata da un paradigma di tutela ‘forte’, in cui la centralità del disvalore d’evento farebbe sì che l’ambiente assuma rilievo (anche) nella sua effettiva consistenza naturalistica”, grazie all’adozione di un modello penalistico “puro”192.
L’esigenza di introdurre fattispecie delittuose in grado di assicurare una maggiore efficienza politico-criminale ha trovato espressione in molteplici progetti di riforma susseguitesi negli ultimi venti anni e ha avuto compiuto riscontro solo con la l. 68/2015 (infra Capitolo 3). La riformulazione in chiave offensiva della tutela penale, con l’introduzione di reati ecologici “puri”, strutturalmente configurati come illeciti di evento, è stata però a lungo osteggiata per i rischi connessi al “gigantismo dell’evento tipizzato”, destinato a sua volta ad assegnare al diritto penale un ruolo per lo più simbolico, privo di
191 A. MANNA, Realtà e prospettive della tutela penale dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pen. ec.,
1998, p. 856.
un’effettiva funzionalità preventiva 193 e per le difficoltà relative
all’accertamento del nesso causale194.
In ogni caso, nel corso del periodo d’inerzia legislativa che ha preceduto l’entrata in vigore della riforma, la giurisprudenza, al fine di contrastare i più gravi fenomeni di inquinamento ambientale e di contaminazione degli ecosistemi, ha operato in via suppletiva, con una discutibile operazione esegetica di adattamento di disposizioni incriminatrici vigenti (infra Capitolo 2).
Un’altra grave lacuna del sistema punitivo a tutela dell’ecosistema era rappresentata dalla mancata estensione della responsabilità delle persone giuridiche ex d.lgs. 231/2001 ai reati ambientali, nonostante l’evidente nesso di interdipendenza tra criminalità ambientale e criminalità di impresa, sia sotto il profilo della tipologia di soggetti che possono in concreto commettere gli illeciti, sia sotto il profilo della stretta interconnessione tra sistema di tutela ed attività produttive.
La dottrina non aveva mancato di sottolineare l’opportunità della previsione della responsabilità degli enti per le violazioni penali ambientali, al fine di assicurare una risposta sanzionatoria a quegli illeciti ascrivibili a scorrette politiche d’impresa, anche quando non fosse possibile accertare le singole responsabilità individuali nei casi in cui gli illeciti dipendessero da decisioni collegiali. Inoltre, era stato evidenziato come l’eventuale pena detentiva inflitta all’autore materiale del reato non sempre costituisse un’efficace misura deterrente per fenomeni criminali legati all’attività d’impresa, la cui natura privata faceva sì che la tale pena risultasse inidonea a frenare la commissione di illeciti ascrivibili ad una più generale politica d’impresa elusiva della normativa ambientale, tenuto conto dell’intercambiabilità e della sostituibilità delle persone fisiche all’interno del
193 F. GIUNTA, Ideologie punitive e tecniche di normazione, cit., p. 858.
194 F. C. PALAZZO, Principi fondamentali, cit., p. 548; C.PEDRAZZI, Profili penalistici di tutela dell’ambiente, cit., p. 618.
contesto aziendale195. Da ultimo, si osservava come il sistema di cui al d.lgs. 231/2001 potesse assicurare maggiori garanzie di tutela per l’ambiente sia sotto il profilo della riparazione del danno ambientale, che richiede la disponibilità di risorse economiche, di cui il singolo risulta privo, sia sotto il profilo della prevenzione, grazie al meccanismo premiale previsto a favore degli enti che si adoperino per il ripristino dello stato antecedente alla commissione dell’illecito e alla previsione di una causa di esonero della responsabilità nella preventiva adozione dei c.d. compliance programs196.
L’assenza di norme che consentissero di perseguire l’ente autore di illeciti penali ha finito per creare ampie sfere di impunità ed operare come fattore criminogeno. La possibilità di trasferire le conseguenze sanzionatorie del reato sulle persone fisiche che via via si succedono nella gestione, ha messo l’ente nella condizione di poter porre in essere violazioni delle cautele ambientali, ricavandone il vantaggio dell’abbattimento dei costi che questo dovrebbe sostenere per una gestione conforme alle prescrizioni cautelari dettate dalla legge.
A fronte di tali considerazioni, la discussione su una riforma complessiva della tutela penale sul versante delle incriminazioni, non poteva prescindere, accanto all’inasprimento della risposta sanzionatoria per le persone fisiche, dall’estensione della responsabilità da reato delle persone giuridiche anche agli illeciti ambientali, onde evitare il rischio di una tutela penale “bifronte”, caratterizzata da un particolare rigore punitivo per le persone fisiche, da un lato, e dall’altro, dalla sostanziale impunità degli enti197.
5.3 Gli obblighi comunitari di criminalizzazione: la direttiva 2008/99/CE.