5. LA TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE FINO ALL’AVVENTO DELLA L.
5.4 Il d.lgs 121/2011: un recepimento solo parziale
5.4.1 Le nuove fattispecie contravvenzionali
All’art. 727-bis c.p. viene introdotta la contravvenzione di “uccisione,
distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette”, punita, ove avente oggetto specie animali
selvatiche protette, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a 4.000 euro. Il comma 2 incrimina, con l’ammenda fino a 4.000 euro “chiunque, fuori dai casi consentiti,
distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta”. In entrambi i casi il fatto è punito solo se commesso “fuori dei casi consentiti” e “salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”.
L’ultimo inciso normativo evidenzia come il bene giuridico tutelato dalla nuova fattispecie non possa essere individuato nell’integrità del singolo animale o del singolo vegetale, ma nello “stato di conservazione della specie” (e non il singolo esemplare), inteso come la “somma dei fattori che influendo sulla specie in causa possono alterare a lungo la ripartizione e l’importanza delle sue popolazioni nel territorio degli Stati membri”232. La clausola è funzionale ad espungere dal perimetro del fatto tipico i casi di esiguo significato offensivo in rapporto alla quantità di esemplari sacrificati e al relativo impatto
232 La definizione di “stato di conservazione della specie” viene offerta dall’art. 1 della Direttiva
sullo stato di conservazione della specie233 ed è classificabile come clausola di esclusione del tipo, valevole cioè a “escludere il tipo ‘originario’ delimitandone l’ampiezza”234.
In tale prospettiva, l’offesa all’integrità del macro-bene ambientale si concretizza in specifici fatti che mettano a repentaglio la stessa sopravvivenza di una specie animale e vegetale all’interno dell’ecosistema235. A ritenere
diversamente, la nuova fattispecie violerebbe il principio di proporzionalità della pena e, oltre a non essere conforme ai principi di delega, finirebbe per introdurre un trattamento sanzionatorio più rigoroso rispetto a quanto richiesto dalla stessa direttiva comunitaria. Il rischio di un’applicazione estesa della fattispecie anche a condotte aventi ad oggetto un solo esemplare, oltre a realizzare una non consentita estensione analogica in malam partem, criminalizzerebbe comportamenti il cui disvalore sociale sia poco rilevante. Se a ciò si aggiunge, poi, anche l’applicazione della disciplina del d.lgs. n. 231/2001 (essendo stato inserito l’art. 727-bis c.p. nel catalogo dei reati presupposto), ne deriverebbe un impatto sanzionatorio in concreto esorbitante rispetto alla reale portata offensiva della fattispecie236.
Diversamente, la clausola “fuori dei casi consentiti”, posta in apertura della fattispecie, costituisce una clausola di illiceità espressa, richiamante tutte le norme e i provvedimenti basati su norme che facoltizzano o impongono l’uccisione, cattura etc. di animali selvatici protetti, ad esempio per ragioni di salute pubblica, di pubblica incolumità o per ragioni scientifiche237.
233 C. RUGA RIVA, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie sulla tutela dell’ambiente: nuovi reati, nuova responsabilità degli enti da reato ambientale, in
www.penalecontemporaneo.it, p. 4.
234 Per tale definizione cfr. M. ROMANO, Teoria del reato, punibilità, soglie espresse di offensività (e cause di esclusione del tipo), in E.DOLCINI,C.E.PALIERO (a cura di), Studi in
onore di Giorgio Marinucci, tomo II, Milano, 2006, p. 1721 ss..
235 A. SCARCELLA, Sopravvivenza delle specie tutelate penalmente, in Guida dir., 2011, 38, p.
36.
236 A. SCARCELLA, Sulle novità di rilievo penalistico introdotte dal decreto legislativo di recepimento delle direttive CE in materia di ambiente, Relazione dell’ufficio del massimario
presso la Corte Suprema di Cassazione (rel. n. III/09/2011), in www.penalecontemporaneo.it.
Le condotte materiali descritte al primo comma, pur caratterizzate da un grado di disvalore differente, sono tuttavia parificate quanto al trattamento sanzionatorio. Al fine di non rendere irragionevole il raggruppamento in un’unica fattispecie, tale disvalore avrebbe dovuto essere adeguatamente valorizzato in sede di commisurazione della pena: riservando l’ammenda alle ipotesi più lievi e l’arresto a quelle più gravi238. Al contrario, le condotte di
distruzione, prelievo e detenzione di una specie vegetale di cui al comma 2, la pena è solo quella pecuniaria.
Singolare è il fatto che non sia l’art. 727-bis a specificare la categoria degli oggetti materiali delle condotte, ma l’art. 733-bis, comma 2 c.p., che precisa che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 727-bis c.p. per specie
animali o vegetali selvatiche protette si intendono quelle indicate nell’allegato IV della direttiva 92/43/CE e nell’allegato I della direttiva 2009/147/CE”, ossia
rispettivamente la c.d. Direttiva Habitat e c.d. Direttiva uccelli239.
La clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisce un più grave
reato” comporta il prevalere di fattispecie interferenti punite più severamente.
E’ il caso dell’art. 544-bis c.p. (Uccisione di animali), delitto punito con la pena della reclusione da tre a diciotto mesi e di talune fattispecie venatorie punite più severamente. Si pensi, ad esempio, all’art. 30, co. 1 lett. b), c) ed l) l. n. 157/1992), nella parte in cui incrimina l’abbattimento, la detenzione, la cattura di mammiferi o uccelli particolarmente protetti, o di specifici animali (orso, stambecco, camoscio d’Abruzzo, muflone sardo), così come il loro commercio o la loro detenzione a fine di commercio. Ne consegue che l’ambito di applicazione dell’art. 727-bis c.p. risulterebbe alquanto angusto, in quanto applicabile solo all’uccisione colposa di animali fuori dell’ambito dell’attività di caccia. La nuova fattispecie non sembra affatto rafforzare la tutela penale
238 M.SCOLETTA, Obblighi europei di criminalizzazione e responsabilità degli Enti per i reati ambientali (note a margine del d.lgs. 121/2011 attuativo delle direttive comunitarie sulla tutela dell’ambiente), in Riv. giur. amb. , 2012, p. 21. In senso parzialmente difforme, A.SCARCELLA,
Sopravvivenza, cit., p. 37.
dell’ambiente animale richiesta dalla direttiva 2008/99/CE. In sua assenza le varie condotte ivi descritte sarebbero state punite comunque, attraverso fattispecie già vigenti240.
Il secondo comma della disposizione colma un precedente vuoto normativo, offrendo tutela penale alle specie vegetali protette indicate nelle direttive richiamate dall’art. 733-bis, comma 2, c.p., dato che le uniche fattispecie aventi ad oggetto specie vegetali selvatiche protette presenti nel nostro ordinamento penale incriminavano le diverse condotte di importazione, commercio etc., senza le prescritte autorizzazioni e documentazioni (l. 150/1992). La scelta sanzionatoria però non appare felice: è assai dubbio che lo standard di tutela penale imposto dalla direttiva con la richiesta di sanzioni penali efficaci, adeguate e dissuasive possa dirsi soddisfatto, in presenza di una contravvenzione oblazionabile con 1.333 euro di ammenda241.
A sua volta, l’art. 733-bis c.p. provvede, conformemente a quanto richiesto dall’art. 3, lett. h), Direttiva 2008/99/CE, a punire con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non inferiore a 3.000 euro “chiunque, fuori dai
casi consentiti, distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o comunque lo deteriora compromettendo lo stato di conservazione”.
Per la definizione dell’oggetto materiale del reato (l’habitat), il secondo comma dell’art. 733-bis c.p. rinvia a disposizioni contenute nelle già richiamate direttive comunitarie, dalle quali emergono almeno tre distinte tipologie di
habitat, strumentali ad integrare le diverse sottofattispecie punitive, con
conseguenti ricadute negative sulla ricostruzione del perimetro applicativo della contravvenzione242.
Riguardo alle due modalità alternative della condotta, mentre risulta sufficientemente chiaro il concetto di distruzione dell’habitat, ricavabile dalla
240 M.SCOLETTA, Obblighi europei di criminalizzazione e responsabilità degli Enti per i reati ambientali, cit., p. 21.
241 C.RUGA RIVA, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie, cit., p. 6. 242 Per una più dettagliata esplicazione della normativa rilevante al fine di determinare le
specifiche aree protette dalla fattispecie in esame nel territorio nazionale, cfr. A. SCARCELLA,
giurisprudenza sul reato di danneggiamento di cui all’art. 635 c.p., più problematica potrebbe essere la definizione della condotta di deterioramento, perché capace di comprometterne lo stato di conservazione. In dottrina, si è proposto di fare anche in questo caso riferimento alla giurisprudenza formatasi in materia di danneggiamento, in quanto ricomprensivo anche del deterioramento nonché alle disposizioni normative del d.lgs. 3.4.2006, n. 152 in tema di danno ambientale (artt. 299 ss.), che offrono specifici parametri normativi di riferimento ai fini di una più precisa attribuzione di significato al concetto di “stato di conservazione”243.
Il reato di distruzione o deterioramento di habitat, pur avendo natura contravvenzionale, non è reato formale di pericolo presunto, ma di danno (distruzione dell'habitat) o di pericolo concreto (deterioramento con compromissione dello stato di conservazione dell'habitat)244. Dal momento che non si punisce infatti una violazione formale, né si tutelano le funzioni di pianificazione e controllo della pubblica amministrazione, la sua collocazione nel Titolo II del libro III del codice penale, dedicato alle “contravvenzioni concernenti l’attività sociale della pubblica amministrazione” non appare delle più felici, ma più opportuno sarebbe stato porla in calce ad uno dei tanti reati di danneggiamento gemmati sul tronco dell’art. 635 c.p.245.
Al pari dell’art. 727-bis c.p., la fattispecie presenta una clausola di illiceità espressa (“fuori dai casi consentiti”), ma non la clausola di riserva. L’assenza di quest’ultima potrebbe comportare dei problemi di coordinamento con altre fattispecie eventualmente concorrenti. In applicazione dei principi generali sul concorso apparente di norme penali, l’art. 733-bis c.p. dovrebbe assorbire eventuali contravvenzioni ambientali punite meno gravemente (come quelle previste dall’ art. 30 l. 394/1991, legge quadro sulle aree protette)246. Più
difficoltoso, invece, è l’inquadramento del rapporto intercorrente con i delitti
243 M.SCOLETTA, Obblighi europei di criminalizzazione, cit., p. 24. 244 A. SCARCELLA, op. ult. cit., p. 23.
245 C.RUGA RIVA, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie, cit., p. 5. 246 Ivi, p. 7.
di danneggiamento (art. 635 c.p., soprattutto in relazione all’ipotesi aggravata del comma 2, n.5) e di disastro innominato (artt. 434, comma 2 e 449 c.p.)247.