• Non ci sono risultati.

La declinazione sanitaria del disastro: l’ulteriore evoluzione del

3. IL DISASTRO AMBIENTALE GIUDIZIARIO

3.3 Il disastro di matrice giurisprudenziale al banco di prova del

3.3.2 La declinazione sanitaria del disastro: l’ulteriore evoluzione del

La Corte d’Appello giunge alla condanna dell’unico imputato rimasto in vita, riformando parzialmente la decisione del giudice di prime cure. La sentenza di secondo grado ritorna all’originaria impostazione data al procedimento dalla pubblica accusa, rigettando la distinzione operata in primo grado tra danni riportati dai lavoratori e danni provocati alla popolazione e ravvisando un unico fatto di disastro ambientale quale “evento composito (…) costituito da un disastro interno agli stabilimenti e da un disastro esterno ad essi”373.

Nella sentenza di appello, il delitto di cui all’art. 437, secondo comma, c.p., esce di scena, perché prescritto, senza però determinare conseguentemente la perdita di rilevanza penale di quanto accaduto all’interno delle fabbriche, giacché tali avvenimenti vengono travasati dal collegio nella fattispecie di cui all’art. 434, secondo comma c.p., per il tramite del concetto di disastro interno374. I giudici hanno evidenziato come “le singole malattie, non rappresentano, infatti, altrettanti eventi del reato in esame, che ha sì invece ad oggetto un fenomeno unitario di enormi proporzioni, (il disastro), ancora in atto del quale le malattie (…) costituiscono una manifestazione concreta”375.

A sostegno della scelta effettuata dall’accusa di inserire nell’evento di cui all’art. 434 c.p. non soltanto il disastro esterno relativo all’ambiente, ma anche l’evento disastroso realizzatosi ai danni dei lavoratori addetti agli stabilimenti, viene riportata l’“intrinseca connessione (che, in taluni casi, diviene addirittura identità) tra le condotte contestate come causative del disastro interno e quelle riferibili al disastro esterno, tutte egualmente riferibili

373 Corte app. Torino, 3 giugno 2013, commentata da S.ZIRULIA, Processo Eternit a che punto siamo?, in www.penalecontemporaneo.it.

374 Corte app. Torino, 3 giugno 2013, cit., p. 394. 375 Corte app. Torino, 3 giugno 2013, cit., p. 476.

a scelte verticistiche inerenti alle modalità di gestione dell’attività produttiva considerata nel complesso”376.

La sentenza di secondo grado - per ciò che più ci interessa - si segnala soprattutto per la creazione di una nuova figura, il c.d. disastro sanitario, che del disastro ambientale può considerarsi l’ulteriore stadio evolutivo377. L’evento di disastro, secondo i giudici di appello, risulta integrato da due elementi inscindibilmente connessi, entrambi di natura continuativa e perdurante: da un lato, il generale pericolo per la pubblica incolumità; dall’altro, il fenomeno epidemico, ossia l’impressionante aumento delle patologie amianto-correlate registrato nelle indagini epidemiologiche svolte dai consulenti della pubblica accusa nei lavoratori degli stabilimenti Eternit e negli abitanti delle aree circostanti. Il fenomeno epidemico non si configura, dunque, come mero effetto del disastro, bensì rappresenta un suo elemento strutturale378. Conclusivamente, a proposito dell’evento di disastro, la sentenza afferma che “la prorompente diffusione di polveri di amianto avvenuta nei

376 Corte app. Torino, 3 giugno 2013, cit., p. 476.

377 A. GARGANI, Le plurime figure di disastro, cit., p. 2712.

378 La sentenza mostra in prima battuta di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo

cui l’evento di cui al capoverso dell’art. 434 c.p. è in grado di abbracciare anche il disastro ambientale, il quale “si perfeziona, nel caso di contaminazione di siti a seguito di sversamento continuo e ripetuto di rifiuti di origine industriale, con la sola immutatio loci, purché questa si riveli idonea a cagionare un danno ambientale di eccezionale gravità”. La motivazione chiarisce inoltre come, dal punto di vista della proiezione offensiva, tale danno ambientale debba risultare – secondo le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 327 del 2008 – portatore di un pericolo per la pubblica incolumità, ossia per la vita e la salute di un numero indeterminato di persone. Con riferimento al caso di specie, la sentenza osserva che “l’evento è, dunque, rappresentato dall’esposizione all’amianto di determinate popolazioni, poiché, sulla base delle indagini epidemiologiche e della letteratura medico oncologica, l’esposizione è, di per sé, causa di pericolo per i settori delle popolazioni evidenziati nei capi di imputazione”. Tuttavia il disastro individuato dalla Corte d’Appello non si esaurisce nella descritta sequenza “dispersione di amianto - inquinamento e immutatio loci - pericolo per l’incolumità pubblica”. Inequivoche, sul punto, le parole dell’estensore: “l’esposizione al pericolo conseguente all’immutatio loci non esaurisce tuttavia l’evento che contraddistingue la particolare fattispecie di disastro analizzata in questa sede”. Così prosegue la motivazione: “la contaminazione ambientale, ossia l’immutatio loci, costituisce solo una tra le componenti dell’evento del reato di disastro oggetto del presente procedimento. Un’altra componente essenziale è rappresentata dall’eccezionale fenomeno di natura epidemica che il capo di imputazione assume essersi verificato, durante un lungo lasso di tempo, in Casale Monferrato, in Cavagnolo, in Napoli- Bagnoli e in Rubiera. Gli studi epidemiologici, secondo l'Accusa, hanno, infatti, posto in rilievo l'eccesso di malattie asbesto-correlate, tutte caratterizzate da una lunga latenza, che ha colpito le popolazioni interessate dall'esposizione all'amianto nell'arco di tempo preso in considerazione”.

quattro siti gestiti dalle società italiane del gruppo Eternit e nelle aree intorno ad essi ha, in effetti, interessato, importanti insediamenti industriali e una vasta porzione di territorio abitato da migliaia di persone, seriamente modificando l’ecosistema preesistente, ed ha contaminato un’ampia superficie geografica, così innescando il quadruplice fenomeno epidemico tuttora in corso, caratterizzato dalla protratta e tuttora perdurante situazione di pericolo per l’incolumità di un numero indeterminato di soggetti”.

La ricostruzione di una nozione di disastro, alla stregua di un evento complesso, incardinato sull’immutatio loci e sul fenomeno epidemico, ha suscitato in dottrina perplessità circa la sua compatibilità con lo schema tipico dell’art. 434 c.p..

È stato in tal proposito evidenziato come un tale modus operandi abbia finito col trasfigurare il delitto di cui all’art. 434 c.p. in un reato eventualmente plurioffensivo, in grado di assolvere diverse funzioni a seconda dell’atteggiarsi del fatto storico. “La natura meramente eventuale della plurioffensività del delitto così inteso, non può che riverberarsi negativamente sui principi di determinatezza e frammentarietà, dando luogo a una ‘fattispecie camaleontica’ in grado di modularsi sulle esigenze di tutela emergenti”379.

Peraltro, dobbiamo dar conto di come la considerazione del fenomeno epidemico quale elemento costitutivo del disastro, abbia costituito per i giudici l’escamotage per eludere la prescrizione. Il disastro divenuto sanitario assume i contorni di un macro-evento, di carattere permanente e a consumazione prolungata, venendosi a consumare solo al venire meno del fenomeno epidemico, momento a partire dal quale ha poi inizio il decorso della prescrizione. Nel caso di specie, dunque, la Corte d’Appello ha ritenuto che il reato benché integrato, non potesse dirsi consumato in ragione della mancata cessazione delle morti e delle malattie professionali e, di conseguenza, tantomeno prescritto, giungendo a condannare l’imputato in relazione a tutti e quattro gli stabilimenti380.

379 M. PAOLI, Esposizione ad amianto e disastro ambientale, cit., p. 1819.

A margine di tale pronuncia è stato osservato da parte della dottrina come la correzione interpretativa della fattispecie di cui all’art. 434 c.p. operata dai giudici -riconducibile sia alle difficoltà probatorie a individuare tutti gli elementi costitutivi del disastro, sia alla necessità di posticipare il termine prescrizionale-, non sia pienamente ammissibile, se non “a pena di operare un’incontrollabile dilatazione dello spettro punitivo di siffatto articolo in chiave analogica, giungendo a considerare ‘disastro’ qualsiasi accadimento capace di mettere in pericolo un numero indeterminato di soggetti”381.

Ancora, è stato criticamente evidenziato come “istanze di gestione processuale della prescrizione, esigenze di semplificazione della prova e bisogni di pena” abbiano fatto sì che “il disastro coincida con l’offesa genericamente e indistintamente arrecata alla vita e alla salute collettiva, a prescindere dalle modalità di realizzazione dell’offesa prescritte dal legislatore”382.

3.3.3 La sentenza della Corte di Cassazione: la ghigliottina della