Con il termine «doppia imposizione» si intende qualificare quel fenomeno secondo cui uno stesso soggetto, persona fisica o giuridica, viene assoggettato al pagamento di una imposta sui redditi in due diversi ordinamenti; in altri termini, può accadere che due differenti ordinamenti si considerino legittimati ad esercitare la propria pretesa impositiva sullo stesso presupposto ovvero si ritengano competenti all’esercizio delle prerogative tributarie nei riguardi del medesimo soggetto.
Il problema della doppia imposizione attiene tipicamente ad una molteplicità di cause che riguardano in prevalenza le strutture adottate dai singoli ordinamenti giuridici per l’imposizione diretta di certe fattispecie, le quali prevedono contemporaneamente la tassabilità all’interno di diversi sistemi fiscali autonomi. Tra le possibili cause del fenomeno in commento non si rilevano solo quelle di natura strutturale; potrebbero, infatti, considerarsi anche cause concernenti l’introduzione all’interno dei diversi apparati normativi di strumenti presuntivi posti a base delle
procedure di accertamento dei tributi, come, per esempio, espressamente previsto all’interno del nostro ordinamento dall’art. 73, comma 5-bis, del TUIR.
Altra causa del possibile conflitto tra ordinamenti tributari, dal quale potrebbe discendere un fenomeno di doppia imposizione, è data dalla difforme interpretazione, da parte delle Autorità amministrative o giudiziarie degli Stati interessati, in ordine al significato di uno stesso concetto o istituto giuridico, utilizzato come criterio di collegamento nei due ordinamenti; si tratta, in particolare, dei concetti della sede dell’amministrazione della società oppure dell’oggetto principale dell’attività esercitata.
Generalmente, i rimedi per limitare il fenomeno della dual residence, con conseguente doppia imposizione, sono di natura interna ed internazionale. Nel primo caso, ogni singolo Stato (56) adotta delle misure unilaterali, con effetti limitati al suo interno, quali, per esempio, la possibilità di detrarre l’imposta assolta all’estero dal tributo dovuto nel paese di residenza oppure la previsione di aliquote ridotte per i redditi di fonte estera (57). Nel secondo caso, i diversi Stati avviano dei negoziati che si concludono, sovente, nella sottoscrizione di convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni; tali convenzioni vengono adottate nella forma dei trattati internazionali, i cui effetti si producono direttamente all’interno dei singoli ordinamenti interessati.
Con lo strumento convenzionale gli Stati contraenti riescono a contrastare non solo fenomeni di dual residence, ma, altresì, prevengono l’evasione e l’elusione fiscale attraverso l’individuazione di procedure per consentire lo scambio di informazioni tra Amministrazioni fiscali operanti in seno agli Stati contraenti (58).
Se da un lato, mediante la firma delle citate convenzioni, gli Stati contraenti riescono a limitare i gli effetti negativi derivanti dal fenomeno della «doppia residenza», dell’evasione ed elusione fiscale, dall’altro devono rinunciare, a condizioni di reciprocità, ad una quota del prelievo fiscale prevista dalla propria disciplina interna, così da evitare che il contribuente, persona fisica o giuridica, sia gravato da una maggiore imposizione rispetto a quella che subirebbe se non operasse a livello internazionale. In altri termini, i singoli Stati contraenti devono limitare le proprie pretese impositive sui contribuenti al fine di garantire a questi ultimi la parità di trattamento.
(56) L’art. 163 del TUIR, quale rimedio unilaterale al fenomeno della doppia imposizione, introduce nel nostro ordinamento un divieto generale di doppia imposizione, secondo cui: «la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi».
(57) Cfr., G. Barbato, La doppia imposizione internazionale, Università degli studi di Verona, 3/05/2013, p. 18, consultabile al link: http://www.dsg.univr.it/documenti/Avviso/all/all135672.pdf.
Orbene, tra le questioni di maggiore rilievo in tema di modelli convenzionali contro le doppie imposizioni vi è quello concernente l’individuazione del criterio di collegamento per l’attribuzione della potestà impositiva dello Stato sui redditi derivanti dalle attività produttive delle imprese. In alcuni casi, per esempio, le parti contraenti hanno stabilito quale criterio di collegamento al fine dell’individuazione della residenza fiscale il criterio della «sede di direzione» dell’impresa; in altri casi si è individuato quale criterio quello della «sede della direzione effettiva», in altri ancora quello del «domicilio fiscale» (59).
In tal senso, l’Italia risulta aver concluso più di novanta convenzioni contro le doppie imposizioni con altrettanti paesi a livello internazionale; nel nostro paese le convenzioni contro le doppie imposizioni entrano a far parte dell’ordinamento all’esito di un procedimento di ratifica da parte del Parlamento seguito con legge ordinaria (60). Poiché tale ratifica avviene mediante legge ordinaria, tali trattati internazionali dovrebbero assurgere a ruolo di fonte di rango primaria per il nostro ordinamento giuridico.
A livello internazionale, sovente accade che la maggior parte delle convenzioni contro le doppie imposizioni firmate dagli Stati contraenti siano redatte in conformità all’impostazione del Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni adottato dall’OCSE, il quale rappresenta, a livello globale, il modello «tipo» per ogni convenzionale bilaterale.
Il Modello di Convenzione OCSE non è giuridicamente vincolante per gli Stati aderenti, di conseguenza i paesi possono scegliere se recepire o meno i principi espressi al suo interno; resta chiaro il fatto che tale atto rappresenta l’espressione dell’attività legislativa di una organizzazione internazionale di primo piano a livello globale per gli studi economici. Il Modello di Convenzione OCSE risulta costituito da 31 articoli suddivisi in 7 capitoli con i relativi commentari. Si aggiunge al primo atto un Commentario, approvato nel 1963, che funge da documento interpretativo ed esplicativo di notevole rilevanza ai fini dello studio del Modello di Convenzione OCSE; anche il Commentario, al pari del Modello di Convenzione OCSE, non ha natura vincolante per gli Stati contraenti, ma, come ricordato, è riconosciuto, in maniera condivisa a livello internazionale, come mezzo interpretativo supplementare attribuente significati speciali.
(59) P. Valente e R. Rizzardi, op. cit., p. 17.
(60) Per una dettagliata analisi delle convenzioni contro le doppie imposizioni firmate dall’Italia si rinvia al link: http://www.finanze.gov.it/opencms/it/fiscalita-comunitaria-e-internazionale/convenzioni-e-accordi/convenzioni-per- evitare-le-doppie-imposizioni/.
Rilevante ai fini della presente trattazione risulta essere l’art. 4, paragrafo 3 (61), del Modello di Convenzione OCSE, all’interno del quale è previsto quale criterio di collegamento, per l’individuazione della residenza fiscale di una società che risulti residente in due Stati diversi, quello della «place of effective management».
L’OCSE definisce la «sede della direzione effettiva» come il luogo dove vengono assunte le più importanti decisioni relative alla gestione della società e allo svolgimento della sua attività d’impresa. Ai fini della determinazione del significato di «place of effective management» il Commentario all’art. 4, paragrafo 24 (62), fornisce una interpretazione che si fonda su una sorta di assimilazione della sede della direzione affettiva alla sede o al luogo nel quale la società ha stabilito il proprio centro operativo; il luogo, cioè, in cui vengono esercitate le funzioni di rango più elevato e adottate le decisioni. In altri termini, il luogo dove si delibera (consiglio di amministrazione) in merito alla società nella sua interezza (63).
Non tutti i paesi contraenti si sono dimostrati in linea con l’interpretazione del criterio del «place of effective management» inteso come luogo in cui vengono assunte le decisioni da parte delle persone che compongono il consiglio di amministrazione dell’ente. Stati come l’Italia, per esempio, hanno preferito definire il contenuto della sede di direzione effettiva in altro modo, attraverso diversi criteri di collegamento. Invero, lo stesso paragrafo 25 (64) della versione originaria del Commentario rilevava che l’Italia prende in considerazione quale criterio esclusivo quello del «luogo ove viene esercitata l’attività principale e sostanziale dell’ente».
Alla luce di queste ed altre considerazioni (65), nel 2008 è stato pubblicato un documento (66) con il quale: in primo luogo, è stata soppressa la parte del paragrafo 24 ove si assimilava la sede della (61) L’art. 4, paragrafo 3, del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, stabilisce che: «where by
reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an individual is a resident of both Contracting States, then it shall be deemed to be a resident only of the State in which its place of effective management is situated».
(62) Il paragrafo 24 del Commentario OCSE stabilisce che: «[…] la sede di direzione effettiva sarà ordinariamente il luogo in cui la persona o il gruppo di persone che esercitano le funzioni di rango più elevato (a titolo esemplificativo, un consiglio di amministrazione) prende ufficialmente le sue decisioni, il luogo in cui sono adottate le deliberazioni che devono essere assunte dall’ente nel suo insieme […]».
(63) P. Valente e R. Rizzardi, op. cit., p. 18 ss.
(64) Il paragrafo 25 stabiliva nella versione originaria che: «l’Italia non condivide l’interpretazione esposta nel paragrafo 24 […] quale esclusivo criterio per identificare la sede di direzione effettiva in un ente. La sua opinione è che, nel determinare la sede della direzione effettiva, deve essere preso in considerazione il luogo ove l’attività principale e sostanziale dell’ente è esercitata».
(65) Nei primi anni 2000 la commissione di studi in seno all’OCSE ha avvertito la necessità di un intervento interpretativo sul significato di «sede di direzione effettiva» intesa come luogo in cui le persone o il gruppo di persone esercitano le funzioni di più altro rango, ossia al luogo ove si trova il «consiglio di amministrazione». Le ragioni alla base di questo intervento interpretativo riguardavano principalmente il fatto di voler chiarire a quale luogo dovesse corrispondere la sede della direzione effettiva nel caso di non corrispondenza tra giurisdizioni. In altri termini, il problema riguardava la necessità di definire in maniera esatta ove fosse stabilita la sede della direzione effettiva
direzione effettiva al luogo in cui avvenivano le riunioni del consiglio di amministrazione; in secondo luogo, con la modifica del 2008, veniva, introdotto il nuovo paragrafo 24.1 del Commentario all’art. 4 del Modello di Convenzione OCSE.
La novità più importante dopo il 2008 riguarda il mutamento di approccio a livello internazionale per la definizione della sede dell’amministrazione effettiva delle società; invero, la nuova versione del Commentario all’art. 4 introduce un approccio case-by-case, orientato alla determinazione di una serie esemplificativa e non esaustiva di criteri di collegamento (67), nonché della possibilità di una «procedura amichevole» per la determinazione del luogo in cui l’ente dovrà ritenersi residente ai fini fiscali.
Alcuni dei criteri di collegamento previsti nella nuova versione del Modello di Convenzione OCSE per l’individuazione della sede di direzione effettiva agli effetti della residenza fiscale comprendono, in particolare: il luogo del «day-to-day management» dell’ente; il luogo in cui si trova l’headquarter della persona giuridica; il luogo in cui è tenuta la contabilità; il luogo in cui si riuniscono i membri del consiglio di amministrazione. Questi fattori possono essere presi in considerazione dai rispettivi Stati in via non esaustiva.
Concludendo sul punto, si vuole ivi evidenziare il ruolo rappresentato dal Modello di Convenzione dell’OCSE per la definizione dei principi generali in materia di contrasto all’elusione ed evasione fiscale e in materia di doppie imposizioni.
Tale convenzione bilaterale, come già si ricordava, ha rappresentato, e rappresenta, il modello «tipo» seguito dai vari paesi per la formalizzazione di nuove convenzioni bilaterali tra Stati in materia di doppia imposizione internazionale. In tal senso, nonostante il ruolo ricoperto a livello internazionale da questo Trattato si ravvisa che comunque si tratta pur sempre di un atto che «non ha valore normativo e costituisce al più una raccomandazione diretta ai paesi aderenti all’OCSE» (68).
dell’ente nelle ipotesi in cui le decisioni, dal punto di vista formale, venissero deliberate da amministratori residenti in uno Stato e le decisioni esecutive da amministratori residenti in un altro paese.
(66) OCSE, Discussion Draft, Place of effective management concept: suggestions for changes to the OECD Model
Tax Convention, 2003.
(67) Cfr., P. Valente e R. Rizzardi, op. cit., pp. 22-23.
(68) In questo senso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17206 del 25 gennaio 2006 relativamente alla funzione giuridica del Commentario OCSE: «non ha valore normativo e costituisce al più una raccomandazione diretta ai paesi aderenti all’OCSE e su di esso il Governo italiano ha espresso una riserva facendo salva l’interpretazione dei giudici nazionali».