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Il processo performativo: dallʼactual al restored behavior

Nel documento Ontologia della Performance Art (pagine 116-126)

2. Richard Schechner e la teoria della performance

2.1. Il processo performativo: dallʼactual al restored behavior

La teoria della performance – che per Schechner è una vera e propria «scienza sociale, non unʼestetica» (Schechner 1973b, p. VII) – viene esposta nellʼopera omonima (Performance Theory), la cui peculiarità risiede nel fatto che i saggi ivi compresi «sono organizzati intorno a un sistema che può essere configurato sia come un ventaglio che come una rete» (Schechner 1988b, p. 11).131

Il termine performance, infatti, «è un termine inclusivo. Il teatro è solo uno dei nodi di un continuum che va dalle ritualizzazioni animali (esseri umani compresi) alle performance della vita quotidiana (saluti, manifestazioni di emozioni, scene familiari, ruoli professionali, e via dicendo), fino al gioco, agli sport, al teatro, alla danza, a cerimonie, riti e performance di grande magnitudine» (p. 10);132 e la performance «è unʼattività compiuta da un individuo o da un gruppo in presenza di – e indirizzata a – un altro individuo o gruppo» (Schechner 1969a, p. 61).133

Secondo Schechner tutte le attività performative pubbliche degli esseri umani condividono alcune qualità fondamentali: in esse «il tempo è accordato allʼevento, ed è perciò suscettibile di numerose variazioni e distorsioni creative» (p. 63); gli oggetti che vengono utilizzati durante le performance, pur non possedendo (nella maggioranza dei casi) un notevole valore di mercato, acquisiscono una rilevanza estrema, tanto da arrivare a costituire il fulcro dellʼintera attività – sono infatti «decisivi per creare la realtà simbolica» (p. 67) –; le attività performative non devono “produrre”

131 Schechner intende illustrare graficamente tali “concetti” (cfr. Schechner 1988b, p. 10), con i quali va ad organizzare, per lʼappunto, il “mondo della performance”. Il ventaglio è uno spettro che apre a tutte le possibilità della performance; a loro volta, però, i diversi tipi di performance possono organizzarsi tra di loro in modi differenti, attraverso una rete di interconnessioni: «La rete è lo stesso sistema visto in modo più dinamico: invece di sporgere fuori lungo un continuum, ogni nodo interagisce con gli altri» (ib.). 132 E Schechner prosegue: «Le performance sono finzioni, atti eseguiti per gioco, per scherzo. Ciò significa, come ha detto Victor Turner, che avvengono nel modo congiuntivo, il famoso “come se”. Ovvero, come si direbbe con lʼestetica sanscrita, le performance sono lila – sport, giochi – e maya, illusioni. La transcrizione sanscrita sottolinea però che tutta la vita è lila e maya. La performance è unʼillusione di unʼillusione e allora, come tale, potrebbe forse essere considerata più “veritiera” e più “reale” dellʼesperienza ordinaria. Tale, perlaltro, era lʼopinione di Aristotele nella sua Poetica: il teatro non riflette la vita quanto piuttosto la essenzializza, ne rivela i paradigmi» (p. 13).

133 Del resto, lo stesso Schechner intende centrare la sua definizione di performance su alcune qualità riconosciute del teatro dal vivo: in primis, sullʼinterazione pubblico-performer. «Anche là dove i pubblici non ci sono in quanto tali – come in certi happening, giochi e rituali – la funzione del pubblico permane: parte del gruppo impegnato nellʼeseguire la performance osserva – si intende che osservi – altre parti del gruppo. Oppure, come in certi rituali, il pubblico implicito è Dio o un qualche Altro/Altri trascendente» (Schechner 1969a, pp. 61-62).

necessariamente qualcosa di materiale e si rifanno sempre a delle regole134 che conferiscono loro la funzione sociale di cui sono portatrici, ossia lo stare «a una certa distanza dalla vita quotidiana sia idealizzandola (in queste attività le persone agiscono secondo le regole) che criticandola (perché tutta la vita non può essere un gioco?)» (p. 71); si svolgono in luoghi che vengono adibitamente preposti:

A differenza delle aree industriali, residenziali e commerciali, le aree attrezzate per le performance sono utilizzate su basi occasionali piuttosto che regolari e costanti; per gran parte del giorno, e spesso, per giorni interi, restano relativamente inutilizzate. Invece, quando cominciano i giochi, quando sono previste le funzioni e quando inizia lo spettacolo questi spazi vengono sfruttati intensamente, dato che attraggono grandi folle che vi si recano per gli eventi programmati; e sono caratteristicamente organizzati in modo che un gruppo molto numeroso possa osservare un gruppo più piccolo e nello stesso tempo divenire cosciente di sé. Un siffatto assetto alimenta sentimenti celebrativi e cerimoniali [...], più che qualsiasi altro luogo, questi posti promuovono la solidarietà sociale: un individuo “ha” una religione, “tifa” per una squadra e “va a” teatro essenzialmente per le medesime ragioni (pp. 71-73).

Come suggerisce Valentina Valentini – tra i primi e più importanti studiosi italiani ad essersi occupati della teoria schechneriana –, il progetto di fondazione di una “scienza della performance” sembra basarsi su due concetti chiave, che Schechner avrebbe posto come punto di partenza e come punto di arrivo dellʼimpianto speculativo da lui proposto: il concetto di actual e quello di restored behaviour.

Per Schechner, lʼactual – ossia lʼevento teatrale – «forma la sua specificità fra le altre attività performative in quanto attualizza alcune delle funzioni proprie del rito, lo pone concretamente in essere come manifestazione della società postindustriale e della cultura postmoderna» (Valentini 1984, p. 15).135 Con il saggio Actuals (1970), infatti,

134 A tale proposito lo stesso Schechner fa una puntualizzazione: «Io distinguo il gioco libero (play) dai giochi con regole (games) nel modo seguente: il gioco libero è unʼattività nella quale il o i partecipanti stabiliscono le regole; mentre un gioco con regole possiede di solito regole prestabilite» (pp. 73-74). 135 «Dal momento in cui il cinema, sviluppando progressivamente le sue potenzialità, ha “esonerato” il teatro da una serie di compiti che al tempo della tecnologia pre-cinematografica lo spettacolo “dal vivo” non poteva esimersi dallo svolgere (primo fra tutti raccontare storie per un pubblico collettivamente riunito per mezzo di “rappresentazioni allegoriche del reale”), il teatro è lasciato libero di sperimentare altre forme e altre funzioni» (Deriu 1999b, p. 170). Secondo Schechner, infatti, il fenomeno rituale, così come egli lo interpreta attraverso la lettura dei “classici” e per mezzo dellʼosservazione diretta, gli si offre come modello del teatro “postmoderno” in quanto: «- attualizzazione di eventi passati-mitici o reali ma

Schechner opera un importante “passaggio teorico” verso il tentativo di definire il teatro

in quanto rito: senza rinunciare alla sua originaria istanza radicale – che consisteva

nellʼ“utilizzare” il teatro al fine di operare delle autentiche trasformazioni nella coscienza delle persone (sia attori che spettatori) –, «la travasa nella funzione rituale» (p. 17), e ciò viene dimostrato chiaramente attraverso le proprietà che egli arriva a riconoscere come “basilari” di ogni evento teatrale:

Un actual ha cinque qualità basilari e ognuna si ritrova sia nei nostri che negli actual dei popoli primitivi. 1) processo, qualche cosa che accade qui ed ora; 2) atti, scambi

e situazioni consequenziali: irrimediabili ed irrevocabili; 3) confronto: qualcosa che

è in gioco per gli attori e spesso per gli spettatori; 4) iniziazione: un cambiamento di stato per i partecipanti; 5) spazio: è usato concretamente e organicamente (Schechner 1970, p. 59).

Anche lʼattore di teatro più convenzionale tende a riconoscere che durante tutte le fasi della sua performance qualcosa “dentro di lui” cambia e questo cambiamento avviene nel momento stesso in cui si esplica la performance, né prima, né dopo: «la performance ha la caratteristica di vivere, ora» (pp. 59-60) e – aggiungerei – nel preciso luogo in cui essa avviene.

La seconda qualità, invece, appartiene certamente più al mondo del rituale che a quello del teatro e, in particolare, ai riti di iniziazione, in cui lʼ«irrevocabilità è molto ben espressa nella circoncisione degli iniziati. Ma potrebbe anche derivare dallo scambio di beni e persone che vivacizza la vita primitiva» (p. 62). Al contrario, secondo Schechner, nella vita dei giorni nostri difficilmente siamo coinvolti in scambi totali di questo tipo:

Per dimostrarlo ho ideato un esercizio che si può fare a scuola. Ho chiesto ad ogni partecipante di scegliersi un partner e di scambiarsi qualcosa per gioco. Gli uomini davano i loro portafogli, le scarpe, le penne; le donne gli anelli, i cosmetici, le borse.

comunque lontani nello spazio e nel tempo dallo spazio e dal tempo in cui si ripropongono; - necessario e funzionale socialmente, ovvero la sua occorrenza legata alle occasioni particolari e definite della vita sociale (i riti di fertilità, di caccia, di terapia, di morte e di nascita, etc.); - la presenza di regole stabilite e conosciute allʼinterno del gruppo, che ne assicura e ne garantisce lʼesecuzione e la partecipazione; - il suo manifestarsi come evento, processo, qualcosa che accade, unico e irripetibile» (Valentini 1984, pp. 14- 15).

Poi ho aggiunto: «Ora scambiatevi realmente qualcosa». Le persone si davano pacchetti di sigarette vuoti, carta bianca, fiammiferi (ib.).

Per spiegare il terzo aspetto sostanziale dellʼevento teatrale (in questo caso specifico, il riferimento va al “teatro sperimentale” e non al teatro convenzionale in senso stretto), Schechner riporta lʼesempio di una sua celebre pièce teatrale, Dionysus in

69, in cui il margine di libera azione è certamente molto ampio, al punto da potere

comportare, talvolta, delle situazioni di pericolo per gli stessi attori136 (o, in occasioni più rare, per gli spettatori). In ogni performance, infatti, lʼattore «rischia ripetutamente non solo la sua dignità e abilità, ma la sua vita» (p. 68): durante le prove egli ricerca allʼinterno della propria esperienza personale quegli elementi che più lo aiutano a caratterizzarsi in quanto tale e con cui può costruire una propria «narrazione autonoma e/o una struttura di azione» (ib.), mentre scarta tutto ciò che gli appare come irrilevante.

La quarta qualità è, in un certo senso, il risultato delle prime tre, dal momento che:

Se qualcosa è accaduto qui ed ora, se lʼactual è fatto di atti e scambi consequenziali, irrimediabili e irrevocabili, e se questi comportano rischio per i performer (e anche forse per gli spettatori), tutto ciò produrrà dei cambiamenti, una nuova dimensione integrale e unitaria. Il cambiamento potrà essere difficile, problematico, come una iniziazione, lento e continuo. Lʼiniziazione può essere il nucleo di una performance. La struttura degli eventi sarà parallela al processo stimolato dagli eventi. [...] Gli eventi sono il rito. Quando esso è finito, gli iniziati sono stati iniziati e tutti si trovano uniti (pp. 69-70).

Per quanto riguarda lʼultima proprietà degli actuals – come è già stato messo in evidenza – la nostra cultura tende ad utilizzare degli spazi specifici e predisposti per il teatro; mentre nel mondo primitivo, nella maggioranza dei casi, si ricorre ad unʼarea aperta, naturale, in cui al massimo possono esservi introdotti degli “accessori” – «come

136 A tale riguardo lo stesso Schechner ricorda un aneddoto: «Nel giugno del ʼ69, Shepard [lʼattore che interpretava Penteo in Dionysus in 69] fu “rapito” da cinque studenti del Queens College, i quali si erano proposti di fermare lʼassassinio di Penteo e avevano trascorso il pomeriggio ad elaborare la loro strategia. Molti degli spettatori però sentivano lʼesigenza di proseguire lo spettacolo perché Penteo non era stato “genuinamente” salvato. Io fui dʼaccordo e cercai un sostituto fra il pubblico. Un ragazzo di 17 anni si offrì volontario interpretando benissimo il personaggio. Dʼaltra parte aveva visto lʼopera cinque volte, e sapeva cosa doveva fare» (Schechner 1970, p. 67).

ad esempio un grande fuoco o un tronco cavo su cui sono disposti gli iniziati per essere circoncisi, o un trono, o un recinto di animali dove si tiene una bestia da immolare» (p. 72) –, adibiti alla cerimonia o al rito che si intende espletare. In entrambi i casi, comunque, lo spazio «è usato concretamente come qualcosa che si può modellare e trasformare» (ib.), e a compiere tali trasformazioni non sono soltanto gli attori, ma anche gli spettatori, i quali possono, o meglio, sono invitati a partecipare attivamente allʼevento teatrale (senza tuttavia arrivare ad interferire con il corso degli eventi).137

Con il saggio Restoration of Behavior (1981-1983) si passa ad unʼaltra fase della ricerca di Schechner: quel teatro di cui voleva estendere i confini e che aveva tentato di “trasformare” in rito non cʼè più, così come non ci sono più i suoi principali interlocutori e modelli di riferimento –138 Richard Foreman ha chiuso il suo teatro; Jerzy Grotowski gli appare sempre meno convincente con le sue pratiche parateatrali; il TPG si è diviso in due e ha dato origine al Wooster Group –. Come ricorda Deriu, infatti, «la nozione di recupero del comportamento si colloca grosso modo in coincidenza con il “disorientamento” di cui Schechner sembra preda al ritorno dai viaggi» (Deriu 1999a, p. XIII).

Tuttavia, se è “scomparso” il teatro, devono potere emergere almeno le sue tracce; e allora la domanda che può sorgere spontanea è: sotto quali altre forme esso può rappresentarsi, in quali altre manifestazioni è possibile ritrovare le modalità performative e quali modelli vi sottendono?

«Si tratta per Schechner di ricominciare lʼesplorazione, da una diversa prospettiva, per scoprire allʼinterno del proprio contesto culturale forme spettacolari che svolgono funzioni analoghe a quelle delle cerimonie orientali e primitive» (Valentini 1984, p. 18). Ciò significa rivolgere lʼattenzione su se stessi, sulla propria società, su quei fenomeni di intrattenimento e di svago caratteristici della cultura di massa euro- americana: cinema, televisione, centri commerciali, parchi divertimento e “a tema”... In un certo senso, «Schechner ha oltrepassato quello che Marc Augé chiama i limiti dellʼantropologismo, cioè lʼosservare lʼaltro, e sembra operare una riconversione- proiezione su se stesso e il territorio circostante» (ib.).

137 Come ricorda lo stesso Schechner, durante una rappresentazione del suo Makbeth, nel 1969, gli spettatori «assunsero il ruolo di soldati, ospiti, testimoni, impotenti ma presenti e accondiscendenti» (p. 75).

Ma cosa gli fa vedere il suo cambiamento di prospettiva? Innanzitutto il fatto che i moderni mezzi tecnologici e di comunicazione riescono a soddisfare il bisogno di

narratività dellʼuomo contemporaneo e che lo sport e lʼinformazione prendono sempre

più il posto dellʼarte allʼinterno della vita sociale: la riproducibilità e la

rappresentazione sostituiscono la realtà vissuta, gli eventi originali. Dʼaltronde, come

suggerisce Umberto Eco, occorre «superare i confini del Museum of Modern Art e delle gallerie dʼarte ed entrare in un altro universo, riservato alla famiglia media, al turista, allʼuomo politico» (Eco 1977, p. 15), per rendersi conto «come esista una costante dellʼimmaginazione e del gusto americano medio, per cui il passato deve essere conservato e celebrato in forma di copia assoluta, formato reale, scala uno a uno: una filosofia della immortalità come duplicazione» (p. 16). Ed ecco che riappare così,

trasformato, il teatro che in precedenza Schechner aveva considerato “scomparso”: «lo

ritrova recuperato nei suoi meccanismi di base in altre forme di comportamento, in altri tipi di performance, né estetiche né rituali ma ibride, in quanto fatte di prestiti e mescolanze fra cinema, storia, informazione e intrattenimento» (Valentini 1984, p. 19).

I ricercatori e i registi teatrali sono specializzati nel recuperare comportamenti, la cosa va ancora meglio quando, i ricercatori come i registi, oltre a riproporre colture lontane, producono rappresentazioni a partire dalle loro molteplici realtà. In unʼepoca di iperconsapevolezza noi siamo interessati a sapere come siamo arrivati a sapere quello che sappiamo: il recupero del comportamento è lʼindustria del futuro. Gente di teatro, ricercatori, clown, giocolieri, spie, simulatori, truffatori e sciamani, stanno tutti insieme (Schechner 1981-1983, p. 300).

Lʼ“industria del futuro” (che sembra riecheggiare la celebre “industria culturale” di Adorno e Horkheimer) diventa la nuova responsabile della conservazione della memoria sociale: immagazzina reperti, documenti, immagini, al fine di sottrarre gli eventi allʼusura del tempo, alla dimenticanza e alla loro scomparsa definitiva. Da parte sua, il fare artistico del futuro arriverà sempre più a coincidere con la ricerca di reperti, nel tentativo di ricostruirli e farne delle copie con cui potere ancora provare lʼemozione e lʼillusione di una realtà oramai scomparsa.139

139 Dʼaltra parte: «Il comportamento recuperato non è un processo volto a portare alla luce lʼopera dʼarte originale, non è nemmeno la scoperta di una tradizione ininterrotta – posso dire, inconscia? – è, semmai opera di ricerca e di lavoro sul campo, di prove intese nel senso più profondo del termine. A questo

Concretamente, come si attua tale “meccanismo di base”, che costituisce il

fulcro della teoria della performance e che Schechner, come si è visto, definisce restoration of behaviour, recupero di comportamenti passati?

Innanzitutto è necessario comprendere che cosa il teorico intenda esattamente con tale termine:

Recuperare un comportamento passato significa trattare una parte di vissuto, come un regista tratta la sequenza di un film. Queste sequenze di comportamento (strips of

behaviour), infatti si rimontano e ricostruiscono in modo indipendente dai rapporti

di causa/effetto (sociali, psicologici, tecnologici) che le hanno prodotte, hanno una vita propria, tantʼè che si potrebbe perfino ignorare o contraddire la motivazione originaria di quel dato comportamento. Anche se nascono e vengono usate per creare un processo produttivo – la performance – le azioni che rappresentano un comportamento non sono di per sé processi, ma cose, materiali. Le sequenze possono essere di lunga durata come in alcuni riti o di breve durata come nella mimica, nei movimenti di danza, o nei mantra. Il recupero di un comportamento si trova in tutti i tipi di performance, dallo sciamanismo, allʼesorcismo, alla trance fino al teatro rituale e al teatro estetico, dai riti di iniziazione ai drammi sociali, dalla psicoanalisi alle più recenti terapie come lo psicodramma, lʼanalisi transizionale e primaria. In effetti, la performance si caratterizza essenzialmente per il fatto che attinge da comportamenti passati [...]: performance significa mai per la prima volta, ma per la seconda fino allʼennesima volta (pp. 213-214).140

Il comportamento recuperato, pertanto, appare come una sorta di meccanismo «simbolico e riflettente» (p. 214), che nel teatro serve ad esprimere il cristallizzarsi di

proposito ho ancora molto da dire. I passati settanta anni sono già disponibili su pellicola. Perciò, grazie a questa disponiblità si hanno dei ritorni dʼattualità. Ad esempio, noi non perderemo il comportamento degli anni venti nello stesso modo o nella stessa misura in cui abbiamo perso quello di epoche precedenti. La nostra è unʼepoca in cui le tradizioni possono decadere, essere conservate in archivio e poi essere ripristinate. [...] Nel quadro della teoria postmoderna dellʼinformazione, tutta la conoscenza è riducibile/trasformabile in bit di informazione, e perciò potenzialmente riedificabile in nuovi ordini, nuovi fatti» (Schechner 1981-1983, pp. 300-301).

140

Un simile meccanismo è possibile ritrovarlo applicato anche nella pratica della re-performance ideata e sviluppata, soprattutto negli ultimi anni della sua carriera, da Marina Abramović. Di questa rivoluzionaria pratica artistica si avrà modo di discutere ampiamente più avanti, tuttavia, per ora ci basta mettere in evidenza come proprio attraverso la re-performance – che equivale, quindi, a una sorta di

restoration of behaviour – la Abramović vada a rieseguire, reinterpretare e, dunque, “raccontare” delle

performance del passato – che «non sono di per sé processi, ma cose, materiali», stando alle stesse parole di Schechner, che possono essere utilizzati in un nuovo “processo di montaggio” –, così da offrire loro la possibilità di conoscere una “seconda vita” e, dunque, di essere conosciute anche da persone che non hanno potuto assistere alle azioni originarie.

processi umani di vario genere (sociale; religioso; terapeutico; educativo; estetico) e a «vedere sé in sé e in altro» (ib.). Detto altrimenti, il comportamento recuperato è come una maschera che si può indossare e togliere a proprio piacimento, che è visibile e trasformabile, allo stesso tempo.141

Una volta compresa la natura del restored behavior, per capire pienamente come esso funzioni, occorre fare un ulteriore passo in avanti e andare ad analizzare lo stesso processo performativo, così come Schechner lo ricostruisce nel suo complesso. Questʼultimo si sviluppa essenzialmente in sei parti: training; workshop; prove;

riscaldamento; performance; decompressione. Se sono assenti una o più di queste fasi,

ciò non significa che il processo performativo in atto sia incompleto: «nel dramma nô si dà molto più rilievo al training che non alle prove, nel parateatro di Grotowski si fa molto workshop e per niente spettacolo» (p. 272).142

Segnatamente, il training consiste nella trasmissione di tecniche conosciute, con cui il performer (in senso lato, non soltanto lʼattore di teatro) può memorizzare la partitura – a sua volta, costituita di gesti, suoni, schemi e movimenti –, al punto da offrire allo spettatore la sensazione che il performer sia entrato come in uno stato di

trance. Durante il training, infatti, «un comportamento altro è trasformato in proprio: e

parti di sé da cui si era alienati – che possono essere sia il suo sé privato che il suo sé sociale – sono reintegrate e mostrate pubblicamente» (p. 273).

Il workshop, invece, è un vero e proprio processo di decostruzione, per mezzo del quale vengono distrutti gli stereotipi culturali del performer (come, ad esempio, il modo abituale di usare il proprio corpo, di percepire la realtà e di relazionarsi ad essa e alle altre persone). Soltanto a questa pars destruens può seguire una pars costruens, durante la quale il performer si prepara per essere “riempito” di una nuova personalità o,

141 «Questo è ciò che fanno il regista, i vescovi nel concilio, i maestri e i grandi sciamani: modificano la

Nel documento Ontologia della Performance Art (pagine 116-126)