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La teoria semantica della rappresentazione

Nel documento Ontologia della Performance Art (pagine 94-104)

Come si è già ricordato, Languages of Art è certamente lʼopera più emblematica di tutto il pensiero di Nelson Goodman, il quale ha saputo offrire qui «una nuova e potente visione dellʼestetica fondata sulla filosofia analitica del linguaggio» (Robinson 2000, p. 213), che riesamina molte delle tante questioni a cui lʼestetica ha sempre cercato di rispondere, offrendo però loro delle risposte talmente tanto innovative da apparire, talvolta, eccentriche. Al momento della sua pubblicazione, infatti, lʼopera di Goodman ha immediatamente attirato lʼattenzione su di sé, sia da parte dei tanti ammiratori che ne hanno riconosciuto, sin da subito, lʼestrema rilevanza e “genialità”,

sia da parte di numerosi critici;100 e ancora oggi costituisce un termine di paragone imprescindibile per chi intenda proporre e difendere una nuova teoria estetica.

Partendo dal presupposto che, secondo Goodman, le opere dʼarte sono dei simboli collocati, a loro volta, allʼinterno di un sistema di simboli più ampio, e che il suo intento è proprio quello di impostare una teoria generale dei simboli,101 per riuscire ad analizzare filosoficamente i diversi modi con cui questi funzionano allʼinterno e al di fuori dellʼarte, «è necessario uno studio preliminare sulla natura della rappresentazione» (Goodman 1968, p. 11).102

Il modo più ingenuo di concepire la rappresentazione potrebbe forse essere così formulato: “A rappresenta B se e solo se A somiglia apprezzabilmente a B”, ovvero “A rappresenta B nella misura in cui A somiglia a B”. Tracce di questa concezione, variamente modificata e corretta, restano in gran parte della letteratura sulla rappresentazione. Sarebbe tuttavia difficile concentrare una maggior quantità dʼerrore in una formula così breve (ib.).

Secondo Goodman, infatti, la somiglianza, qualunque ne sia il grado, «non è una condizione sufficiente per la rappresentazione» (p. 12), e questo per vari motivi:

la somiglianza, diversamente dalla rappresentazione, è riflessiva [un oggetto può somigliare a se stesso al massimo grado, ma difficilmente può rappresentare se stesso]. Ancora, diversamente dalla rappresentazione, la somiglianza è simmetrica:

B è simile ad A tanto quanto A è simile a B, ma, mentre un quadro può rappresentare

il duca di Wellington, il duca a sua volta non rappresenta il quadro (ib.).

100 Tra questi, lʼappena citata Robinson 2000 e 1978; i già ricordati Walton 1990 e Wollheim 1970 e 1991; ma anche Arrell 1987; Carrier 1974; Files 1996; Harris 1972; Lopes 2000; Mitchell 1991; Salmon 1974; Schwartz 1974; Todd 1980.

101 «La parola “simbolo” è qui usata come termine affatto generale e neutro. Essa comprende lettere, parole, testi, quadri, diagrammi, mappe, modelli, e così via, ma non implica in alcun modo la presenza dellʼocculto e dellʼobliquo. Il ritratto più fedele e il brano più prosaico sono simboli, e “altamente simbolici”, quanto i più fantasiosi e metaforici» (Goodman 1968, p. 5). Un simbolo è qualcosa che sta per qualcosʼaltro e che non possiede proprietà specifiche che lo caratterizzano in quanto tale e che, pertanto, lo distinguono dai meri oggetti. Da ciò ne deriva che la differenza tra simbolo e oggetto (o evento) non è ontologica, ma funzionale, ed è possibile soltanto allʼinterno di un sistema simbolico dato.

102 Come suggerisce Velotti, «Goodman, anziché proporre una teoria della rappresentazione come un

modo particolare di vedere, propone una teoria delle rappresentazioni (visive) come simboli che rappresentano in un modo particolare, o meglio che offrono una loro “versione del mondo” al pari di altri

La rappresentazione è, invece, un vero e proprio concetto della semantica,103 in grado di costituire uno dei diversi modi possibili del riferimento104 – insieme alla descrizione, allʼesemplificazione e allʼespressione –, e che, in quanto tale, si fonda sul principio di denotazione,105 posseduto non soltanto dalla rappresentazione artistica, ma anche da quella discorsiva: «un quadro, per rappresentare un oggetto, deve essere un simbolo di esso, stare per esso, riferirsi ad esso [...]. Un quadro che rappresenta – come un passo che descrive – un oggetto si riferisce ad esso e, più precisamente, lo denota. La denotazione è il nocciolo della rappresentazione ed è indipendente dalla somiglianza» (p. 13).106

Il punto di vista anti-essenzialista – esposto e sostenuto con “vigore teorico” da Goodman nella maggioranza dei suoi scritti – trova così la sua espressione più articolata proprio nella critica a tutte quelle “teorie del rispecchiamento”, centrate sul criterio di somiglianza tra segno e designato. I simboli, infatti, non possono essere considerati alla stregua di mere copie di qualcosa che esisterebbe indipendentemente e prima di essi; e questo deve valere tanto per i sistemi linguistici, quanto per quelli non-linguistici.

103 Come sostiene anche Carroll, «il concetto della semantica e quello della rappresentazione sono intimamente connessi. Secondo la teoria neo-rappresentazionale dellʼarte [in cui sembra possibile fare rientrare anche la teoria di Goodman, sebbene lo stesso Carroll non riprenda il nome di Goodman, mentre, invece, fa esplicito riferimento a Danto e alla sua opera La trasfigurazione del banale], qualcosa per essere unʼopera dʼarte deve possedere necessariamente la proprietà dellʼessere a proposito di qualcosa – deve possedere un contenuto semantico; deve avere un soggetto su cui esprime qualcosa. [...] Guernica di Picasso si riferisce a qualcosa, un bombardamento aereo, per cui esprime orrore. Forse il modo più facile per riconoscere lʼaspetto attrattivo del neo-rappresentazionalismo [Carroll – come lui stesso sostiene – riprende tale concetto da Peter Kivy, in particolare, dal capitolo II del suo Philosophies of Arts (1997)] è notare come esso gestisce alcuni casi difficili dellʼarte moderna. Un genere dellʼarte moderna è il readymade o lʼoggetto trovato. Marcel Duchamp è un nome spesso associato a questo genere. Due delle sue opere più note sono Fountain e In Advance of a Broken Arm» (Carroll 1999, p. 27).

104 Cfr. Goodman 1981. Come suggerisce Luca Marchetti (cfr. Marchetti 2006, p. 21), Goodman articola la sua teoria dei simboli partendo dal fatto che il riferimento è «un termine primitivo e generico che comprende tutti i tipi di simbolizzazione e tutti i casi di stare per. In quanto relazione primitiva il riferimento non verrà definito, ma sarà piuttosto chiarito, distinguendo e confrontando le sue diverse forme» (Goodman 1984a, p. 55). Detto altrimenti, è possibile soltanto comprendere i diversi modi del riferimento e, dunque, il suo funzionamento, ma non porre il problema dellʼorigine o della natura dei simboli. A sua volta, il riferimento può essere «singolo, multiplo o nullo» (Goodman 1968, p. 42). «Un segno ha un riferimento singolo o unico quando rimanda a un particolare denotato – quellʼoggetto o

quellʼevento determinato; ha riferimento multiplo quando rimanda a più oggetti o eventi; ha riferimento nullo quando lʼestensione o classe di riferimento è “vuota” o “nulla”, dal momento che ciò a cui si

riferisce, propriamente, non esiste» (Marchetti 2006, p. 27).

105 Stando anche alle parole di Levinson, Goodman respingeva lʼenfasi di Gombrich sul principio di illusione, «sostenendo che la rappresentazione figurativa fosse completamente una questione di denotazione, stabilita in modo convenzionale, e non avesse alcunché da spartire con lʼillusione, o con lʼanalogo di questa sul piano psicologico, cioè la percezione di somiglianze» (Levinson 2002, p. 441). 106 La somiglianza, piuttosto, si fonderebbe sulle nostre stesse pratiche e non sarebbe pensabile se non allʼinterno di una “struttura” – come può essere considerata la società in cui ci ritroviamo a vivere – in cui siano già stati istituiti dei criteri di somiglianza e di differenza.

In altri termini, il mondo non è unʼentità indipendente che esiste prima del linguaggio e dellʼarte, ma si dà soltanto nel linguaggio e nellʼarte, insieme ad essi: in questo modo «la rappresentazione è sottratta alle concezioni deformate che la assimilano a un processo peculiarmente fisico quale il rispecchiamento, ed è riconosciuta come una relazione simbolica, relativa e variabile» (p. 44).

Arrivato a questa prima fondamentale conclusione, Goodman ritiene necessario riconoscere il fatto che le rappresentazioni si danno in maniera molto simile alle descrizioni, dal momento che funzionano pressoché allo stesso modo. La differenza significativa tra la rappresentazione e la descrizione, infatti, risiede soltanto «nella relazione tra un simbolo e gli altri allʼinterno di un sistema denotativo» (pp. 197-198); ovvero, uno stesso segno può funzionare come rappresentazione o come descrizione a seconda del diverso sistema simbolico in cui si trova inserito: «Niente è intrinsecamente una rappresentazione; lo status di rappresentazione è relativo al sistema simbolico. Ciò che in un sistema è un quadro può essere una descrizione in un altro» (p. 196).107

Tutto ciò mette capo ad una aperta eresia. Le descrizioni sono distinte dalle raffigurazioni non per il fatto di essere più arbitrarie, ma per il fatto di appartenere a schemi articolati anziché densi; e le parole sono più convenzionali delle figure solo se si intende la convenzionalità in termini di differenziazione e non di artificialità. Nulla dipende, qui, dalla struttura interna di un simbolo, perché ciò che in certi sistemi descrive può raffigurare in altri. La somiglianza scompare come criterio di rappresentazione, e la somiglianza strutturale come requisito dei linguaggi notazionali o di qualsiasi altro genere. La distinzione, spesso sottolineata, tra segni iconici e non, diventa effimera e banale; così lʼeresia genera lʼiconoclasmo» (pp. 199-200).

Rimane tuttavia un importante fatto da sottolineare: sebbene la denotazione risulti essere una condizione indispensabile per la rappresentazione, vi possono essere comunque delle rappresentazioni senza denotazione, ossia delle rappresentazioni che sono figure di un certo genere, ma che non denotano nulla di esistente; ed è questo il

107 «La differenza tra una rappresentazione pittorica e una descrizione linguistica risiede solamente nel diverso tipo di sistema simbolico in cui sono inserite: mentre un linguaggio è un sistema sintatticamente

sconnesso e differenziato (possiamo sempre distinguere un carattere da un altro), un sistema di simboli

pittorici è sintatticamente denso e indifferenziato (tra due caratteri può sempre essercene un terzo), e relativamente ripetibile (ogni aspetto del simbolo pittorico – i suoi colori, le sue linee, le sue pennellate, ecc. – è costitutivo del simbolo stesso)» (Robinson 2000, p. 214).

caso, non soltanto dei termini fittizi, ma anche «delle opere dʼarte non figurative e, più in generale, di tutte le forme narrative e rappresentative svincolate da un riferimento a qualcosa di reale» (Marchetti 2006, p. 27).

Segnatamente, Goodman identifica queste ultime come rappresentazioni «con denotazione nulla» (Goodman 1968, p. 26), e come esempio riporta quello della figura di un unicorno: se siamo di fronte alla figura di un unicorno, non è corretto dire che la figura, che non denota un oggetto di riferimento che esiste, non è una rappresentazione; al contrario, la figura di unicorno è una rappresentazione, che è in grado di classificare,

dire che genere di figura sia e, dunque, di offrire delle informazioni su di sé.

Nel caso specifico, la figura di unicorno costituirebbe un predicato «a un posto» (ib.), che è diverso da un «predicato a due posti» (ib.), dal momento che, appunto, non denota un oggetto di riferimento che esiste, ma è comunque in grado di informarci sul genere di figura che essa è.

Il fatto è semplicemente che, come di norma i mobili sono facilmente raggruppati in scrivanie, sedie, tavoli ecc., così di norma le figure sono facilmente classificate in figure di Pickwick, di Pegaso, di unicorno, ecc., senza riferimento ad alcunché rappresentato. Ciò che tende a metterci fuori strada è il fatto che locuzioni quali “figura di” e “rappresenta” hanno lʼapparenza di predicati a due posti e possono talora essere interpretati come tali. Ma “figura di Pickwick” e “rappresenta un unicorno” vanno piuttosto considerati alla stregua di predicati a un posto indivisibili, o termini-di-classe, come “scrivania” o “tavolo”. Non possiamo penetrare al loro interno né quantificarne le parti. Dal fatto che F è una figura di, o rappresenta, un unicorno, non possiamo inferire che esista qualcosa di cui F sia una figura o che F rappresenti. Ancora, una figura di Pickwick è una figura di uomo, anche se non esiste alcun uomo che essa rappresenti. Quando dico che una figura rappresenta una talcosa, resta perciò profondamente ambiguo se sto dicendo che cosa la figura denoti oppure che tipo di figura sia. Si può evitare in qualche misura tale confusione se nel secondo caso noi parleremo piuttosto di una “figura-che-rappresenta-Pickwick”, o di una “figura-che-rappresenta-un-unicorno”, o di una “figura-che-rappresenta-un- uomo”; o ancora, per brevità, di una “figura-di-Pickwick”, o “figura-di-unicorno” o “figura-di-uomo”. Ovviamente una figura non può, escludendo ogni gioco di parole, rappresentare Pickwick e contemporaneamente non rappresentare nulla. Ma una figura può essere di un certo genere – una figura-di-Pickwick o una figura-di-uomo – senza rappresentare alcunché (pp. 26-27).

E Goodman prosegue:

Una figura deve denotare un uomo per rappresentarlo, ma per essere una rappresentazione-di-uomo non deve necessariamente denotare qualcosa. [...] Lʼuomo che appare nel Paesaggio con cacciatore di Rembrandt non è presumibilmente una persona reale; egli è precisamente lʼuomo che appare nellʼincisione di Rembrandt. In altre parole, lʼincisione non rappresenta alcun uomo ma è semplicemente una figura-di-uomo, e più esattamente una figura-di-uomo-nel-

Paesaggio con cacciatore-di-Rembrandt. E anche se qui fosse raffigurato un uomo

reale, la sua identità importerebbe tanto poco quanto il gruppo sanguigno dellʼartista (p. 30).

Nel caso delle rappresentazioni a denotazione nulla, allora, più che di “rappresentazione” sembrerebbe opportuno parlare di “esemplificazione” o di “espressione”, come si avrà presto modo di chiarire: «ciò che non ha denotazione può pur sempre avere un riferimento in quanto esemplifichi o esprima qualcosa» (Goodman 1978, p. 124); soltanto, «il loro essere rappresentazionali non implica che rappresentino qualcosa di esterno ad esse» (p. 72).108 Incidentalmente, la teoria della rappresentazione come copia della realtà riceve qui unʼulteriore “sconfitta”: se il criterio della mimesi era già apparso marginale nella rappresentazione con denotazione “classica”, nella rappresentazione con denotazione nulla risulta addirittura contraddittorio, dal momento che «dove una rappresentazione non rappresenta alcunché non ci può essere questione di somiglianza con ciò che rappresenta» (Goodman 1968, p. 30).

Attraverso le rappresentazioni a denotazione nulla Goodman non solo ha mostrato e chiarito in che modo la “teoria del rispecchiamento” risulta inadeguata rispetto al tentativo di spiegare il funzionamento dellʼarte, ma ha anche aperto la relazione simbolica ad una vera e propria capacità presentativa. Lo stesso Goodman, infatti, come si è visto, ha fatto emergere la distinzione tra il “rappresentare”, inteso in senso stretto, e il “presentare”, in quanto “essere una figura di un certo genere”. Ciò ha permesso di concepire la capacità presentativa come una dimensione costitutiva di tutti i

108 Come suggerisce Marchetti, «Goodman mantiene in questo modo il meccanismo referenziale, superando però un realismo per il quale solo riferendosi a oggetti reali il linguaggio è sensato. E questo significa non solo che la possibilità del segno non dipende dallʼesistenza del designato, ma che la

possibilità del mondo – il suo essere questo o quel mondo – dipende dalla capacità formativa dei segni»

(Marchetti 2006, p. 27). Come già ricordato, infatti, secondo Goodman: «Possiamo avere parole senza un mondo ma non mondi senza parole o altri simboli» (Goodman 1978, p. 7).

simboli (artistici e non solo), visto che anche nel caso di una denotazione “classica”, affinché il simbolo possa riferirsi effettivamente al suo referente, esso deve sapersi mostrare per la figura che è.

È per questo motivo che accanto alla nozione di “figura-di” Goodman introduce una terza (ed ultima) articolazione della rappresentazione, la

rappresentazione-come. Per comprendere questʼultima è importante chiarire, sin da

subito, il senso in cui il termine “come” viene qui utilizzato:

Dire che un quadro rappresenta il duca di Wellington come il vincitore di Waterloo, oppure da bambino o da adulto, spesso significa semplicemente dire che il quadro rappresenta il duca in un certo momento o periodo [...]. Qui «come...» si unisce al

nome, «il duca di Wellington», per formare una descrizione di una parte

dellʼindividuo intero e completo. Una siffatta descrizione può essere sempre sostituita da unʼaltra, poniamo «il duca di Wellington in occasione della sua vittoria a Waterloo», o «il duca di Wellington bambino». [...] Il secondo uso può essere illustrato quando diciamo che un certo quadro rappresenta Winston Churcill come un bambino, dove il quadro non rappresenta Churcill bambino, ma piuttosto rappresenta Churcill adulto come un bambino. Qui, [...] il «come...» si unisce al

verbo e lo modifica; e abbiamo veri e propri casi di rappresentazione-come (p. 31).

Goodman sintetizza i diversi modi della rappresentazione nei seguenti termini:

Una figura che rappresenta un uomo lo denota; una figura che rappresenta un uomo immaginario è una figura-di-uomo; e una figura che rappresenta un uomo come un uomo è una figura-di-uomo che lo denota. Così, mentre il primo caso riguarda solo ciò che la figura denota, e il secondo solo che genere di figura sia, il terzo invece riguarda sia la denotazione che la classificazione (pp. 31-32).

Dal momento che la rappresentazione-come è sia rappresentazione (una vera e propria denotazione che rimanda ad un oggetto esistente), sia rappresentazione-di (una figura di un certo tipo che non rimanda ad altro da sé, ma informa sul genere di figura che è), essa «“dice” qualcosa e al tempo stesso “mostra” qualcosʼaltro» (Marchetti 2006, p. 31):

Così, davanti a un quadro come ad ogni altra etichetta, si pongono sempre due interrogativi: che cosa rappresenta (o descrive), e che sorta di rappresentazione (o descrizione) sia. Con il primo ci domandiamo a quale oggetto, ammesso che ci sia, esso si applica come etichetta; con il secondo ci domandiamo quale, tra certe etichette, si applica ad esso (Goodman 1968, p. 34).

Dato che le descrizioni-come e le rappresentazioni-come «sono parimenti fatti di esemplificazione piuttosto che di denotazione» (p. 64) – e, dunque, la capacità presentativa pare maggiormente assimilabile al meccanismo dellʼesemplificazione rispetto a quello della rappresentazione –, occorre soffermarsi brevemente proprio sul concetto di esemplificazione e su quello, ad esso strettamente connesso, di espressione.

Nel caso della rappresentazione, come si è visto, il riferimento avviene in una sola direzione – il simbolo rimanda allʼoggetto o allʼevento a cui si riferisce –; nellʼesemplificazione e nellʼespressione, invece, si ha un duplice riferimento: queste ultime invertono la direzione del riferimento e muovono «nella direzione opposta rispetto alla denotazione» (p. 53), muovono «da, e non verso, ciò che è denotato» (ib.).

Inoltre, il simbolo in questione non soltanto deve riferirsi alle proprietà esemplificate, ma deve anche possedere queste stesse proprietà: «Ciò che un simbolo esemplifica deve applicarsi ad esso» (p. 55). Per questo motivo lʼesemplificazione (e lʼespressione, di conseguenza) sembra essere più «un fatto di possesso» (p. 52),109

che non di denotazione.

Un oggetto è grigio, o è un esempio di grigio o possiede questo colore, se e solo se «grigio» si applica allʼoggetto. Così, mentre un quadro denota ciò che rappresenta, e un predicato ciò che descrive, quali proprietà possiedano il quadro o il predicato dipende piuttosto da quali predicati li denotino. Non si può dire che un quadro denoti tali proprietà o predicati, se non nel modo capovolto con cui si disse che un quotidiano locale aveva «acquistato nuovi proprietari». Il quadro non denota il colore grigio, ma è denotato dal predicato «grigio». [...] Un oggetto che è denotato, letteralmente o metaforicamente, da un predicato, e si riferisce a tale predicato e alla

109 Al contrario, secondo John W. Bender, «lʼesemplificazione di una proprietà da parte di unʼopera dʼarte non richiede che lʼopera possieda realmente la proprietà. Le proprietà raffigurative possono essere esemplificate senza essere realmente vere dellʼopera. Di conseguenza lʼesemplificazione non implica il possesso di proprietà» (Bender 2005, p. 90).

proprietà corrispondente, possiamo dire che esemplifica quel predicato o quella proprietà (pp. 52-53).110

Lʼesemplificazione appare «sottoposta a un doppio vincolo rispetto alla denotazione» (p. 83); e lo stesso vale anche per lʼespressione, solo che in questo caso il possesso delle proprietà non è letterale, ma metaforico o traslato. Lʼespressione, cioè, è una sorta di esemplificazione metaforica,111 in cui quello che viene espresso «è metaforicamente esemplificato. Ciò che esprime tristezza è metaforicamente triste. E ciò che è metaforicamente triste è realmente ma non letteralmente triste, cade cioè sotto unʼapplicazione trasferita di qualche etichetta coestensiva a “triste”» (p. 80). Proprio per questo motivo, lo stesso Goodman arriva ad affermare che: «Non ogni esemplificazione è espressione, ma ogni espressione è esemplificazione» (p. 53).

Come per lʼesemplificazione, le proprietà che vengono espresse «non sono solo possedute metaforicamente, ma anche fatte oggetto di riferimento, esibite, emblematizzate, indicate» (p. 81); o, in altri termini, «se a esprime b, allora: 1) a possiede o è denotato da b; 2) questo possesso, o denotazione, sono metaforici; e 3) a si riferisce a b» (p. 88).112 Un quadro grigio, ad esempio, può esemplificare quel determinato colore perché il predicato “grigio” si applica letteralmente a quel quadro; ma, allo stesso tempo, il quadro può anche esprimere tristezza, dal momento che allʼinterno della “struttura simbolica” in cui viviamo siamo portati a collegare il colore grigio ad un sentimento di tristezza.

Lʼampia e minuziosa analisi proposta da Goodman a proposito del problema della rappresentazione – unʼanalisi che risulta certamente più confacente ai territori

Nel documento Ontologia della Performance Art (pagine 94-104)