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Jerrold Levinson e la “storia dellʼarte”

Nel documento Ontologia della Performance Art (pagine 34-39)

1. La questione dellʼarte nellʼestetica analitica

1.4. Jerrold Levinson e la “storia dellʼarte”

Nellʼarticolo Defining Art Historically (1979) Jerrold Levinson varia la definizione istituzionale dellʼarte offerta da Danto, prima, e da Dickie, poi, attraverso la sostituzione della nozione di mondo dellʼarte con quella di storia dellʼarte:39

In questo articolo vorrei cominciare a sviluppare unʼalternativa alla teoria istituzionale dellʼarte, anche se a questʼultima è chiaramente ispirata. Quel che conserverò di quella teoria è lʼidea essenziale che essere unʼopera dʼarte non ha a che fare con una proprietà intrinseca, infine esibita, di una cosa, ma dipende da un genere particolare di relazione tra la cosa e lʼattività e il pensiero umani. Propongo di analizzare questa relazione soltanto nei termini dellʼintenzione di un individuo (o individui) indipendente – in opposizione allʼidea di un atto pubblico (cioè quello di dare lo statuto di candidato per lʼapprezzamento) esercitato da una struttura

istituzionale costituita da molti individui – dove lʼintenzione fa riferimento

(direttamente o indirettamente) alla storia dellʼarte (a quel che lʼarte è stata) in

37 Ciononostante, Dickie mette in evidenza come nella società contemporanea, oltre ai ruoli dellʼartista e del pubblico, esista anche «un certo numero di ruoli supplementari propri del mondo dellʼarte, cioè quelli della critica, dei maestri, dei registi, dei curatori, dei direttori e molti altri» (Dickie 1983, p. 93). Il gruppo

della presentazione costituisce comunque sempre la struttura essenziale della produzione artistica.

38 Questa accusa (condivisa da molti) alla teoria istituzionale di Dickie potrebbe venire riassunta nel seguente modo: le opere, per esistere, ossia per passare dalla qualifica di “candidati allʼapprezzamento estetico” alla qualifica di “opera dʼarte”, hanno bisogno del mondo dellʼarte che dichiari il loro passaggio di status; a sua volta, il mondo dellʼarte, per esistere, ha bisogno delle opere dʼarte.

39 È anche per questo motivo che la definizione di Levinson viene conosciuta come definizione storico-

opposizione a quellʼidea di istituzione in qualche modo oscura ed esclusiva che è il

mondo dellʼarte. Il punto centrale della mia tesi avrà a che fare con un resoconto di

quel che va guardato-come-opera-dʼ-arte – un resoconto che dà a questʼidea una dimensione essenzialmente storica. E questa idea è quel che nel mio lavoro svolgerà il compito che la nozione di mondo dellʼarte svolge nella teoria istituzionale. Il fatto che lʼarte guarda necessariamente indietro nella storia (anche se in alcuni casi non lo fa consapevolmente) è un aspetto che la definizione dellʼarte deve riconoscere. Ignorarlo significa perdere di vista lʼunica spiegazione soddisfacente dellʼunità dellʼarte attraverso il tempo e della sua continua evoluzione intrinseca, cioè il modo nel quale lʼarte di un dato periodo deve comprendere, e non semplicemente seguire, lʼarte che lʼha preceduta (Levinson 1979, pp. 55-56).40

Innanzitutto, Levinson si sofferma su quelle che considera le «due più grandi difficoltà della teoria istituzionale» (p. 56) (tralasciando le accuse più frequenti secondo cui la teoria istituzionale non sarebbe una teoria informativa e i suoi concetti-chiave di “mondo dellʼarte” e di “statuto dato” risulterebbero troppo vaghi ed artificiali):il primo problema è legato al fatto che si deve produrre arte soltanto pubblicamente e in relazione a una certa istituzione sociale; il secondo, invece, dipende dal fatto che il compito di specificare il modo nel quale un oggetto deve essere presentato o trattato per essere unʼopera dʼarte spetta unicamente al “mondo dellʼarte”.

In particolare, per quanto riguarda la prima questione, Levinson ritiene, al contrario, che possa esistere anche «unʼarte privata e isolata» (ib.), che non è pensata nellʼinteresse di nessuno, se non dellʼartista stesso «e dei suoi potenziali fruitori» (ib.): chi fa arte non necessariamente deve fare riferimento, o essere in accordo con il cosidetto mondo dellʼarte per potere operare.

Inoltre, secondo Levinson, unʼautentica definizione dellʼarte deve essere in grado di specificare «quale genere di sguardo deve essere chiesto allo spettatore in relazione allʼoggetto» (p. 57); e da ciò deriva che «unʼopera dʼarte è un oggetto inteso per essere guardato-come-opera-dʼ-arte attraverso ciascuno degli sguardi con i quali le opere dʼarte già esistenti sono state correttamente guardate» (ib.).41

40 Lo stesso Levinson riconosce che sono state le osservazioni di Richard Wollheim, contenute in particolare nelle sezioni 40 e 60-63 del suo Art and Its Objects (1968), a spingerlo a lavorare allʼidea che sta cercando di proporre in questo articolo.

41 «Molti modi differenti di guardare qualcosa come unʼopera dʼarte sono emersi nel corso della storia, inclusi: guardare un artefatto come espressione di un sentimento, come rappresentazione, come sfoggio di forma, come articolazione di ideali culturali, come riflessione sulla natura dellʼarte, e così via. Secondo la

Per creare unʼautentica opera dʼarte un artista deve essere in grado di mettere in relazione lʼoggetto della sua creazione con il repertorio dellʼarte esistente, piuttosto che rispettare “semplicemente” alcune richieste che gli vengono imposte dalla istituzione dellʼarte – e quindi, dal vasto e cangiante insieme di galleristi, direttori di museo, commercianti, critici dʼarte, e così via –.

Ne risulta pertanto che:

(I) X è unʼopera dʼarte

= X è un oggetto che una persona, o più persone, avendo un appropriato diritto di proprietà su X, non casualmente destina a essere guardato-come-opera-dʼ-arte, ad esempio in qualsiasi modo (o modi) attraverso il quale le opere dʼarte precedenti sono o sono state correttamente (o con modalità standard) guardate (p. 59).

Levinson prosegue con lʼoffrire delle delucidazioni su alcune espressioni che ha utilizzato allʼinterno di questa sua prima definizione: innanzitutto, lʼespressione “destina a” deve essere intesa come la sintesi di “forma, orienta e concepisce allo scopo di”; e ciò deve avvenire “non casualmente”, ovvero, non è sufficiente che un oggetto, affinché sia arte, sia soltanto contingentemente destinato a essere guardato-come-opera- dʼ-arte, ma deve appellarsi «a una qualche nozione di correttezza dello sguardo rivolto alle opere dʼarte» (p. 60); inoltre, soltanto un “appropriato diritto di proprietà” da parte di un artista su un determinato oggetto lo può rendere unʼautentica opera dʼarte.42

Sempre allʼinterno dello stesso saggio Levinson offre anche una seconda definizione dellʼarte, in grado di rendere maggiormente esplicita lʼessenziale dipendenza dello statuto di “opera dʼarte” dal tempo:

(It) X è unʼopera dʼarte in t

= X è un oggetto del quale è vero in t che una persona, o più persone, avendo un appropriato diritto di proprietà su X, non casualmente lo destina (o destinava) a

definizione storica dellʼarte, qualcosa è unʼopera dʼarte solo se intende supportare qualche precedente modo di guardare corretto. [...] Questo principio è ciò che dà coerenza al nostro concetto di arte» (Carroll 1999, pp. 241-242).

42 Qui Levinson sottolinea che solitamente si acquisisce il “diritto di proprietà” su qualcosa, creando questo qualcosa; in realtà, come si avrà modo di vedere più avanti, non sempre è necessario creare qualcosa per avere il diritto di “renderla arte”, e ciò viene testimoniato dalla found art, in particolare, e dallʼarte concettuale in genere. Quel che è certo è che: «La condizione del diritto di proprietà richiede che io possieda dei diritti sullʼoggetto in questione. Ciò significa che lʼintenzione deve essere piuttosto seria, longeva e deliberata» (p. 243).

essere guardato-come-opera-dʼ-arte, ad esempio in qualsiasi modo (o modi) attraverso il quale le opere dʼarte precedenti a t sono o sono state correttamente (o con modalità standard) guardate (p. 62).

In particolare questa definizione non riconosce soltanto che un oggetto può essere unʼopera dʼarte in un certo tempo e non in un altro, ma anche che un oggetto può non essere unʼopera dʼarte nel momento della sua creazione ma lo può diventare in unʼepoca successiva. A tale riguardo Levinson afferma che esistono tre tempi importanti in relazione allʼopera dʼarte: il primo è il tempo della creazione fisica dellʼoggetto (chiamato tf); il secondo è il tempo della creazione dellʼoggetto intenzionato (ti), ossia il tempo nel quale il mero oggetto fisico viene trasformato da una certa intenzione che lo riguarda; il terzo è il tempo del diventare arte (ta). Di solito, nella produzione artistica

tf=ti=ta. Tuttavia, in alcuni casi, come in quello della found art, tf precede ti e ti=ta;

oppure, nel caso del creatore inconsapevole che “anticipa i tempi”, tf=ti e ta è successivo a ti.

In ogni caso, comunque, dalla definizione storica proposta da Levinson deriva che essere arte in t significa essere intenzionalmente correlato a qualcosa che è arte prima di t, essere «in relazione allʼattuale corpus di oggetti che sono arte prima di quel tempo» (p. 64). Il significato dellʼarte di oggi, infatti, trova le sue “radici” nel significato dellʼarte del passato; e per rendere questo aspetto esplicito, Levinson modifica lievemente la sua definizione precedente, affermando che:

(Iʼt) X è unʼopera dʼarte in t

= X è un oggetto del quale è vero in t che una persona, o più persone, avendo un appropriato diritto di proprietà su X, non casualmente lo destina (o destinava) a essere guardato-come-opera-dʼ-arte, ad esempio in qualsiasi modo (o modi) attraverso il quale gli oggetti nellʼestensione di «opere dʼarte» precedenti a t sono o sono state correttamente (o con modalità standard) guardate (p. 65).

Stando così le cose, lo stesso Levinson fa emergere quello che di primo acchito potrebbe apparire come un limite della sua definizione, la quale, facendo dellʼarte qualcosa di necessariamente legato ad uno sguardo verso il passato, risulterebbe di conseguenza inapplicabile a tutti i casi di arte rivoluzionaria.

Tuttavia, premettendo che la maggior parte dei movimenti artistici sono rivoluzionari soltanto in senso debole,43 Levinson suggerisce due «strategie» (p. 66) in grado di conciliare la sua proposta con questa tipologia di arte: si può continuare a credere che anche se gli artisti consapevolmente rivoluzionari desiderano che le proprie opere vengano trattate con modalità del tutto nuove e diverse da quelle del passato, per renderle arte devono, almeno inizialmente, dirigere il proprio pubblico ad assumerle con una qualche modalità, con la quale lʼarte è già stata considerata «– altrimenti quale senso possiamo dare alla rivendicazione di aver prodotto arte invece che qualcosa di diverso?» (ib.); oppure, si può “liberalizzare” il nostro sguardo sullʼarte arrivando a guardare le opere dʼarte «in qualche altro modo in contrasto e contro al background» (ib.) dei modi con cui abitualmente si è guardato alle opere dʼarte passate.

La prima strategia è quella che viene preferita e assunta da Levinson stesso, il quale riconosce che, in ogni caso, affinché un artista crei davvero unʼopera rivoluzionaria, non può non fare riferimento alla produzione artistica del passato. Le opere dʼarte sono infatti, almeno in parte, progettate per uno sguardo memore delle modalità con le quali le opere dʼarte del passato sono state guardate.

Se davvero originali, allora, alcune opere dʼarte si distingueranno da quelle del passato sotto alcuni aspetti (non tutti) e si offriranno allo sguardo dei fruitori in modi diversi (non totalmente) da quelli comunemente in uso. «Ma allora quelle modalità diventeranno parte della tradizione dellʼapprezzamento artistico, consentendo alle opere più nuove di essere considerate arte in riferimento a queste e così via» (p. 67). Col tempo, dunque, le opere dʼarte rivoluzionarie verranno assorbite nel mainstream e perderanno il loro potere “scioccante”, divenendo il bersaglio di nuove avanguardie, sempre più “audaci”. La produzione artistica del passato, quindi, è necessariamente coinvolta in quella del presente: quello che lʼarte è oggi dipende «concettualmente, e non semplicemente casualmente» (p. 68), da ciò che lʼarte è stata. Ciononostante, come suggerisce lo stesso Levinson, la sua definizione dellʼarte può essere applicata non

43 Secondo Levinson nessun movimento artistico prima del Dadaismo è stato in grado di negare davvero lʼapplicabilità di tutti (e non di alcuni soltanto) i modi passati con cui si sono considerate le opere dʼarte. Lʼarte “debolmente” rivoluzionaria, pertanto, non sarebbe in grado di arrivare a mettere in crisi la definizione dellʼarte da lui proposta.

soltanto al tempo presente, ma anche a tempi passati più remoti, sino ad arrivare alle origini dellʼarte stessa, a ciò che egli definisce la proto-arte.44

In definitiva, pur avendo riconosciuto apertamente che la sua definizione dellʼarte si ispira a quella istituzionale, Levinson attribuisce certamente maggiore importanza alla produzione dellʼarte che non alle strutture e alle convenzioni sociali che si sviluppano intorno ad essa; e, di conseguenza, riconosce che lʼessenza dellʼarte non sta nella sociologia dellʼarte (come ritiene invece la teoria istituzionale), quanto «nella relazione tra lʼarte e la sua storia contingente» (p. 74).

Il pregio della definizione di Levinson sembra risiedere proprio in questo suo tentativo di porre in evidenza ciò che potrebbe apparire come una banalità – troppe volte sottostimata dalla filosofia dellʼarte contemporanea –, ossia il fatto che lʼarte ha a che fare intrinsecamente con la sua storia, al punto che qualsiasi definizione che prescinda da questa considerazione non può che risultare insufficiente e, implicitamente, falsa.

Nel documento Ontologia della Performance Art (pagine 34-39)