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La performance

Nel documento Ontologia della Performance Art (pagine 129-133)

2. Richard Schechner e la teoria della performance

2.3. La performance

Arrivati a questo punto, diventa decisivo domandarsi (come lo stesso Schechner fa): «come può la comprensione dellʼintero processo teatrale – le prove, lʼaddestramento, la preparazione e pure lo stesso spettacolo – aiutarci a comprendere il processo sociale (come la gente vive ordinariamente e in periodo di crisi)» (Schechner 1985a, p. 25).

146 «Gli esseri umani sono gli unici tra gli animali a sostenere ed esprimere contemporaneamente identità multiple e ambivalenti» (Schechner 1983, p. 17).

147 «I processi-trasformativi sono presenti chiaramente nei riti di iniziazione, il cui autentico scopo consiste appunto nel trasformare lʼidentità sociale dei partecipanti. Lʼiniziazione quindi non solo segna un cambiamento, ma rappresenta il mezzo attraverso cui le persone raggiungono il loro nuovo sé: senza dinamismo viene a mancare la condizione necessaria al mutamento» (Schechner 1981b, p. 187).

Innanzitutto dovrebbe risultare abbastanza chiaro che nella prospettiva teorica di Schechner «il paradigma teatrale è una chiave per comprendere livelli e contesti più ampi di interazione sociale umana» (Schechner 1977a, p. 95) e che la nozione di performance sembra costituire il cardine di unʼindagine intorno alla problematica teatrale non tanto «dal punto di vista dello spettacolo (concepito come un oggetto estetico da contemplare) ma dal punto di vista della complessa serie di processi e di interrelazioni umane (in senso antropologico culturale) che si determinano nellʼevento teatrale e performativo» (Deriu 2013, p. 29).

Consapevole del fatto che il termine “performance” possa affiorare in circostanze molto diverse tra loro, Schechner arriva a proporre una sua definizione generale, permutando il sostantivo “performance” con il verbo corrispondente “to perform”. Proprio questo “stratagemma” gli permette di riuscire a rendere la natura essenzialmente dinamica del concetto, dato che i verbi vanno sempre ad esprimere azioni e là dove cʼè azione, cʼè performance (anche se non necessariamente vale il contrario).

Schechner conia, a tale riguardo, una formula specifica: is/as performance. Pressoché ogni cosa può essere pensata come (as) una performance: se si prende come esempio unʼattività umana qualsiasi, possiamo cominciare a porci infinite questioni di tipo performativo – cosa sta succedendo?; quali potranno essere le conseguenze di ciò che sta accadendo?; come sono vestite le persone coinvolte e quali ruoli rivestono?; come si presenta lo spazio in cui si svolge tale attività?; e così via –. Certamente questo atteggiamento “inquisitorio” comporta il vantaggio di cogliere la dinamicità e la “teatralità” della vita stessa dellʼuomo. Il territorio dellʼas performance è, infatti, estremamente ampio, per non dire infinito. Ciò che invece è (is) una performance ha a che fare con eventi più definiti e circoscritti a contesti e convenzioni culturalmente vincolanti.

Ciononostante, come evidenzia lo stesso Schechner, con lʼavvento del ventunesimo secolo la distinzione tra is performance e as performance è destinata a dissolversi completamente:

The internet, globalization, and the ever-increasing presence of media is saturating human behavior at all levels. More and more people experience their lives as a connected series of performances that often overlap: dressing up for a party,

interviewing for a job, experimenting with sexual orientation and gender roles, playing a life role as mother or son, or a professional role such as doctor or teacher. The sense that “performance in everywhere” is heightened by an increasingly mediatized environment where people communicate by fax, phone, and the internet, where an unlimited quantity of information and entertainment comes through the air (Schechner 2013, p. 49).

Per questo motivo, già a partire dal 1973, in particolare con il suo saggio

Drama, Script, Theater and Performance, Schechner lavora, con sempre maggiore

consapevolezza, ad un progetto specifico: «disegnare una mappa del territorio occupato dalla performance» (Valentini 1984, p. 25).

Ho voluto assumere una prospettiva trasversale tra i generi e interculturale, e vedere quali fossero i “limiti” della performance. Ho cercato di pensare a performance di diverse grandezze – o magnitudini: da eventi lunghissimi, che durano mesi o addirittura anni, fino a eventi di frazioni di secondo; da eventi di larghissima portata territoriale, misurabili in milioni di miglia, fino ai più piccoli “eventi cerebrali” dellʼarte concettuale (vale a dire performance che non esigono affatto la dimensione spaziale); da esempi certi di teatro, danza e musica fino a fenomeni dinanzi ai quali Clifford Geertz potrebbe sbarrare gli occhi come dinanzi al più confuso dei generi: la crisi degli ostaggi in Iran nel 1979-1980, il bar-mitzvah, celebri processi di omicidi (come quelli di Klaus von Bulow o di Jean Harris), funzioni religiose indù, incontri di pugilato per il titolo mondiale, “soap opera” televisive, le rappresentazioni Yaqui per la Pasqua, il teatro e la danza euro-americani ortodossi, il dramma Nō, il Ramlila, eccetera (Schechner 1986, p. 158).148

Innanzitutto è necessario mettere in evidenza che la nozione di “performance” adoperata da Schechner, al di là dellʼuso lessicale comune, copre pratiche diverse (tanto nello spazio quanto nel tempo), è riferibile a differenti generi di spettacolo – i riti degli Orokolo, il teatro Nō, le adunanze politiche, le gare sportive, piuttosto che la “danza della pioggia” degli scimpanzé o il combattimento dei galli a Bali – e, pertanto, designa

148 La tesi di Schechner, infatti, è la seguente: «1) esiste un campo unificabile della performance che include il rituale, il teatro, la danza, la musica, gli sport, il gioco, il dramma sociale e vari intrattenimenti popolari; 2) in tutti questi esempi è possibile individuare in azione certi schemi; 3) da questi schemi i teorici possono sviluppare modelli regolari e ampiamenti fondati che rispettano lʼimmediatezza, la transitorietà, la peculiarità e la natura in costante trasformazione delle singole performance, tendenze e generi consolidati» (Schechner 1986, p. 158).

semanticamente proprio la dilatazione dei confini del teatro e la sua progressiva indistinzione e ibridazione come pratica spettacolare e performativa.

Al di là della definizione che ne dà in Drama, Script, Theatre and Performance – «Performance: il cerchio più largo, più indefinito. Lʼintera costellazione di eventi (la maggior parte dei quali passano inosservati), che hanno luogo sia fra gli attori che tra il pubblico, dal momento in cui il primo spettatore entra nel campo della performance, al momento in cui lʼultimo spettatore va via» (Schechner 1973a, p. 81) –,149

il termine segnala una vera e propria direzione di ricerca: «Ed è quella in cui comportamento è rappresentazione, eticità è equilibrio psicofisico dellʼindividuo nel gruppo, spettacolare è recuperare modelli culturali del passato e riviverli nel presente» (Valentini 1984, pp. 25-26).

Nel portare avanti questʼimpresa Schechner sperimenta allora se stesso come “analista” del suo teatro, al punto di arrivare ad utilizzare i suoi spettacoli come autentiche sperimentazioni della sua teoria e, al tempo stesso, elaborare le sue idee proprio a partire dalla pratica sperimentale. Sembra risiedere qui lʼidea del teorico/analista che tenta di spiegare lo sviluppo della propria estetica in riferimento a quella celebre svolta performativa che a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso ha rivoluzionato la Theaterwissenschaft (di questa svolta si avrà modo di parlare diffusamente più avanti, quando si analizzerà la proposta estetica della teatrologa tedesca Erika Fischer-Lichte). Per Schechner la scrittura diventa una pratica performativa: lʼarte si fa discorso e lo spazio del teatro «è uno spazio enunciativo: reportage, lettere, diarii sono i materiali che segnano il territorio del teatro dallʼinterno» (pp. 26-27).

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Come riferisce lo stesso Schechner: «Per sostenere questa impresa di definizione/classificazione, adotto uno schema di cerchi concentrici e sovrapposti: una serie di quattro dischi con il maggiore sul fondo e ognuno appoggiato su quello immediatamente più grande [cfr. la figura corrispondente a p. 81 di Schechner 1973a]. Il crescere delle circonferenze è inteso sia letteralmente, come crescita, nello spazio e nel tempo, sia concettualmente come estensione dellʼidea-area considerata. Di solito, anche se non sempre, il disco maggiore contiene tutti quelli minori [...]: il dramma è ciò che lʼautore scrive; lo script è la mappa interiore di una particolare produzione; il teatro è lo schema di gesti particolari eseguito dagli attori in una data performance; la performance è lʼintero evento, compreso il pubblico e i performer (e anche i tecnici, tutti i presenti)» (pp. 80-81; 88).

Capitolo quinto

La Performance Art

Nel documento Ontologia della Performance Art (pagine 129-133)