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L'impegno dei medici per il rinnovamento della medicina: un approccio generazionale

Benché in questa sede non si intenda negare il carattere dirompente e innovativo assunto dal movimento del ‘68, in particolar modo da quello degli studenti universitari di medicina, è importante notare come l’esigenza di un rinnovamento del sapere e della pratica medica sia esistita in Italia sin dal decennio Sessanta . Non si è trattato in questo secondo caso di un movimento di massa, bensì dell’iniziativa di alcuni medici che si distinsero in particolare per una critica delle istituzioni sanitarie allora esistenti e per l’affermazione dell’universalità del diritto alla salute. Nel corso del primo capitolo è stato messo in luce il ruolo giocato da Ivar Oddone nel contesto torinese, nonché dai medici assunti presso l’Inca di Roma, quali Marcello Marroni e Rosario Bentivegna, nella denuncia delle gravi condizioni di salute esistenti all'interno delle fabbriche e nella ricerca di strategie di intervento tali da garantire la prevenzione di malattie e infortuni professionali. La loro iniziativa non fu isolata, ma accompagnata da quella di altri esponenti della comunità scientifica italiana, che parimenti denunciarono l'esistenza di pessime condizioni igienico-sanitarie presso la maggior parte degli stabilimenti industriali. Si pensi d’altra parte che tra il 1959 e il 1968 si verificò un costante incremento di malattie e infortuni professionali, a fronte di una riduzione dell’occupazione

250 Intervista a Franco Carnevale, svolta a Firenze, il 13/01/2016.

251 Si rimanda ad A.L., c. 15.16.2, ff. 44 che contiene la corrispondenza tra Antonio Grieco, allora direttore della Clinica Devoto di Milano e Egidio Roncaglione, direttore del Centro contro la nocività della Camera del Lavoro di Milano.

industriale. Se nel caso delle malattie professionali tale aumento poteva in parte essere determinato dall’ampliamento dell’elenco di patologie ad assicurazione obbligatoria, riguardo l’elevato tasso di infortuni non esistevano dubbi di interpretazione. Significativo notare come la frequenza di infortuni fosse maggiore negli stabilimenti di medie e piccole dimensioni, tradizionalmente meno sindacalizzati, ed altresì come la silicosi, malattia dall’eziologia ampiamente conosciuta, fosse una delle patologie più ricorrenti tra i lavoratori industriali252.

Un’ulteriore questione che suscitò la presa di posizione di alcuni gruppi di medici e scienziati riguardava il mutamento epidemiologico allora in atto, caratterizzato dal passaggio dalla maggioranza di malattie infettive a quella di malattie cronico-degenerative. L’esistenza di un’eziologia chiara per le prime e incerta per le seconde portò alcuni a porre l’accento sulla necessità di adeguare il sistema sanitario italiano e a richiedere un potenziamento dell’intervento preventivo. Era quest’ultimo un obiettivo promosso contestualmente a livello internazionale dall’Organizzazione mondiale della sanità, che all’interno della sua carta fondativa, redatta nel 1948, adottava una definizione di malattia come di uno stato di «complete physical, mental and social well-being and not merely the absence of disease or infirmity», sottolineando così la priorità dell’intervento preventivo su quello curativo253.

Qui di seguito interessa in particolar modo soffermarsi su due figure, quali quella di Giovanni Berlinguer e Giulio Maccacaro, che, al pari di Oddone, ebbero un ruolo pionieristico rispetto alla rivendicazione di un modello di medicina sociale e preventiva. Si tratta di personaggi molto diversi tra loro. Oddone declinò la sua militanza a fianco del sindacato, Berlinguer diversamente fu un dirigente del Partito Comunista, mentre Maccacaro non aderì mai esplicitamente a un determinato partito o gruppo politico, ma gravitò nell'area della sinistra extraparlamentare254. Sembra quindi interessante ripercorrere le analisi e le proposte

operative da essi rispettivamente formulate e mettere in luce i principali punti di incontro e di divergenza. Tanto Oddone, quanto Berlinguer e Maccacaro erano già docenti universitari quando emerse la contestazione studentesca, pertanto è opportuno distinguere il loro percorso politico da quello degli studenti del movimento del '68, che si caratterizzò come una protesta generazionale, fortemente critica nei confronti dell'istituzione universitaria e di chi la incarnava. D’altra parte, al di là di una troppo schematica contrapposizione tra studenti e

252 Si vedano i dati riportati in: Giovanni Berlinguer, La salute nelle fabbriche, Bari, De Donato, 1973; Luigi Campiglio, Lavoro salariato e nocività. Infortuni e malattie del lavoro nello sviluppo economico italiano, Bari, De Donato, 1976. I dati Inail circa infortuni e malattie professionali sono visionabili anche on-line, all’indirizzo: http://bit.ly/2wGm76X, ultimo accesso il 22/08/2017.

253 La carta dei principi del Oms è consultabile online, al sito http://www.who.int/about/mission/en/, ultimo accesso il 22/08/2017.

254 Maria Luisa Clementi, L’ impegno di Giulio A. Maccacaro per una nuova medicina, Milano, Medicina Democratica, 1997.

insegnanti, è interessante comprendere in che modo le rivendicazioni emerse dalle facoltà di medicina furono accolte da quanti erano già impegnanti in favore di un rinnovamento del sapere medico e delle istituzioni sanitarie255.

Ottenuta l’abilitazione per l’insegnamento di medicina sociale alla fine degli anni Cinquanta, Berlinguer dedicò uno dei suoi primi studi alla disamina delle conseguenze sanitarie del progresso tecnico. Tale studio, dal titolo Automazione e salute, si inseriva nell’allora dibattito circa la natura dello sviluppo capitalistico, particolarmente sentito dalla sinistra italiana, e prendeva le distanze tanto da quanti teorizzavano le potenzialità taumaturgiche del progresso, tanto dalle tesi opposte, che ritraevano lo sviluppo economico e quello sanitario come inversamente proporzionali256. Belinguer dedicava particolare attenzione

al lavoro industriale e notava come l’automazione dei processi di produzione ponesse le basi per un sostanziale miglioramento delle condizioni di salute, permettendo ad esempio di evitare il contatto tra gli operai e le sostanze tossiche, nonché la riduzione della fatica fisica attraverso la progressiva meccanizzazione delle attività manuali. Il ragionamento tuttavia proseguiva attraverso l’analisi dei dati allora a disposizione, che registravano un aumento di nevrosi industriali, degli infortuni, nonché delle patologie legate all’immissione di nuove sostanze tossiche nei processi di produzione. Berlinguer evidenziava altresì come la tendenza al prolungamento della giornata lavorativa fosse tipica di molti settori industriali e mostrava quindi come in Italia l’incremento di produttività fosse legato alla forzatura di orari, tempi e ritmi di lavoro piuttosto che all’ammodernamento di tecniche e macchinari. Per concludere scriveva: «la tecnica non è di per sé efficace a risolvere i problemi sociali, se non in quanto strumento di una volontà coordinata e orientata dall'uomo, anzi dagli uomini», anticipando così uno dei temi principali della sua riflessione politica successiva, volta a individuare i migliori strumenti politici e istituzionali verso la garanzia di un universale diritto alla salute257.

Il saggio dato alle stampe l’anno successivo, scritto a quattro mani insieme al medico del lavoro Severino Delogu, dal titolo La medicina è malata, proseguiva il ragionamento là dove

255 Marica Tolomelli, Giovani anni Sessanta: sulla necessità di costituirsi come generazione, in Paolo Capuzzo, Genere, generazione e consumi. L'Italia degli anni Sessanta, Roma, Carocci, 2003, pp, 191-216. Un'analisi che si concentri sul ruolo svolto dal corpo docente universitario nel corso del Sessantotto rimane da scrivere. Un primo importante contributo, elaborato attraverso la lente metodologica della storia orale, è quello di Francesca Socrate, Un altro sessantotto. La protesta nella memoria dei docenti dell'Università di Roma "La Sapienza", Roma, Biblink, 2008.

256 Giovanni Berlinguer, Automazione e salute. Problemi medico-sociali del progresso tecnico, Roma, Istituto di medicina sociale, 1958.

257 Ibid. p. 149. Nel corso della sua ininterrotta attività di storico della salute e della medicina, Berlinguer mantenne immutata la sua riflessione sul ruolo della tecnica nella società. Si veda il suo saggio Evoluzione

nosologica dalla rivoluzione industriale alla rivoluzione tecnico scientifica, in Maria Luisa Betri e Ada

Gigli Marchetti, Salute e classi lavoratrici in Italia dall'Unità al fascismo, Milano. Franco Angeli, 1982, pp. 9-11.

si era interrotto il testo Automazione e salute. Berlinguer e Delogu introducevano il loro pamphlet mettendo in luce l’incapacità del sistema sanitario allora esistente nel far fronte alle richieste sanitarie dell’epoca, finanche le più ordinarie. In particolar modo era criticata la caotica sovrapposizione di diversi provvedimenti legislativi approvati nel corso del secolo e la conseguente contraddizione tra il proliferare di enti sanitari e la mancanza di un’adeguata assistenza alla malattia. Tra i diversi esempi presentati ai lettori, emblematico il caso di una ragazza ammalatasi di tubercolosi e curata d’urgenza. La sua guarigione era stata seguita da un processo giudiziario durato sette anni, in cui erano state coinvolte diverse istituzioni sanitarie, rispettivamente volte a declinare ogni responsabilità economica riguardo le cure ospedaliere sostenute dalla ragazza. Simile situazione nasceva dall’estrema ambiguità della legislazione sanitaria di allora, secondo la quale l’Inps (Istituto nazionale prevenzione infortuni) avrebbe dovuto provvedere al pagamento se le malattia si fosse trovata in fase attiva, l’Inam (Istituto nazionale assicurazione malattia) se la patologia non era ancora contagiosa e infine il Consorzio antitubercolare provinciale per tutti coloro non assicurati dall’Inam258. La seconda parte del saggio era dedicata alla proposta di riforma sanitaria, che

nella trattazione di allora non assumeva ancora caratteri definiti, ma era sostanzialmente delineata attraverso alcuni principi fondamentali, quali l’universalità del diritto alla salute, la nascita di un servizio sanitario coordinato dal ministero della sanità e amministrato secondo le competenze reciproche di enti regionali, provinciali e comunali259.

Nel corso degli anni successivi Berlinguer proseguì la sua attività accademica e politica, dedicando il suo impegno di ricercatore allo studio di alcune patologie professionali260 e

proseguendo la sua iniziativa in favore dell’elaborazione di una riforma sanitaria, informata dai principi già delineati nel ‘59261. All’indomani del 1968 la sua riposta all’emergere della

mobilitazione studentesca si iscrisse all’interno dell’atteggiamento adottato dal Pci a livello nazionale, caratterizzato da chiusure e parziali aperture nei confronti delle istanze sollevate dalla contestazione giovanile262. Nel corso di un intervento presso il seminario nazionale degli

258 Giovanni Berlinguer, Severino Delogu: La medicina è malata, Bari, Laterza, 1959, pp. 2-3. Delogu si specializzò in medicina e igiene del lavoro presso l’Università di Sassari. Dapprima militante del Partito sardo d’azione, si iscrisse al Pci nel 1970, dove fu membro della commissione sanità presso la direzione nazionale.

259 Ibid. pp. 225-257. Si noti che la proposta di Berlinguer e Delogu ricalcava, nei suoi tratti fondamentali, quelle presentate in parlamento dalla Cgil prima e dalla Cisl in seguito, rispettivamente nel 1956 e nel 1957.

260 Si segnalano in particolar modo: Malattie e igiene del lavoro degli autoferrotramvieri, Roma, Istituto italiano di medicina sociale, 1962; I poveri muoiono prima, a cura della Sezione centrale stampa e propaganda del PCI, 1967 e La salute nelle fabbriche, Bari, De Donato, 1969.

261 All’ipotesi di riforma sanitaria vennero dedicate alcune pubblicazioni, dal carattere divulgativo, quali: Sanità pubblica nella programmazione economica (1964-1978), Roma, Leonardo Edizioni Scientifiche, 1964; Enti locali e politica sanitaria, Roma, Editori Riuniti, 1966.

262 Sul rapporto tra Pci e movimento del '68 si veda Alexander Hobel, Il Pci di Longo e il '68 studentesco, Studi Storici, anno 45, n. 2, pp. 419-459.

studenti di medicina, tenutosi a Roma nel luglio 1968, egli individuò nella messa in discussione del ruolo del medico nella società e nella critica del del sapere scientifico tradizionale le proposte più originali emerse dalla protesta universitaria. D’altra parte nella stessa sede ammonì il suo uditorio rispetto al pericolo di una radicalizzazione del movimento e dalla mancanza di obiettivi concreti su breve, medio e lungo termine. Diceva allora:

Il rifiuto categorico di questo ruolo che la società capitalistica attribuisce al medico, può assumere diversi aspetti: può giungere all'abbandono della medicina per impegnarsi totalmente nella politica; oppure può essere una scelta che mantenga un rapporto con l’attività medica, con una lotta sul terreno professionale e culturale, evitando ovviamente il pericolo che studenti impegnati oggi nella lotta si lascino poi docilmente integrale una volta finita l'università263

Una simile argomentazione fu riproposta da Berlinguer in un contesto differente, in occasione del Congresso nazionale di igiene e sanità pubblica. In quella sede egli menzionò alcune figure di medici rivoluzionari, divenute icone del movimento studentesco, quali Che Guevara e Frantz Fanon, rispettivamente coinvolti nella rivoluzione cubana e nella guerra di indipendenza dell’Algeria, nonché il medico canadese Norman Bethune, coinvolto prima al fianco dei repubblicani nella guerra civile spagnola e poi nella guerra civile cinese a fianco di Mao Zedong. Le traiettorie rivoluzionarie percorse da questi ultimi tuttavia, erano descritte come percorsi straordinari da Berlinguer, che ancora una volta richiamava il movimento studentesco italiano alla concretezza degli obiettivi264.

Anche all’indomani del biennio ‘68-’69 la realizzazione di una riforma delle istituzioni sanitarie continuò a costituire uno dei principali fini programmatici per Berlinguer. Eletto alla Camera sia nel ‘73 che nel ‘76, egli si dedicò all’elaborazione di una riforma sanitaria sia attraverso l’attività parlamentare – facendosi promotore di una proposta di legge sia nel 1973 che nel 1976 – sia attraverso un'ininterrotta attività di divulgatore scientifico. La comparazione tra la proposta di riforma formulata nel decennio Sessanta con quella posteriore al ‘68 fa emergere chiaramente come nel passaggio da un decennio all'altro egli maturò progressivamente l'attenzione riguardo la dimensione partecipativa che le nuove istituzioni sanitarie avrebbero dovuto assumere. In un convegno tenutosi presso l’Istituto superiore di sanità, nel 1970, gli aspetti fondamentali della riforma furono individuati nella creazione di

263 Giovanni Berlinguer, Medicina e politica, Bari, De Donato, 1973, p. 172. Una critica analoga fu sollevata rispetto alle traiettorie percorse dal movimento del ‘68 nella sua dimensione internazionale. Su questo si veda la recensione di B. al testo del medico francese J.C. Polack,La medicina del capitale, riportate nello stesso volume Medicina e politica, op. cit. p. 184 e ss.

264 Ibid. p. 193 e ss. Per un’ampia disanima del paradigma terzomondista attraverso la contestazione studentesca nazionale e internazionale, si veda Marica Tolomelli, Dall’anticolonialismo all’anti-imperialismo yankee nei

strutture preventive e nel trasferimento di poteri verso «organismi che nella fabbrica, nel territorio, siano espressione della volontà collettiva o permeabili alle sollecitazioni democratiche»265. In La riforma sanitaria, pubblicato nel ‘74, l’elenco delle caratteristiche

fondamentali del futuro Ssn, si apriva con l’affermazione del «primato della partecipazione, cioè (della) democrazia sanitaria come esigenza intrinseca del servizio»266.

Sull’evoluzione dell’elaborazione politica di Berlinguer e sulla nuova centralità attribuita alla partecipazione si intravede l’influenza tanto del movimento universitario, quanto dell’autunno caldo operaio. All’indomani del congresso Cgil-Cisl-Uil sull'ambiente di lavoro tenutosi a Rimini del ‘72, che aveva sancito l’adozione da parte del sindacato unitario della strategia rivendicativa elaborata da Oddone e Marri, Berlinguer si espresse in favore di tale linea sindacale267. Allo stesso tempo egli rimase sempre estraneo a un’interpretazione troppo

radicale di tale principio di «non delega» della salute, evidenziando non solo la necessità di declinare la presa di parola dei lavoratori all’interno di riconosciute istituzioni sanitarie, ma altresì la subordinazione delle richieste di intervento emerse dalle fabbriche al giudizio espresso dai medici, che in ultima istanza rimanevano primi depositari del sapere scientifico268. Su quest’ultimo nodo teorico esisteva una divergenza di fondo rispetto al gruppo

riunitosi attorno a Ivar Oddone, che al contrario, come si è visto, teorizzava la centralità «dell’esperienza operaia» per la costituzione di una «comunità scientifica allargata», fondata sulla collaborazione tra tecnici e lavoratori, che erano rispettivamente considerati come portatori di forme di conoscenza differenti, ma complementari e ugualmente necessarie all’interno del processo di messa in sicurezza degli ambienti di lavoro.

Una posizione analoga a quella sostenuta da Berlinguer fu contestualmente difesa da Laura Conti, medico e militante del Pci, considerata tra i principali precursori del movimento ambientalista italiano269. Nata a Udine nel 1921, Conti prese parte alla Resistenza tra le fila

delle brigate partigiane del Fronte della gioventù270. All’indomani del Secondo conflitto

mondiale si laureò in medicina, con specializzazione in ortopedia e intraprese una lunga e significativa carriera politica, che la vide impegnata come consigliera comunale di Milano dal 1960 al 1970, come consigliera regionale tra il 1970 e il 1980 e come deputata sino al 1992.

265 G. Berlinguer, Medicina e potere, op. cit. p. 177 e ss.

266 Giovanni Berlinguer, Sergio Scarpa (a cura di), La riforma sanitaria, Roma, Editori riuniti, 1974, p. 80 267 Ibid. p. 70 e ss.

268 La presa di posizione rispetto alla radicalizzazione del principio di «non delega» all’interno delle mobilitazioni per la tutela degli ambienti di lavoro è esplicitato nell’introduzione alla seconda edizione di: La salute nelle fabbriche, Bari, De Donato, 1973 (1969).

269 Stefania Barca, Laura Conti e le origini dell’ecologia italiana, in «Ricerche storiche», settembre-dicembre 2011, pp. 541-550.

270 Durante la Resistenza fu catturata dai tedeschi e deportata. Tale esperienza fu raccontata nel romanzo autobiografico: Laura Conti, La condizione sperimentale, Milano, Mondadori, 1965.

Conti fu un’instancabile divulgatrice scientifica e tra le prime a condurre in Italia una sistematica riflessione sulle conseguenze ambientali dell’azione antropica, in particolar modo quella industriale, schierandosi in difesa della salvaguardia delle risorse naturali e degli equilibri ecosistemici271. Il suo impegno in favore di una maggiore tutela degli ambienti di

lavoro fu meno sistematico rispetto a quello di Berlinguer e Oddone, inscrivendosi all’interno di una più generale critica degli inquinamenti agricoli, industriali e domestici e delle loro ripercussioni sulla salute dei lavoratori e della popolazione. Negli decenni Cinquanta e Sessanta si unì al coro di quanti chiedevano una riforma sanitaria e l’istituzione del Servizio sanitario nazionale, condividendo i principali obiettivi programmatici della la proposta contestualmente avanzata da Berlinguer272. Successivamente, nel 1976, all’indomani

dell’incidente di Seveso, quando l’esplosione di un reattore presso lo stabilimento chimico Icmesa causò l’inquinamento di un’area abitata da circa 10.000 persone, intervenne in difesa dei lavoratori e degli abitanti della zona, distinguendosi in particolar modo per il suo impegno femminista in tutela dei diritti sanitari delle donne colpite dalla contaminazione273.

Nel corso del decennio ‘70 Conti fu attenta osservatrice delle mobilitazioni operaie contro la «monetizzazione» della salute, in particolar modo quelle che si svolgevano su territorio lombardo. Guardò con favore alla strategia sindacale per la tutela degli ambienti di lavoro e alla richiesta di partecipazione da essa veicolata, condividendo la spinta verso un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nelle indagini sanitarie e ambientali da effettuare in fabbrica. Tuttavia, al pari di Berlinguer, si mostrò scettica nei confronti di un’equiparazione tra esperienza operaia e sapere scientifico tradizionale, cosi come essa era stata teorizzata dal gruppo riunitosi attorno a Oddone e Marri. Se si affidava l’iniziativa di intervento sanitario ai lavoratori e alle loro rappresentanze, notò allora Conti, si correva il rischio di introdurre adeguate misure preventive e modifiche impiantistiche solo nel momento in cui le patologie professionali erano giunte a uno stadio avanzato. Era questo ad esempio il caso della sordità, nonché dei tumori professionali274.

Un approccio più vicino a quella quello della Commissione medica torinese fu invece adottato da Giulio Maccacaro, biologo e medico italiano originario di Codogno, che fu una figura di spicco della comunità scientifica italiana, nonché instancabile divulgatore scientifico

271 Laura Conti, Che cos’è l’ecologia: capitale, lavoro e ambiente, Milano, G. Mazzotta, 1977.

272 Laura Conti, L’assistenza e la previdenza sociale. Storia e problemi, Milano, Feltrinelli, 1958; Si veda anche l’intervento di Conti in: Giornate di studio dei medici comunisti, 28-30 giugno 1963, Roma, Istituto di studi comunisti, op. cit.

273 Laura Conti, Visto da Seveso: l’evento straordinario e l’ordinaria amministrazione, Milano, Feltrinelli, 1977; Marcella Ferrara, Le donne di Seveso, Roma, Editori Riuniti, 1977.

274 Antonio Pizzinato, Giancarlo Pelucchi (a cura di), La fabbrica e la salute. Lotte operaie e contrattazione a

e protagonista della vita politica del suo tempo. Maccacaro apparteneva alla stessa generazione di Conti, Berlinguer e Oddone: fu partecipe alla Resistenza tra le fila delle truppe partigiane dell’Oltrepò pavese e si laureò in medicina all’indomani della Seconda guerra mondiale. Una volta conclusi gli studi universitari abbandonò la dimensione clinica della professione, poiché precocemente interessato alla medicina preventiva e allo studio delle cause ambientali delle malattie. Nel corso dei decenni ‘50 e ‘60 la carriera di ricercatore lo portò a collaborare con istituti e università estere, in particolar modo a Londra e negli Stati Uniti, e a specializzarsi nell’ambito della microbiologia. La sua prima attività divulgativa e il primo interesse riguardo le conseguenze sociali dello sviluppo tecnologico risalgono alla

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