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Il 2 febbraio 1971 si tenne a Bologna un incontro sulla riforma sanitaria, a cui presero parte i rappresentanti degli enti regionali di Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Toscana, Trentino, Valle d'Aosta, Veneto e Umbria. In quell’occasione fu espresso un accordo unanime circa la necessità di superare il sistema mutualistico in direzione della nascita di un servizio sanitario pubblico e universale. Il documento conclusivo auspicava un superamento delle «tradizionali forme di igiene» pubblica, in favore di un «intervento del potere pubblico e della partecipazione popolare (volto a) modificare le condizioni ambientali e di attività nei luoghi di lavoro, di abitazione, nella scuola, eliminando gli elementi di nocività che sono causa di malattia»571. Nel momento

in cui tale documento veniva stilato la riforma sanitaria sembrava imminente, annunciata dalle numerose consultazioni tra le organizzazioni sindacali e il governo Colombo. L’ipotesi programmatica ivi formulata d’altra parte informò le politiche regionali anche quando la caduta del governo rimandò la riforma a data da destinarsi. In questo senso l’incontro delle Regioni del ‘71 costituì un’occasione di confronto delle diverse politiche sanitarie già attuate a livello locale e sollecitò la proliferazione di iniziative analoghe.

In Italia i primi servizi pubblici di medicina preventiva del lavoro nacquero in Emilia Romagna, promossi dalle amministrazioni comunali e provinciali e in seguito incoraggiati e favoriti dall’iniziativa dell’ente regionale. Si pensi che già nel 1969 il comune di Modena vedeva la nascita di un «Centro di medicina preventiva dell’età lavorativa», guadagnando così

570 L’espressione «riflusso nel privato» emerse inizialmente nel linguaggio giornalistico, ma in seguito fu utilizzata nel dibattito storiografico, in particolare consacrata da Guido Crainz, Il paese mancato. Dal

miracolo economico agli anni ottanta, Roma, Donzelli, 2003. Per una critica di questa interpretazione

storiografica si rimanda a: Paolo Capuzzo (a cura di), Gli anni Ottanta in Europa. Interventi di Richard

Vinen, Lutz Raphael, Giovanni Gozzini, Marco Gervasoni, in "Contemporanea" 4/2010, pp. 697-718.

571 Luciano Badiali, Dove si fabbricano i malati. L'incontro delle regioni sulla riforma sanitaria, in «Due torri» 19/02/1971, p. 24.

il primato nazionale e anticipando la stessa provincia milanese, dove il primo Smal nacque solo nel 1972572. L’amministrazione modenese, guidata allora da una giunta guidata dal Pci e

presieduta dal sindaco Rubes Triva573, sostenne la necessità di dotare il territorio comunale di

un servizio preventivo operante in modo continuativo, volto a garantire la tutela dell’integrità fisica dei lavoratori e della salubrità dell’ambiente di lavoro. La città allora vantava già l’esistenza di un servizio di medicina dell’infanzia e di un centro di prevenzione dei tumori, entrambi emanazione delle politiche comunali in materia sanitaria, che si erano rapidamente adeguate al mutare del quadro epidemiologico del territorio. La Provincia fu inizialmente contraria alla proposta del Comune e avanzò dei dubbi sulla liceità di istituire tale centro, ritenendo che le funzioni ad esso assegnate si sarebbero sovrapposte a quelle già previste per gli enti mutualistici e previdenziali, nonché per l’ispettorato del lavoro574. Ad avere la meglio

fu tuttavia il consiglio comunale, che in difesa della sua iniziativa citò i poteri straordinari in materia di salute pubblica attribuiti all’ufficiale sanitario dal r.d. 1265/1934, precisando altresì come il nascituro servizio non sarebbe stato rivolto esclusivamente ai lavoratori, bensì all’intera popolazione in «età lavorativa»575. La contrapposizione tra Provincia e Comune era

d’altra parte emblematica del labirinto legislativo in ambito sanitario e testimoniava l’urgenza di provvedere a un riordino normativo e amministrativo. Il sindaco Triva in particolare difese la necessità di garantire un intervento preventivo integrale, tale da superare la distinzione tra l’ordinaria assistenza sanitaria e la medicina del lavoro, garantendo la complessiva tutela dell’integrità fisica e psichica di uomini e donne all’interno e all’esterno del contesto lavorativo576.

Rispetto ad altri casi precedentemente analizzati – quali quelli di Torino di Milano e di Porto Marghera – a Modena i sindacati non ebbero un ruolo significativo nella fase di istituzione del centro. Al contrario, nel corso delle sedute del consiglio comunale, dedicate a discutere il raggio di azione e le modalità di funzionamento del nuovo servizio preventivo, furono sollevate preoccupazioni riguardo la poca consapevolezza di lavoratori e dei sindacati circa le pessime condizioni degli ambienti di lavoro, con l’auspicio che la garanzia di un

572 Alberto Molinari, Il tempo del cambiamento. Movimenti sociali e culture politiche a Modena negli anni

Sessanta, Bologna, Socialmente, 2014, pp. 193-195.

573 Sull’esperienza di Triva da amministratore comunale si veda: Andrea Giuntini, Giuliano Muzzioli, Rubes

Triva. Politico e amministratore nella grande trasformazione, Modena dal 1946 al 1972, Carpi, APM, 2010.

574 In particolare il riferimento era al Dpr 547/1955 e al dpr 303/1956

575 Più precisamente la delibera del consiglio comunale menzionò gli articoli 1 e 40 del r.d. 1265. Significativo ricordare come nel corso degli anni successivi altre amministrazioni comunali, quali quelle dell’hinterland milanese e quella di Venezia, avrebbero fatto riferimento allo stesso decreto per l’istituzione di servizi di medicina preventiva del lavoro.

576 Comune di Modena, Centro di medicina preventiva (a cura di), La medicina preventiva nell’età lavorativa.

intervento pubblico e periodico in ambito igienico sanitario avrebbe incentivato l’emergere di piattaforme aziendali in materia577. Certamente il protagonismo assunto inizialmente

dall’amministrazione a scapito delle rappresentanze operaie non esclude che nel corso degli anni successivi siano sorte vertenze significative volte a rivendicare il ruolo attivo dei lavoratori all’interno del processo di messa in sicurezza degli impianti. Rimandando ad altre sedi un’analisi più dettagliata, volta a chiarire quale fu la capacità della federazione sindacale modenese di farsi interlocutrice allo stesso tempo delle istituzioni locali e delle richieste dei lavoratori578, si noti solamente come a poca distanza dalla nascita del centro per la medicina

del lavoro di Modena altri comuni della provincia istituirono servizi analoghi. Fu questo il caso di centri quali Carpi, Sassuolo e Vignola, distretti produttivi rispettivamente specializzati nei settori della meccanica, ceramica e nel settore tessile579.

Anche nei casi di Reggio Emilia e di Bologna la nascita di un centro di medicina preventiva del lavoro si iscrisse all’interno di tradizioni di governo locale che si distinsero per la particolare solerzia circa l’elaborazione e l’attuazione di politiche sociali. In entrambe le città, come a Modena, il susseguirsi di amministrazioni guidate dal Partito comunista, ininterrottamente dall’indomani della Seconda guerra mondiale, alimentò all’epoca il mito «dell’Emilia rossa», utilizzato dal Pci a livello locale e nazionale come sinonimo di tradizione di buon governo territoriale, fondato in particolare sul dialogo con le parti sociali e sull’anticipazione di pratiche di welfare state580. A Reggio Emilia la richiesta di dare vita un

servizio di medicina preventiva fu avanzata dal Comune di Reggio già nel 1967, ostacolata in un primo tempo dall’ente provinciale, con cui esistevano contrasti in merito a prerogative di iniziativa sanitaria, e infine sfociata nell’istituzione di un «Comitato esecutivo di medicina del lavoro». Le rappresentanze sindacali locali, benché non partecipi della fase di istituzione del centro, furono in seguito interlocutrici dell’attività svolta dallo stesso. Nella prima metà degli anni Settanta il diritto dei lavoratori di servirsi di tecnici di fiducia per effettuare indagini sanitarie e ambientali all’interno degli stabilimenti, sancito dallo Statuto dei lavoratori, fu

577 Ibid, e Il Servizio di medicina preventiva dell’età lavorativa. Seduta del 9 aprile 1969, in Archivio dell’Istituto storico di Modena (AISM), fondo della Camera del lavoro di Modena, b. 169.

578 Si tratta di uno studio ancora da fare, a partire dall’ampia mole di documentazione circa l’attività svolta dai sindacati modenesi nel corso degli anni Settanta, conservata presso l’Istituto storico di Modena.

579 Lettera della Federazione provinciale Cgil Cisl Uil di Modena, riguardo i Centri di medicina preventiva. Il

21/04/1974, in AISM, fondo della federazione Cgil-Cisl-Uil, b. 18. Nel corso del biennio 1972-1973 il

Centro di medicina preventiva di Modena pubblicò i risultati delle indagini svolte rispettivamente presso le Fonderie cooperative di Modena, le Fonderie Corni e l’azienda Indusnova, dedicata a eseguire processi di zincatura.

580 Il mito fu alimentato a partire dal discorso pronunciato da Togliatti nel 1946, dal titolo Ceti medi e Emilia

rossa. A questo proposito si veda il saggio di Guido Fanti, che fu sindaco di Bologna dal 1966 al 1970: Cronache dall’Emilia rossa : l’impossibile riformismo del PCI, Bologna, Pendragon, 2001.

ratificato da numerosi contratti aziendali e favorito «dall’impostazione militante» assunta dal servizio di medicina del lavoro comunale581. All’interno di quest’ultimo furono infatti assunti

medici e tecnici appena laureati, mossi dall’ideale di rinnovamento della teoria e della pratica del sapere medico emersi a partire dal movimento universitario del ‘68582.

A Bologna la conflittualità operaia in materia di ambiente di lavoro, e l’atteggiamento istituzionale di fronte al mutare del quadro epidemiologico e alle richieste espresse dalla società civile, vanno comprese all’interno della specificità del «lungo ‘69» bolognese, data dalla capacità del Partito comunista locale di farsi interlocutore tanto del sindacato, quanto della movimento studentesco583. Il biennio ‘68-’69 fu segnato da alcuni eventi significativi,

volti a testimoniare la nuova centralità attribuita alla questione sanitaria dai movimenti sociali del territorio. Alla primavera del ‘68 risale la vertenza promossa presso le camicerie Pancaldi, all’interno della quale la rivendicazione di migliori condizioni di lavoro assunse un ruolo centrale. Tale protesta fu caratterizzata da un inedito protagonismo femminile e da alti livelli di partecipazione, sfociati in uno sciopero durato ben 46 giorni. Le lavoratrici presero attivamente parte alle inchieste sulle condizioni di salute esistenti nello stabilimento, ricalcando la metodologia d’azione già emersa presso la V lega Fiom di Torino sotto l’egida di Ivar Oddone584. A Bologna nell’ottobre del 1968 si svolse un convegno di Medicina del lavoro

organizzato dall’Ordine dei medici. Tale convegno fu duramente contestato da studenti e operai, allora uniti nella critica a un sapere scientifico di tipo elitario e corporativo di cui l’ordine dei medici era espressione. In quell’occasione l’amministrazione locale guidata da Renato Zangheri difese le ragioni dei manifestanti, confermando la linea politica mantenuta sino ad allora, volta alla ricerca di punti di incontro con la mobilitazione studentesca e operaia e le istanze ivi promosse. Si pensi d’altra parte che all’interno del movimento universitario bolognese un ruolo egemone fu ricoperto dalla Sezione universitaria comunista, gruppo politico legato al Pci locale. Si tratta di un caso peculiare rispetto al contesto nazionale, dove la contestazione giovanile assunse piuttosto un carattere di marcato antagonismo nei confronti dei partiti di area parlamentare585.

581 Christian De Vito, Tecnici e intellettuali dei "saperi speciali" nei movimenti degli anni settanta a Reggio

Emilia Luca Baldissara (a cura di), Tempi di conflitti, tempi di crisi. Contesti e pratiche del conflitto sociale a Reggio Emilia nei lunghi anni settanta, Napoli-Roma, l’Ancora del mediterraneo, 2008, pp. 387-426.

582 Ivi.

583 Si veda l’introduzione a Adolfo Pepe, Luca Baldissara (a cura di), Operai e sindacato a Bologna.

L’esperienza di Claudio Sabattini (1968-1974), Roma, Ediesse, 2010 e Fabrizio Billi, Tra immaginazione e programmazione. Bologna di fronte al ’68, Milano, Punto Rosso, 1998.

584 La vertenza Stefano Gallo, Operai e sindacato tra autonomia negoziale e rappresentanza degli interessi, in A. Pepe e L. Baldissara, Operai e sindacato a Bologna, op. cit., pp. 23-221.

585 Oltre al già citato Stefano Gallo, Operai e sindacato tra autonomia negoziale e rappresentanza degli

All’indomani della vertenza alla Pancaldi, che ebbe esito negativo per le richieste delle lavoratrici, la richiesta di una maggiore tutela degli ambienti di lavoro fu sollevata a partire da molte altre aziende del territorio. Si porti ad esempio il caso di una fabbrica metalmeccanica sita a Pieve di Cento ove le rappresentante sindacali lamentarono l’assenza di impianti di riscaldamento. O ancora, in uno stabilimento di San Giovanni in Persiceto il Consiglio di fabbrica denunciò come l’esistenza di capannoni affollati e privi di ricambio d’aria portasse i lavoratori a effettuare alcuni lavorazioni all’esterno, anche nei mesi invernali586. In quegli anni

la Fiom bolognese, guidata da Claudio Sabattini, si fece in particolare capofila delle rivendicazioni in materia di tutela sanitaria e ambientale. Questi proveniva da studi di filosofia, e dalla militanza politica tra le fila della Suc. Approdato tra le fila della Cgil nel ‘67, Sabattini fu promotore di un rinnovamento dell’organizzazione sindacale, attribuendo nuova centralità al momento consiliare e assembleare al fine di rinsaldare il legame tra la base e le rappresentanze.

La richiesta di una maggiore tutela della ambienti di lavoro fu sostenuta dalla giunta guidata da Zangheri, e in particolare dall’assessore alla sanità Eustachio Loperfido, animati dalla volontà di anticipare a livello territoriale la tanto attesa quanto rimandata riforma sanitaria. Dalle colonne del settimanale «Due torri» Loperfido contrapponeva la frantumazione delle competenze sanitarie attraverso una molteplicità di enti differenti tipica del contesto nazionale, alla volontà dell’amministrazione bolognese di dare vita a una politica sanitaria incentrata sull’intervento preventivo, decentrata a livello di quartiere e fondata sulla partecipazione dei cittadini e dei loro rappresentanti. Scriveva nel 1971:

consideriamo «ambiente» l’ambiente naturale, l’ambiente urbano, l’ambiente di lavoro, l’ambiente abitativo e quello scolastico: il concetto primario di prevenzione e di tutela della salute si dilata e comprende tutti questi ambienti influenzandone l’assetto587.

Il Servizio di medicina preventiva del lavoro venne istituito nel 1970, al suo interno fu assunta una equipe sanitaria multidisciplinare formata da medici, igienisti, chimici, uno

16/02/2015. La Forgia fu uno dei principali esponenti della Suc. Dopo la laurea in fisica e in seguito all’esperienza nel movimento studentesco proseguì la sua militanza tra le fila del Pci. Negli anni Ottanta e Novanta fu membro a più riprese della giunta comunale, all’interno della quale ricoprì il ruolo di assessore. Dal racconto di LaForgia non emerge una totale sovrapposizione tra le posizioni della Suc e quelle dell’amministrazione comunale, ma piuttosto la comune volontà di ricomporre eventuali contrasti ed evitare spaccature.

586 Giuseppe Berti Ceroni, Il movimento operaio e la questione della salute, in «Inchiesta», anno III, n. 9, gennaio-marzo 1973, pp. 38-45.

587 Eustachio Loperfido, Il comune per la salute dei suoi cittadini, in «Due torri speciale ospedali», supplemento al n. 23-24 18/12/1971, p. 10-11.

psichiatra e un sociologo588. Tale servizio, almeno a livello programmatico, faceva riferimento

alla «soggettività operaia», al «gruppo omogeneo», alla «validazione consensuale» e più in generale al protagonismo dei lavoratori all’interno dello inchieste sanitarie e ambientali da svolgere negli stabilimenti, emerso a partire dall’esperienza torinese589. I suoi primi e

principali terreni di intervento furono principalmente aziende metalmeccaniche e meccaniche, caratteristiche del tessuto produttivo bolognese, nonché aziende chimiche e tessili. I fattori di nocività di volta in volta denunciati erano quelli indicati dalla dispensa di Marri e Oddone. Le modalità di indagine adottate erano forse meno rigide rispetto alla metodologia codificata dalla dispensa stessa, ma in ogni caso volte a includere la partecipazione dei lavoratori per quanto riguardava la scelta dei prioritari campi di intervento e la successiva socializzazione dei dati ottenuti590. I medici e i tecnici che furono assunti nel servizio di medicina preventiva

erano perlopiù accomunati dall’adesione al progetto riformista proposto dalla giunta municipale. Significativo è il percorso politico-professionale di Anna Zucchini, laureatasi in medicina e specializzatasi in igiene e sanità pubblica tra la fine degli anni ‘60 e i primi anni ‘70. Zucchini fu militante tra le fila della Fgci e del Pci presso la sezione di Malalbergo, città nei pressi di Bologna di cui era originaria. L’assunzione nel neo-istituito servizio comunale rappresentò allora l’occasione per «legare un impegno professionale, con quello che era anche un impegno sociale», racconta ai giorni nostri ricordando quell’esperienza, precisando come l’estremo rigore scientifico dell’attività ivi effettuata costituisse la miglior arma di difesa contro quanti accusavano di eccessiva politicizzazione, e quindi di poca credibilità, medici e tecnici operanti nel centro591.

A partire dal 1970 all’iniziativa degli enti locali in materia sanitaria si unì a quella allora intrapresa dal neo-costituito ente regionale. In Emilia Romagna, dove nel frattempo erano nati centri di medicina preventiva anche presso i comuni di Parma, Ferrara, Imola e Ravenna, il consiglio regionale retto da Guido Fanti, ex sindaco comunista di Bologna, individuò nel riordino degli enti sanitari esistenti, e nella promozione di servizi di medicina preventiva alcune delle principali priorità. Nel corso di un incontro pubblico su «Salute dell’ambiente di

588 E. Loperfido, Il comune difende la salute dei suoi cittadini, cit. e Servizio di medicina preventiva del comune, Di lavoro si muore, in «Due torri» 31/01/1970, anno II, p. 12-13.

589 Si veda la prefazione a: Collettivo di medicina preventiva del Comune e della Provincia di Bologna,

Rapporto dalle fabbriche. Oganizzazione del lavoro e lotte per la salute nella Provincia di Bologna, Roma,

Editori Riuniti, 1973, pp. 7-17. 590 Ivi. p. 45 e ss.

591 Intervista svolta con Anna Zucchini a Bologna, presso la Fondazione Gramsci Emilia Romagna, il 1 luglio 2015. Zucchini lasciò il posto presso il servizio di medicina preventiva del lavoro intorno alla metà degli anni Settanta, periodo in cui fu nominata responsabile della sezione pediatria dell’ospedale bolognese Sant'Orsola. Contestualmente la militanza attiva all’interno del Pci venne progressivamente meno.

lavoro e potere locale», l’assessore regionale alla sanità Lanfranco Turci lodò le iniziative comunali avviate sino ad allora nel territorio emiliano-romagnolo, tracciando una linea di continuità tra le insalubri condizioni igieniche esistenti delle fabbriche, la crisi ecologica, l’aumento di ritmi di vita e di lavoro:

ed invece ancora assistiamo al fenomeno per cui i medesimi fattori eziologici prevalenti nella malattie del lavoro hanno varcato i cancelli delle fabbriche investendo in modo preoccupante i centri abitati. Rumori, gas, sostanze tossiche varie nei corpi idrici e nella catena alimentare, unitamente alla tensione nervosa provocata dai ritmi di vita e dal traffico motorizzato, sono alla base della patologia degenerativa che oggi mina la salute dei cittadini592.

A conclusione dello stesso incontro furono delineati alcuni obiettivi programmatici dell’intervento regionale in ambito sanitario. Venne allora formulata un’ampia e approfondita disamina del disorganico panorama legislativo esistente, e criticata l’estrema contraddittorietà del decreto delegato approvato nel gennaio ‘72 che attribuiva alle Regioni funzioni di prevenzione, cura e riabilitazione, ma allo stesso tempo confermava la prerogativa statale in materia di «igiene del suolo e dell'ambiente, all'inquinamento atmosferico e delle acque», nonché relativamente «agli aspetti sanitari della prevenzione degli infortuni sul lavoro ed all'igiene del lavoro»593. L’istituzione di servizi di medicina del lavoro su tutto il territorio

regionale era individuata come una priorità. Il sindacato era indicato come un interlocutore, ma allo stesso tempo si specificava come la semplice contrattazione aziendale e di categoria, privata della collaborazione degli enti locali, avrebbe portato a soluzioni parziali.

Negli stessi anni la Cgil regionale formulava un primo bilancio circa l’andamento delle rivendicazioni in materia di ambiente di lavoro. A fronte di un numero elevato di accordi aziendali stipulati (177 a Modena, 114 a Reggio Emilia, 77 a Bologna, 110 a Ravenna) erano riscontrate le principali problematicità nella ridotta quantità di richieste di modifica impiantistica. Nella maggior parte dei casi le direzioni aziendali si limitavano a riconoscere diritti già presenti nei contratti di categoria, o sanciti dallo Statuto dei lavoratori. Si segnalava inoltre la difficoltà di tradurre gli accordi in pratica e il fatto che in molti casi i centri di medicina del lavoro avessero svolto la loro attività in assenza di conflittualità operaia e a prescindere dalla partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti594. Come emerso nei

592 Salute dell’ambiente di lavoro e potere locale. Atti della Conferenza regional e sulla tutela della salute nei

luoghi di lavoro. Modena, 14-15 dicembre 1973, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 28.

593 Ivi, Si rimanda in particolare agli articoli 1 e 6 del decreto delegato del 14 gennaio 1972, n.4.

594 Comitato regionale della Cgil per l’Emilia Romagna, Nota informativa di analisi sui risultai della

contrattazione aziendale in tema di difesa della salute e sulla costituzione dei centri di medicina preventiva di lavoratori, giugno 1972in Archivio della Camera del lavoro di Bologna (ACLB),s. documentazione

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