(la riforma sanitaria) è la fase più importante, nel bene e nel male […] Nel bene perché con la riforma sanitaria si raggiunge uno scopo grande, alto, che era quello di unificare le strategie per la salute in un unico servizio […] ha permesso la creazione dei servizi di prevenzione nel territorio, che non esistevano, ha creato una cultura diversa. La medicina del lavoro un tempo, fino alla riforma sanitaria, era o aziendale, oppure era universitaria, e prevalentemente clinica. La medicina del lavoro di prevenzione nasce in quegli anni lì. […] Nel male perché come tutte le cose che si realizzano appagano. C’è stata come una sorta di appagamento […] Nel male perché si è lasciata gestirla agli altri
(Claudio Stanzani, 18/11/2016)564
Il dibattito riguardo l’attuazione della riforma sanitaria divenne attuale nel corso delle diverse esperienze governative di centro-sinistra. A contrapporsi erano due principali proposte. L’una prevedeva il mantenimento del sistema assicurativo attraverso il riordino della miriade di enti mutualistici esistenti, il coordinamento funzionale degli istituti sanitari presenti a livello centrale e decentrato e l’intervento dello Stato unicamente in materia di igiene pubblica. Il secondo era a favore dello scioglimento delle mutue e dell’istituzione di un Servizio sanitario nazionale garantito per tutti i cittadini, finanziato dalla fiscalità e gestito a livello territoriale attraverso le competenze reciproche di enti regionali, provinciali e comunali565. Sostenitori della prima ipotesi erano il Cnel e
gli enti mutualistici. Nel 1974 questi ultimi erano arrivati a garantire la copertura assicurativa di circa il 93% della popolazione, per una spesa complessiva di 4534 miliardi di lire, detenendo quindi un peso politico-economico non indifferente, tanto che si era soliti dire che il presidente dell’Inam era il vero ministro della sanità566. La possibilità di istituire il Servizio sanitario nazione, che aveva
avuto la Cgil tra i suoi primi e più strenui sostenitori, divenne concreta con il costituirsi del governo presieduto da Emilio Colombo tra il 1970 e il 1972567. L’allora ministro della sanità, Luigi Mariotti,
elaborò una proposta di riforma che garantiva l’accesso al servizio a tutti cittadini e si fondava sull’attività preventiva svolta a livello decentrato dalle Unità sanitarie locali. Tuttavia tale proposta non riuscì ad ottenere ampi consensi, incontrando obiezioni di tipo economico finanziario da parte
564 Queste frasi sono estratte da un’intervista con Claudio Stanzani che ha avuto luogo a Roma il 18/11/2016. Stanzani è stato sindacalista della Cisl a partire dagli anni Settanta, fu presidente del Crd dal 1980 al 1985. A partire dal 1984 è prima Segretario Generale e poi Presidente di SindNova, l'Istituto Italiano per lo studio sull'innovazione e le trasformazioni produttive e del lavoro.
565 Francesco Taroni, Politiche sanitarie in Italia. Il futuro del SSN in una prospettiva storica, Roma, Il pensiero scientifico, 2011, p. 162 e ss.; Valeria Fargion, Geografia della cittadinanza sociale in Italia : regioni e politiche
di chi, come lo stesso presidente del consiglio, riteneva che i suoi costi fossero difficilmente sostenibili. Di tipo politico le critiche mosse dal ministero del lavoro Donat-Cattin, che rispetto al progetto di legge originario auspicava a una maggiore autonomia regionale in materia di spesa sanitaria568.
Nel dicembre 1972 la fine del governo Colombo concluse l’esperienza di centro-sinistra. L’ipotesi di rimandare l’istituzione del sistema sanitario pubblico in favore della conservazione del modello assicurativo allora esistente tornò in auge nel corso della campagna elettorale, durante la quale la Dc annunciò che la riforma della sanità sarebbe stata attuata attraverso fasi graduali, a cominciare dall’unificazione degli enti mutualistici. D’altro canto, all’indomani delle elezioni la questione fu sostanzialmente accantonata, non rappresentando una priorità per il nuovo governo monocolore guidato da Andreotti. In quel contesto, data la situazione di stallo a livello centrale, gli enti comunali, provinciali e regionali divennero i principali interlocutori delle istanze di rinnovamento delle istituzioni sanitarie, promosse in particolar modo dalla Cgil e quindi dalla federazione Cgil-Cisl-Uil. Come ha osservato Francesco Taroni, medico e storico della salute e della sanità, a contrapporsi allora non furono solo diverse concezioni di welfare-state e di politica sanitaria, ma altresì ipotesi politiche divergenti in materia di accentramento e decentramento dei poteri pubblici, dibattute in particolar modo all’indomani della nascita delle regioni: «l’ingresso delle Regioni aveva portato la riforma sanitaria da problema di politica settoriale alle dimensioni della high
politics, trasformandola in uno degli aspetti fondamentali della "riforma democratica dello
stato"»569.
Negli scorsi capitoli l’analisi dei tre casi di studio di Torino, Milano e Venezia ha messo in luce come la nascita di centri di medicina preventiva del lavoro interessò differenti contesti e coincise con l’autonoma iniziativa degli enti locali rispetto al governo centrale. I paragrafi che seguono sono quindi dedicati ad approfondire e ampliare lo studio delle esperienze territoriali di anticipazione della riforma sanitaria, al fine di comprendere quali furono le dimensioni assunte dal fenomeno a livello nazionale e quali i tratti comuni e gli aspetti peculiari delle differenti iniziative locali. In particolare ci si soffermerà sul caso emiliano-romagnolo, che fu caratteristico e significativo se comparato a quelli sinora analizzati. In seconda istanza verrà ripercorso il processo di approvazione della legge 833/1978, che sancì la nascita del Servizio sanitario nazionale. L’obiettivo è di comprendere quale fu la reazione dei diversi attori politici dinanzi alla riforma, e di mostrare quali furono le principali linee di continuità e discontinuità
568 Saverio Luzzi, Salute e sanità nell’Italia repubblicana, Roma, Donzelli, 2004, p. 289 e ss. 569 F. Taroni, Politiche sanitarie in Italia. op. cit. p. 212
rispetto alle iniziative di medicina preventiva del lavoro condotte sino ad allora. Lungi dal voler tracciare confini troppo netti tra la fine degli anni Settanta e i decenni successivi, prendendo quindi le distanze dal paradigma del «riflusso», già ampiamente criticato dalla letteratura esistente570, i paragrafi conclusivi sono dedicati a cogliere le eredità di lungo
periodo della stagione conflittuale sin qui ricostruita.