• Non ci sono risultati.

Si è soliti individuare tre zone industriali a Marghera, corrispondenti alle tre successive fasi di edificazione del polo. La prima nacque a nord ovest della laguna tra gli anni Venti e la fine della Seconda guerra mondiale, la seconda fu edificata tra la fase di ricostruzione successiva al conflitto e la fine degli anni Cinquanta, mentre i lavori per la terza, a sud delle prime due, furono avviati nel ‘63, ma di fatto non vennero mai portati a termine. La storiografia è concorde nel far risalire la data di fondazione di Marghera al 1917, anno in cui

473 Una prima risposta a tale interrogativo è fornita dal volume: Pier Paolo Poggio, Marino Ruzzenenti (a cura di), Il caso italiano: industria, chimica e ambiente, Milano, Jaca Book, 2012.

fu siglata una convenzione tra lo Stato, il Comune e la Società del porto industriale di Venezia, nata contestualmente e presieduta da Giuseppe Volpi. Quest’ultimo, già titolare della SADE (Società adriatica dell’energia elettrica), uno dei maggiori complessi nazionali di produzione di energia elettrica operante in Veneto, si fece capofila del rapido sviluppo industriale della zona. Volpi poté godere della cessione gratuita di aree demaniali, della costruzione di tutte le aree portuali e commerciali a carico dello Stato e di una vasta serie di sgravi fiscali. La posizione di ministro delle finanze di Mussolini ricoperta sino al 1943 contribuì d’altra parte alla stipulazione di convenzioni favorevoli al suo progetto industriale. In pochi anni il nuovo insediamento ospitava aziende chimiche, meccaniche, elettrometallurgiche, metallurgiche e alimentari nonché i cantieri navali dell’Ilva e della Breda. In tal modo veniva risolta la controversia tra i sostenitori dell’ipotesi «neoinsulare» e quelli del «fronte a terra», esistita sin dalla seconda metà dell’Ottocento, l’una favorevole a uno sviluppo industriale di Venezia nelle vicinanze del suo centro storico, la seconda volta a individuare nella zona paludosa a sud di Mestre, dove in seguito sarebbe sorta Marghera, la sede dei nuovi insediamenti produttivi474. Col prevalere dell’ipotesi del «fronte a terra», si delineava allora la fisionomia di

Venezia come una città-monumento, patrimonio artistico e culturale da preservare malgrado l’avanzare della modernità. Tale disegno si reggeva sul dualismo e l’interdipendenza dei poli di Venezia e Marghera: quest’ultima era eletta a centro di un’imponente espansione industriale, che nell’intenzione dei suoi ideatori avrebbe dovuto creare ricchezza e sbocchi occupazionali per la stessa città insulare. Per comprendere la portata industriale-finanziaria del nuovo polo si pensi che il patrimonio netto delle società per azioni ivi operanti ammontava a oltre 500.000 di lire, pari al 99% di tutte le società per azioni industriali in provincia di Venezia475.

All’indomani della Seconda guerra mondiale furono avanzate le prime ipotesi di ampliamento della prima zona. La corrente di sinistra della Dc veneziana ebbe un ruolo da protagonista nella realizzazione di tale opera, che anche in questo caso fu resa possibile dall’intervento di enti pubblici e dallo stanziamento di appositi fondi statali. La ricostruzione più esauriente delle vicende che portarono alla nascita della seconda zona industriale si deve a

474 Sullo sviluppo della prima zona industriale si vedano: Cesco Chinello, Porto Marghera, 1902-1926. Alle

origini del «problema di Venezia», Venezia, Marsilio, 1979 ; Wladimiro Dorigo, Venezia e il Veneto, in Silvio

Lanaro (a cura di), «Il Veneto», Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1984. pp. 1041-1054; Laura Cerasi,

Perdonare Marghera: la città del lavoro nella memoria post-industriale, Milano, Franco Angeli, 2007, pp.

35-58. Tanto Dorigo quanto Chinello tendono a non attribuire a Volpi la paternità di Marghera, sostenendo che l’ipotesi dello sviluppo industriale a terra si affermò di fatto già prima della Grande Guerra, senza dare immediato seguito ad iniziative concrete a causa dell’esplodere del conflitto.

Cesco Chinello, storico d’eccezione e protagonista della vita politica del tempo476. Chinello ha

ben messo in luce le varie tappe di tale processo, le sue contraddizioni e i dissidi da esso generati. A partire dal 1955, all’indomani dell’insediamento della giunta comunale guidata dalla Dc, ebbero inizio le discussioni circa il nuovo piano regolatore. Come assessore all’urbanistica fu nominato Wladimiro Dorigo, favorevole a uno sviluppo pianificato del polo industriale e in particolare alla nascita di piccole e medie aziende legate a quelle già esistenti da vincoli tecnologici e produttivi. A prevalere furono tuttavia gli interessi delle grandi imprese, sostenuti dai parlamentari Dc veneziani guidati da Vincenzo Gagliardi. Nel 1959 Gagliardi presentò alla Camera la legge per «l’ampliamento del porto e della zona industriale di Venezia Marghera», che non poneva particolari vincoli o direttive allo sviluppo del polo e apriva la strada all’iniziativa dei privati. L’appoggio della Dc veneziana in parlamento giocò in particolare a favore della Montecatini e della Edison, che guidarono la nascita della seconda zona, consacrata alla petrolchimica di base. In poco tempo Porto Marghera sarebbe divenuta il «cuore dell’industria chimica e petrolchimica italiana», imponendo un modello di sviluppo fondato su grandi capitali monopolistici477.

Il tanto dibattuto piano regolatore comunale fu finalmente approvato nel 1962 da una giunta privata della figura di Dorigo, che nel frattempo aveva rinunciato a tutti gli incarichi politici e istituzionali in seguito a disaccordi con il partito e con la Curia romana. Secondo le norme di attuazione del piano, risalenti all’anno successivo, nella zona industriale avrebbero dovuto trovare posto «quegli impianti che diffondono nell’aria fumo, polvere o esalazioni dannose alla vita umana, che scaricano nell’acqua sostanze velenose, che producono vibrazioni e rumori»478. In tempi recenti, nel corso del processo contro il petrolchimico

svoltosi negli anni Duemila, tale clausola è stata ricordata a più riprese, suscitando incredulità e indignazione nei confronti di una politica industriale ed economica attuate nella totale noncuranza della tutela dell’uomo e dell’ambiente479. Un’attenta presa in considerazione delle

culture politiche tipiche del periodo in cui il Prg fu approvato mostra d’altra parte come la subordinazione dell’integrità delle risorse naturali alle esigenze produttive fosse tutto sommato condivisa sino all’emergere del movimento di ecologia politica, risalente solo al

476 In particolar modo: Cesco Chinello, Forze politiche e sviluppo capitalistico. Porto Marghera e Venezia,

1951-1973, Roma, Editori Riuniti, 1975. È questo il primo saggio storiografico di Chinello, che a partire

dagli anni Sessanta fu funzionario locale del PCI, appartenente alla corrente della sinistra ingraiana. Chinello fu eletto in Consiglio comunale e successivamente alla Camera e in Senato. Recente è la sua autobiografia: Cesco Chinello, Un barbaro veneziano. Mezzo secolo da comunista, Padova, Il poligrafo, 2008.

477 C. Chinello, Forze politiche e sviluppo capitalistico, cit. p. 69. Sulle produzioni chimiche esistenti a Porto Marghera si veda: Giuseppe Trinchieri, Industrie chimiche in Italia dalle origini al 2000, Mira, Arvan, 2001. 478 C. Chinello, Forze politiche e sviluppo capitalistico, cit. p. 42.

decennio Settanta480. È più complesso chiarire le ragioni per cui venivano ammesse produzioni

«dannose alla vita umana» in un ambiente in cui gli operai e gli impiegati di Porto Marghera trascorrevano l’intera giornata lavorativa, e in una zona industriale che sorgeva accanto ai nuclei abitati di Mestre e Marghera, e a solo pochi chilometri dalla Venezia insulare481. Sin

dalla fine del XIX secolo, tanto in Italia, quanto all’estero, era prevalso un indirizzo politico e legislativo volto ad ammettere l’esistenza di produzioni nocive a condizione che le stesse sorgessero lontano dai centri abitati482. Il piano regolatore veneziano di fatto contraddiceva

esplicitamente tale tendenza. All’indomani della sua approvazione veniva nominato un nuovo Consorzio per l’ampliamento di Porto Marghera, incaricato guidare la costruzione di un terzo insediamento industriale, a sud dei primi due.

L’evento scatenante le prime reazioni e prese di posizione circa la compatibilità del modello di sviluppo industriale prevalso sino ad allora nella laguna fu l’alluvione del novembre 1966. L’alta marea raggiunse un’altezza di circa due metri sopra il livello del mare: fatto senza precedenti, all’origine di ingenti e in alcuni casi irreparabili danni a edifici, strutture commerciali, abitazioni, nonché al patrimonio artistico e culturale della città483. Il

fatto che il fenomeno alluvionale avesse colpito altre località dell'Italia centro-settentrionale, in particolar modo Firenze e gli insediamenti siti lungo il bacino dell’Arno, amplificò la percezione, presso l’opinione pubblica, di un’Italia incapace di tutelare le sue ricchezze architettoniche, storiche e culturali. Nel caso veneziano il levare di scudi in favore della salvaguardia del centro storico cittadino fu strettamente connessa a una critica dell’irresponsabilità dei dirigenti locali e nazionali che avevano guidato la nascita del polo industriale di Porto Marghera. L’esistenza di un’alta concentrazione di attività produttive nella laguna fu individuata come una delle principali cause della compromissione degli equilibri idrogeologici ed ecologici di quel particolare ecosistema. Prima protagonista di tale scontro fu l’associazione Italia Nostra, che attraverso la sua sede locale si fece promotrice di leggi speciali per tutela della laguna. Veniva rivendicata «l’eccezionalità» veneziana, e di conseguenza l’emanazione di specifiche norme volte a ridurre l’emissione degli inquinamenti nell’acqua e nell’aria e in ultima istanza l’allontanamento di quelle attività produttive i cui

480 Mario Diani, Isole nell’arcipelago: il movimento ecologista in Italia, Bologna, Il Mulino, 1988.

481 Per una ricostruzione della nascita e dell’evoluzione dell’insediamento urbano di Marghera si veda: L. Cerasi, Perdonare Marghera, op.cit.

482 Simone Neri Serneri, Incorporare la natura. Storie ambientali del Novecento, op. cit.

483 Francesco Rosso, Venezia scopre con sgomento i danni subiti dal suo patrimonio artistico, in «la Stampa», 9/11/1966, p. 5; Geron Gastone, Senza pane Venezia allagata. Il mare è stato invaso dalla nafta, in «il Corriere della Sera», 6/11/1966, p. 2.

inquinanti non potevano essere eliminati484. In quest’ottica l’eventualità della nascita di una

terza zona industriale a sud delle prime due era respinta con forza, nel timore di un’ulteriore sviluppo non pianificato:

l’aria inquinata danneggia la salute dei veneziani, danneggia le pietre e le opere d’arte di Venezia, danneggia la salute della laguna. […] non possiamo che riaffermare che siamo contro la terza zona, siamo contro il completamento del canale dei petroli e soprattutto contro la sua arginatura; siamo per la sollecita realizzazione dell’acquedotto industriale e della fognatura, siamo per il ripristino dell’equilibrio lagunare485

La causa sposata da Italia nostra era perfettamente in linea con la storia dell’associazione, nata a Roma nel 1955 per opera di alcuni intellettuali, quali Antonio Cederna, Umberto Zanotti, Giorgio Bassani, impegnati nella salvaguardia del patrimonio paesaggistico e artistico-culturale italiano dal pericolo di uno sregolato sviluppo urbanistico.486.

Strenuo alleato di «Italia Nostra» tra le fila degli oppositori alla nascita della terza zona industriale fu il giornalista Indro Montanelli, che all’indomani dell’alluvione, dalle colonne del «Corriere della Sera», condusse un’animata campagna di sensibilizzazione riguardo la specificità artistica e idrogeologica della laguna. Nel novembre 1968, in occasione di un nuovo episodio di acqua alta, egli dedicò un ciclo di articoli alla storia urbana veneziana, individuando nella costruzione del polo industriale di Marghera la principale causa di erosione del suolo, e quindi del lento sprofondamento della città487. «Venezia sta morendo», scriveva

allora con tono enfatico, «come tutte le Caporetto italiane anche questa ha i suoi solitari eroi. I crociati di Italia nostra sono in stato di perpetua mobilitazione»488. Ulteriore bersaglio

polemico di Montanelli era il canale di Malmocco, scavato nel corso degli anni Sessanta per permettere l’entrata in laguna delle grandi navi ed evitare il transito di queste ultime lungo il canale della Giudecca. Era temuto in particolar modo il trasporto di petrolio e prodotti nocivi, e il rischio che il rilascio degli stessi in mare all’interno dell’area lagunare avrebbe causato danni irreparabili all’ecosistema veneziano. Negli stessi anni nasceva altresì il «Fronte per la

484 Alberto Minazzi, Difendiamo Venezia dall’assalto del mare, in «Italia Nostra», n. 78, 1966; Il punto su

Venezia (editoriale), in «Italia nostra», n.85-86, pp. 3-4.

485 Il punto su Venezia (editoriale), cit.

486 Edgar Meyer, I pionieri dell’ambiente. L’avventura del movimento ecologista italiano: cento anni di storia, Milano, Carabà, 1995; Roberto Della Seta, La difesa dell’ambiente in Italia. Storia e cultura del movimento

ecologista, Milano, Franco Angeli, 2000.

487 Indro Montanelli, La lenta agonia di Venezia, in «Corriere della sera», il 22/11/1968, p.3, Id. Il saccheggio

della laguna, in «Corriere della Sera», 23/11/1968, p. 3, Id. Una città affidata al mondo civile, in «Corriere

della sera» , 24/11/1968, p.3.

difesa della laguna di Venezia», movimento d’opinione trasversale agli schieramenti politici allora esistenti, allineato con le posizioni di «Italia Nostra» e di Montanelli, avverso quindi ad un ulteriore ampliamento industriale di Marghera e favorevole all’introduzione di misure restrittive circa le emissioni inquinanti degli stabilimenti già presenti nella prima e seconda zona489.

In sede istituzionale le problematiche riguardanti la tutela della laguna e del centro storico cittadino furono affrontate secondo una dinamica emergenziale, che prevedeva l’attuazione di provvedimenti straordinari volti a risanare quanto era stato danneggiato durante la prima alluvione e a tutelare il patrimonio naturale e paesaggistico. Nel 1971 ebbero inizio i lavori parlamentari dedicati in primo luogo a stabilire le forme di impiego dei finanziamenti nazionali e internazionali destinati al restauro e alla bonifica dei beni e dei siti deteriorati dall’acqua alta490. La legge speciale per Venezia venne approvata due anni dopo, nell’aprile

1973, e sanciva l’interesse nazionale della tutela dell’ambiente lagunare, identificato con i beni storico artistici, il patrimonio paesaggistico e le risorse naturali491. Il governo assumeva

prerogative straordinarie in materia di edilizia pubblica e di pianificazione industriale, a scapito sia del Comune di Venezia che della Regione Veneto. In particolare la nascita della terza zona industriale era subordinata alla redazione di un «piano comprensoriale» da parte della regione, che ha sua volta avrebbe dovuto attenersi agli indirizzi indicati dal governo in materia di limitazione delle emissioni industriali e di salvaguardia ambientale492. Simile

provvedimento, accolto con favore dal Fronte di difesa di Venezia, «Italia Nostra» e da Montanelli493, comprometteva notevolmente le possibilità di ampliare l’insediamento

industriale di Marghera. L’imporsi della questione ambientale anche in sede istituzionali, unita alla difficile congiuntura economica, compromisero definitivamente la possibilità di dar vita alla terza zona, che di fatto non fu mai realizzata.

Una voce fuori dal coro in quel contesto fu quella di Wladimiro Dorigo, che anche in seguito all’approvazione della legge speciale rimase strenuo sostenitore di un ulteriore sviluppo del polo produttivo di Marghera. Dorigo nel 1973 diede alle stampe il saggio Una

legge contro Venezia, caratterizzato da ricchezza e precisione di informazioni e lucidità di

489 Nel 1969 alcuni esponenti del Fronte veneziano furono querelati per diffamazione dal Consorzio di Marghera, e accusati di avere insinuato, attraverso una serie di manifesti affissi sulle pareti della città, che le azioni del Consorzio per la costruzione della III zona fossero poco trasparenti: Giuliano Marchesini,

Amnistia per gli otto del Fronte veneziano?, in «La Stampa», 29/04/1971, p. 10.

490 Indro Montanelli, Ultimo sforzo per Venezia (editoriale), in «Corriere della Sera», 9/04/1971, p.1. 491 Legge n. 171, 16 aprile 1973.

492 Ibid.

analisi nonostante la tempestività della pubblicazione494. Nel testo l’ambientalismo

protezionista tipico di associazioni quali Italia Nostra era individuato come principale bersaglio polemico, accusato di essere portatore di un ideale di natura astratto e avulso dalla storia e di ergersi in favore di una generica difesa dell’ambiente, considerato a prescindere dall’azione antropica condotta nel corso dei secoli. Dorigo scriveva:

O la questione ecologica viene affrontata, in Italia e nel mondo, per risolverla in termini globali e radicali, con i veti e controlli più rigorosi contro il superamento di soglie di inquinamento e di distruzione ambientale di assoluta sicurezza da parte di qualsiasi tipo di agenti (industrie, trasporti, città, agricoltura, individui), con lo studio dei mezzi tecnici necessari non al ripristino di standard accettabili, ma al mantenimento normale di essi nel quadro dello sviluppo della vita economica e sociale indispensabile alla sopravvivenza, e con la disponibilità dei mezzi finanziari enormi che l'impresa richiede, implicando altresì problemi di partecipazione democratica e di consenso politico oggi del tutto inusuali nei regimi più diversi, oppure non si salverà assolutamente nulla, nemmeno i santuari del privilegio naturalistico, artistico e culturale. Dal punto di vista ecologico, la Laguna di Venezia si preserva insieme al resto del territorio nazionale, con mezzi quasi sempre generali e validi ovunque e per tutti, o non si salva affatto495.

In tal modo egli coglieva l’intrinseca contraddittorietà del discorso emergenziale adottato tanto dall’associazionismo protezionista, quanto dalle politiche governative, volto a individuare soluzioni contingenti e particolari a una problematica come quella ambientale che, per sua definizione, andava affrontata su scala globale. D’altra parte il discorso ambientalista di Dorigo era subordinato alle esigenze di sviluppo economico e in particolar modo alla nascita di una terza zona industriale all’insegna della pianificazione pubblica e dell’interdipendenza tecnica, commerciale e finanziaria dal territorio circostante. Il Veneto veniva descritto come «Mezzogiorno d’Italia» e il suo potenziamento industriale era individuato come valvola di sfogo alla sviluppo economico del triangolo Milano-Torino- Genova496. Dorigo riproponeva in questo modo una questione che aveva ossessionato tutti gli

attori politici e sociali dall’indomani del secondo dopoguerra, quale quella del potenziamento industriale del territorio, ma all’interno di un contesto affatto mutato, in cui non solo il Veneto aveva visto il rapido affermarsi del settore secondario su quello primario, ma altresì caratterizzato da una significativa crisi economica a cui erano seguite le prime ristrutturazioni produttive497. Nel 1975 Cesco Chinello scriveva: «è fuori dubbio che la previsione della III

zona è oggi in crisi ma è in crisi perché è in crisi lo stesso sviluppo capitalistico», e

494 Wladimiro Dorigo, Una legge contro Venezia: natura, storia, interessi nella questione della città e della

laguna, Roma, Officina, 1973.

495 Ivi, p. 323. 496 Ivi, p. 180-181.

497 Alessandro Casellato, Gilda Zazzara, Lavoro e culture sindacali nel Veneto, in L’Italia e le sue regioni, vol. II, Roma, Treccani, 2015, pp. 53–71.

sottolineava il coesistere di cause ecologiche ed economiche all’origine del mancato ampliamento del polo di Marghera498. Anche Chinello fu molto critico riguardo la legge

speciale per Venezia, individuando i principali difetti di tale provvedimento nell’esautorazione degli enti locali in favore dell’iniziativa governativa. La tabella dei valori limite per gli scarichi industriali introdotta dalla legge era inoltre ritenuta incapace di garantire la reale salvaguardia della laguna, accusata di essere piuttosto «finalizzata dalle esigenze e dalle richieste Montedison». I valori indicati erano ritenuti troppo elevati e il fatto che fossero stabiliti indici di concentrazione degli scarichi industriali ma non limiti quantitativi nel tempo sembrava inoltre rendere inefficace tale provvedimento. Chinello, citando l’ecologo Dario Paccino, prendeva così le distanze dalla «fanfaecologia», ovvero da quanti ritenevano che il progresso tecnologico avrebbe garantito la tutela delle risorse naturali portando alla realizzazione di impianti industriali sempre meno inquinanti, ritenendo piuttosto che la questione ambientale fosse intimamente legata al modello di sviluppo capitalistico, e la lotta di classe l’unico strumento efficace per la salvaguardia dell’ecosistema. Nel 1972 Paccino introduceva il suo saggio L’imbroglio ecologico scrivendo «questo libro è dedicato a coloro per guadagnarsi il pane devono vivere in habitat che nessun ecologo accetterebbe per gli orsi del Parco Nazionale d’Abruzzo». Similmente riguardo il modello di sviluppo industriale di Venezia Chinello commentava: «migliaia di operai di Marghera intossicati dai gas Montedison o dagli inquinamenti dell’aria e dell’acqua […] dimostreranno che il problema ecologico […] altro non è che uno degli aspetti dello sviluppo capitalistico».

D’altra parte i partiti di sinistra e le forze sindacali si espressero piuttosto tardivamente in merito alla legge speciale. All’interno della discussione parlamentare sulla legge per Venezia la posizione sostenuta dal Pci fu di dura critica nei confronti di una normativa ritenuta accentratrice e prevaricatrice nei confronti dell’autonomia degli enti locali, esautorati dalla possibilità di avere voce riguardo la politica economica e ambientale del territorio499. Quanto

alla federazione Cgil-Cisl-Uil, la prima presa di parola in materia risale all’indomani

Documenti correlati