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Il ruolo degli attori istituzionali nella gestione della vicenda infortunistica I vari attori istituzionali deputati alla gestione dell’iter infortunistico sono dunque posti di

Dopo l’infortunio: le traiettorie individuali, tra attori istituzionali, organizzazioni e mercato del lavoro

8.2 La gestione istituzionale dell’infortunio

8.2.2 Il ruolo degli attori istituzionali nella gestione della vicenda infortunistica I vari attori istituzionali deputati alla gestione dell’iter infortunistico sono dunque posti di

fronte ad elementi di complessità crescente, che possono rendere la definizione dell’evento ardua e sfuggente. Tuttavia, dall’insieme dei materiali di ricerca emerge in maniera inequivocabile la rilevanza della sfera istituzionale nel dare alla traiettoria di gestione post-infortunistica un corso positivo:

All’ospedale mi hanno messo i punti e mi hanno chiesto se fosse vero che mi fossi fatta male a casa e come mi fossi fatta male. Uno mi ha detto: “Non è vero, forse ti sei fatta male al ristorante. Stai raccontando una bugia”.

[20B_Donna, 34 anni, aiuto cuoca, Marocco]

Quelli dell'INAIL hanno fatto tutto. Mi hanno detto: “Ma non si è mai visto che una persona ha l'infortunio e non si presenta nemmeno per i suoi diritti!”. Ma io, voglio dire, proprio non sapevo, perché era finita la stagione e tu pensi “È finita la stagione, finisce il contratto” e invece il medico lì mi ha detto “Guarda che tu dall'INAIL sei coperta!”.

[2B_Donna, 56 anni, barista, Italia]

Non mi lasciava il medico andare a lavorare, perché non potevo camminare, non mi potevo alzare, andavo con il bastone. E poi gli ho detto “Ti prego”, di dire che potevo tornare al lavoro. Il medico mi ha detto “Se ti devono licenziare ti licenziano, ma tu devi stare a casa perché non sei guarita”.

[1A_Donna, 55 anni, infermiera professionale, Albania]

Dopo l'infortunio [un taglio alla mano] ho fatto la visita all'INAIL. Era una dottoressa che mi ha guardato e mi diceva: “Per me devi stare ancora a casa, perché il tuo lavoro è sempre con le mani nell'acqua”. E allora sono stata due o tre settimane.

[13B_Donna, 47 anni, cameriera di mensa scolastica, Serbia]

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Gli stralci qui proposti sintetizzano il ruolo dei diversi attori istituzionali nell’emersione e gestione dei processi legati all’infortunio. In primo luogo, il servizio di pronto soccorso, solitamente la prima delle istituzioni socio-sanitarie che il/la lavoratore/trice incontra, svolge un’azione di iniziale filtro, favorendo talvolta l’emersione dell’evento stesso. Il personale medico e infermieristico, deputato a emettere il primo certificato, è spesso anche il primo a constatare quanto avvenuto in termini fisici e a poter mettere in questione eventuali “coperture” che, come vedremo, risultano frequenti, principalmente per via delle pressioni da parte dei datori di lavoro, o comunque per i timori di lavoratori/trici posti in condizione di particolare vulnerabilità (timori di perdita del lavoro, mancato rinnovo del contratto, perdita del permesso di soggiorno ecc.).

Un altro ruolo dirimente è svolto poi, in maniera del resto non sorprendente, dall’INAIL stesso, soprattutto nei casi in cui, una volta avviata la procedura tramite i servizi ospedalieri, i/le lavoratori/trici non siano ben consapevoli di avere diritto a una copertura assicurativa. In tali casi, l’attività di presa di contatto svolta dall’Istituto permette di informare e spesso mantenere nelle maglie del percorso istituzionale eventi che altrimenti rischierebbero di ricadere in una sorta di “zona grigia”, tra emersione e gestione individuale.

Inoltre, una questione di rilievo, in termini istituzionali, concerne la tempistica del rientro: di fronte ai timori di perdita del lavoro, che possono spingere a rientri prematuri, l’autorevolezza dei medici del lavoro e/o di base può in taluni casi scongiurare situazioni dannose per il percorso di guarigione. Da questo punto di vista, tuttavia, corre l’obbligo di rilevare come le pressioni e i timori legati alla perdita dell’occupazione si siano rivelati, nel corpus dei materiali di ricerca, predominanti rispetto al possibile ruolo del personale medico: un esito preoccupante, ma d’altra parte facilmente prevedibile, per lavoratori/trici che, come abbiamo visto nel corso dei due precedenti capitoli, sono posti in condizioni di elevata ricattabilità.

Vi sono poi alcuni casi da segnalare, seppure limitati rispetto alla totalità delle interviste, nei quali la gestione della tempistica post-infortunio non appare altrettanto positiva:

Ci ho messo parecchio a recuperare, perché era andato indietro parecchio ‘sto tendine, per cui il fisiatra diceva “Qui ci vogliono altri due mesi”, il medico lì [all’INAIL] mi diceva “Ah, no, 15 giorni”...per cui avanti e indietro! […] Ma a me va bene, se io devo andare a lavorare vado a lavorare, non è un problema. Non è che voglio far giorni in più. Ma se il fisiatra mi dice che ero impossibilitata, avevo un dito che era gonfio, non si poteva lavorare in quella maniera.

[10B_Donna, 52 anni, cuoca di mensa scolastica, Italia]

L’unica cosa che dico è che i dottori quando vedono un infortunio o una malattia dovrebbero già calcolare il tempo di guarigione. Se vai in malattia e ci stai una settimana, il tutto si carica sui tuoi colleghi perché non vieni sostituita. Ma se la mia prognosi è di venti giorni, l’amministrazione sa il tempo di malattia e ti sostituisce. È vero che ci sono anche delle malattie “furbette” e se le vedo io che sono una povera lavoratrice sicuramente la vede anche chi di dovere. Ma se veramente un dottore deve dare una malattia, dovrebbe dare sin da subito i giorni reali perché possano sostituirti.

[3A_Donna, 47 anni, ausiliaria assistenza anziani, Italia]

Uno dei principali problemi emersi si lega ai possibili conflitti di prognosi tra diversi attori socio-sanitari (principalmente, medici del lavoro e strutture ospedaliere). Possono verificarsi casi in cui vi è una pressione a un rientro che il lavoratore o altre figure mediche ritengono invece prematuro.

Infine, nel caso specifico del personale delle RSA, è emersa una peculiare interazione tra iter assicurativo e gestione del lavoro da parte dell’organizzazione in cui si è verificato l’episodio: il medico del lavoro tende infatti ad assegnare un periodo inizialmente limitato di

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sospensione, per poi tenere monitorata la situazione ed eventualmente prolungare. Tale prassi, di per sé ragionevole, può tuttavia comportare problemi sul luogo di lavoro, quali ad esempio il non essere creduti rispetto alla gravità dell’evento o, come vediamo nel caso qui proposto, relativi alla gestione delle sostituzioni (che nelle case di riposo avvengono solo se l’assenza supera i venti giorni).

8.2.2.1 Il ruolo ambivalente del sindacato

È opportuno riservare una seppur breve trattazione a parte, concernente uno in particolare tra gli attori istituzionali che possono intervenire nell’iter di gestione dell’infortunio: il sindacato. Si tratta infatti di un attore che, nel complesso del materiale raccolto, si contraddistingue per un’ambivalenza tale da necessitare una tematizzazione a sé.

In primo luogo, occorre evidenziare la nettissima disomogeneità nei livelli di sindacalizzazione dei luoghi di lavoro di cui il progetto SICURTEMP si è occupato. Dai risultati di ricerca emerge chiaramente una diretta proporzionalità tra il grado di

“istituzionalizzazione” delle organizzazioni lavorative, il grado (e la stabilità) della loro sindacalizzazione e, generalmente, la qualità della vita lavorativa interna alle organizzazioni. Come illustrato in dettaglio nel corso del precedente capitolo, i casi eccellenti della ricerca sono infatti le RSA (pubbliche) per il settore cura e assistenza alla persona e le mense (scolastiche) per il settore alberghiero, del turismo e della ristorazione.

Tutti contesti lavorativi stabilmente inseriti entro reti di tipo istituzionale, per via della loro gestione, dimensione e/o del tipo di servizio offerto.

Tuttavia, vi sono zone d’ombra del mercato del lavoro e, dunque, contesti lavorativi che rimangono tendenzialmente impermeabili alla presenza sindacale (come, più genericamente, a quella di altri attori istituzionali della sicurezza):

Il settore alberghiero è il settore messo peggio in assoluto e il sindacato manca per vari motivi: è molto difficile fare forza contrattuale, perché sei subito preso di mira da parte del datore di lavoro. Credo che debba essere reinventato un certo modo di fare sindacato, deve esserci un altro modo di fare tutela dei diritti e dei doveri all’interno del settore alberghiero. O sono grandi strutture, o nelle piccole strutture i contratti a tempo indeterminato non esistono:

l’albergo in cui lavora mia mamma ha una trentina di dipendenti e nessuno è lì a tempo indeterminato.

[17B_Uomo, 35 anni, cameriere, Italia]

No, non sono mai andata all’INAIL e non posso andare nemmeno al sindacato [per la denuncia dell’infortunio] perché non sono in regola. Se non sono in regola come faccio?

Arriva una multa ai padroni e faccio del male a me stessa.

[17A_ Donna, 53 anni, assistente familiare, Bulgaria]

Vi sono due principali ostacoli alla presenza sindacale, non di rado tra loro intrecciati. In primo luogo, l’instabilità contrattuale: tale condizione, come abbiamo visto nei capitoli precedenti e come evidenziato in letteratura (Lucas, 2004; Sargeant e Giovannone, 2011), esclude di per sé dal godimento di una serie di diritti, conduce le persone a cambiare frequentemente lavoro e a sviluppare carriere frammentate, rendendo quindi molto ardua la sindacalizzazione. Vi è poi la specificità ulteriore del settore alberghiero e turistico, all’interno del quale tutte le interviste confermano, senza eccezione, una estrema difficoltà nel costruire una presenza sindacale stabile. Tale difficoltà si lega sia alla diffusione pressoché esclusiva di contratti stagionali, che esasperano la già citata relazione tra instabilità lavorativa e de-sindacalizzazione, sia alle dimensioni dell’organizzazione: come messo in luce nel capitolo precedente (si veda, nello specifico, il paragrafo 7.1.2), più il luogo di lavoro è piccolo e gestito in maniera informale, più netta è l’impermeabilità alla presenza sindacale (e in genere istituzionale).

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Fatte queste debite premesse circa la diversificazione del contesto, anche nel caso in cui il sindacato sia in qualche misura entrato nelle vite dei lavoratori intervistati, viene descritto con toni contrastanti:

Sì, c’è chi aveva dei rappresentanti sindacali, però lui [il datore di lavoro] ce l’aveva un po’ a morte, ti prendeva ancora più sotto. Formalmente ci sono, ma io non son mai stato favorevole, preferisco andar lì davanti e dire i miei problemi, se possiamo risolverli fra me e lui […]. Non ho mai trovato tanto utile andare dai sindacalisti, perché delle volte creano solo problemi in più, ti mettono proprio i bastoni tra le ruote, perché tu quando hai bisogno di lavorare, tiri già in mezzo loro, ti stronchi già all’inizio, secondo me.

[5B_Uomo, 24 anni, aiuto cuoco, Italia]

Fiducia nel sindacato? No, per niente. Ho ridato la tessera. I sindacati fanno il loro interesse, sono pronti quando devono chiederti l’iscrizione, ma per aiutarti invece… una pedata nel c**o. Se sei amico, conoscente o parente esistono, altrimenti sei un numero.

[3A_Donna, 47 anni, ausiliaria assistenza anziani, Italia]

Vi sono testimonianze che esprimono sfiducia, disinteresse e sospetto verso le organizzazioni sindacali e i loro rappresentanti, ritenendo la loro azione inutile, quando non addirittura dannosa, poiché legata al rischio di venir stigmatizzati e “presi di mira” da parte datoriale. A tale proposito, va inoltre evidenziata una certa, prevedibile disomogeneità generazionale: i/le lavoratori/trici più giovani, all’interno del campione di interviste, sono anche tendenzialmente coloro che hanno minore o nulla familiarità con le organizzazioni sindacali, a riprova del già citato processo di progressiva de-sindacalizzazione, legato alle trasformazioni del mercato del lavoro, nel segno di una crescente precarietà.

Vi sono però testimonianze dai toni completamente opposti, che descrivono l’azione sindacale come assolutamente rilevante all’interno dell’esperienza lavorativa:

Negli ultimi anni nessuna formazione sulla sicurezza, assolutamente. Ce la faceva ***

[sindacalista]. Quindi il sindacato da noi si è preso in carico la formazione sulla sicurezza.

[…] Quando avevi un infortunio tante volte rimanevi lì a lavorare. Ma ***[sindacalista] mi ha sempre detto di denunciare queste cose perché è importante, magari le botte te le porti dietro nel tempo.

[18B_Donna, 57 anni, addetta mensa ospedaliera, Italia]

Il mio ex-datore di lavoro voleva fregarmi. Ringrazio Dio e i sindacati, davvero. Dal sindacato mi ci ha portato una persona, uno di dove abito io. Io non ero mai stata dal sindacato, lui mi ha detto che c’era questa signora molto brava e mi ci ha portato.

[20B_Donna, 34 anni, aiuto cuoca, Marocco]

In taluni casi, la presenza sindacale si configura come punto di riferimento fondamentale rispetto alle condizioni di salute e sicurezza, ad esempio in luoghi di lavoro in cui queste ultime abbiano subito negli anni un progressivo abbassamento. È proprio il caso del primo stralcio qui proposto, che riporta significativamente l’esperienza di una lavoratrice impiegata presso una mensa ospedaliera, soggetta a un processo di privatizzazione, cui fa seguito un netto peggioramento della qualità della vita lavorativa. Vi sono inoltre casi di lavoratori/trici collocati in posizioni estremamente periferiche sul mercato del lavoro (come vediamo nel secondo stralcio, in cui a parlare è un’infortunata impiegata in nero come aiuto cuoca al momento dell’infortunio), per i/le quali il canale sindacale − spesso a sua volta filtrato da reti di conoscenze che svolgono un ruolo di intermediazione − si rivela determinante per la risoluzione di situazioni di abuso, talvolta anche gravi.

In linea più generale e al di là di aspetti disomogenei e contraddittori, che renderebbero

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una lettura univoca del ruolo sindacale non rispondente a quanto riscontrato nei dati, vi è un elemento che emerge in maniera tendenzialmente costante, concernente la complessiva separazione, nei racconti degli/lle intervistate, tra dimensione dei diritti lavorativi e dimensione della salute e sicurezza lavorativa:

Io, come altre, sono iscritta ad un sindacato. Alle riunioni non mi sembra abbiano mai parlato di sicurezza ma di ore, di appalti, di contratti. Non è che non se ne occupino, ma gli incontri erano mirati ad altre tematiche. So che sono molto attivi, tengono molto alle questioni dei contratti, degli orari e delle retribuzioni.

[14B_Donna, 37 anni, cameriera di mensa scolastica, Italia]

Quando ho visto che qualcosa non andava bene sono andata dal sindacato. […] L’ultima famiglia per cui ho lavorato mi aveva promesso che avrebbero cambiato commercialista, poi hanno cambiato idea per vari motivi. Ma a me non piaceva, c’era qualcosa che non mi tornava. Quindi sono andata dalla *** [sindacalista], lei mi ha fatto un calcolo e lui mi ha dato la differenza che mi spettava. È successo una o due volte.

[18A_Donna, 54 anni, assistente familiare, Moldavia]

Salvo alcune, già evidenziate vicende infortunistiche o attività di prevenzione, in cui il ruolo sindacale risulta dirimente, gli/le intervistate citano le organizzazioni sindacali quasi esclusivamente in relazione a questioni quali orari di lavoro, retribuzioni, contratti, ponendole però assai più difficilmente in rapporto all’esercizio dei propri diritti in tema di salute e sicurezza.

Da tale, mancata relazione, si può trarre una considerazione conclusiva, che attiene alla perdita di rilevanza della questione della sicurezza sul lavoro, rispetto a tematiche che sembrano divenire via via sempre più urgenti e pressanti (quali appunto le retribuzioni e i contratti), in uno scenario di progressivo peggioramento della qualità del lavoro. Si viene così a creare una sorta di cortocircuito fra piano della costruzione culturale dei diritti lavorativi e piano della loro effettiva violazione: se, come già rilevato nel corso dei precedenti capitoli, le questioni relative alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono poste a rischio anche (e soprattutto) a causa di un più generale processo di abbassamento della qualità del lavoro, al contempo, in maniera solo apparentemente paradossale, esse sembrano divenire, nella costruzione di lavoratori/trici, una sorta di

“lusso”. Un lusso che, in tempi di generale arretramento di diritti, appare inevitabilmente destinato a scivolare in secondo piano rispetto alla priorità della “sopravvivenza”

lavorativa. Si conferma dunque, anche nel caso della presente ricerca, quanto sottolineato in altri contributi, circa il carattere di “discorso”, pubblico e istituzionale della sicurezza, soggetto a un processo di costante ri/costruzione e mutamento, a sua volta in stretto rapporto con i cambiamenti dell’organizzazione sociale del lavoro (Borghi, 2013; Rizza e Sansavini, 2013).

Infine, sulla base di tali considerazioni, possiamo rilevare come il sindacato, tra i diversi attori istituzionali che popolano il campo della sicurezza, svolga un ruolo peculiare, che potremmo definire di “cartina di tornasole”: la sua presenza o assenza è indicativa del grado di permeabilità dei luoghi di lavoro rispetto agli attori istituzionali competenti in materia e contribuisce inoltre a frenare o accelerare i pur strutturali processi di abbassamento della qualità del lavoro, che incidono a loro volta sulla genesi del rischio.

Inoltre, la mancata tematizzazione della sicurezza nel più ampio discorso sindacale di lavoratori/trici risulta profondamente indicativa della progressiva derubricazione di tale tema dall’insieme dei diritti del lavoro, nel tempo della crisi.

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