Dopo l’infortunio: le traiettorie individuali, tra attori istituzionali, organizzazioni e mercato del lavoro
8.2 La gestione istituzionale dell’infortunio
8.2.3 Le traiettorie di cura: esemplari, mancate o tortuose
L’analisi di traiettoria ci conduce ora ad affrontare un altro aspetto che entra in gioco a seguito dell’evento, quando generalmente chi subisce un infortunio accede e transita all’interno del sistema sanitario. Ad essere in questione, qui, non è più il rapporto di lavoratrici/tori con le organizzazioni di provenienza, bensì con un insieme piuttosto ampio di attori istituzionali, tra i quali destreggiarsi allo scopo di ottenere cure il più possibile adeguate. Anche in questo caso, come abbiamo già avuto modo di rilevare nei due precedenti capitoli, il materiale di intervista conferma l’importanza della diversa collocazione di lavoratori/trici su un continuum marginalità/centralità, che delinea traiettorie differenziate non solo in termini di carriera lavorativa e infortunistica, ma anche di iter di cura post-infortunistico.
Più nel dettaglio, analizzeremo come gli/le infortunati/e, già a partire dal loro primo contatto con i servizi sanitari, siano portatori/trici di differenze (su tutte: genere, età, provenienza) e/o differenziali di potere (diversi gradi di vulnerabilità contrattuale, condizione economica, capitale sociale e culturale), che si scontrano e dispiegano anche all’interno del percorso di cura. Infatti, se il principio di universalità cui sono improntati i servizi socio-sanitari presuppone l’uguaglianza di trattamento, “trattare ugualmente persone che uguali non sono può tradursi in disuguaglianza” (Bruni et al., 2007, p. 13).
Al pari di altri aspetti della vicenda infortunistica, già analizzati in precedenza, anche “la cura” si presenta come un processo composito, che si dispiega nel tempo e in relazione a contesti e soggetti diversi, assumendo il carattere della traiettoria. Una traiettoria piuttosto complessa, dal momento che l’interazione degli individui con il sistema socio-sanitario si intreccia con varie altre dimensioni, in primis con la collocazione del/la lavoratore/trice all’interno del mercato del lavoro e del contesto lavorativo di provenienza:
Era ottobre o novembre, perché aprono due o tre giorni per i Santi, perché ero assicurata per quattro o cinque giorni. Sono andata avanti fino a marzo, credo, con la fisioterapia e tutto.
Non riuscivo più a muovere il braccio, è stata una brutta caduta. Ho fatto tanta fisioterapia.
[…] Non sono andata privatamente: per quello non posso dire niente. Sono anche andata parecchie volte a Trento, alla visita INAIL e ho avuto un’esperienza buona. Adesso la questione si è risolta. Ho fatto tanta di quella fisioterapia! La mia fisioterapista è stata bravissima, mi ha aiutato e anche quando ho finito mi ha proposto degli esercizi da fare a casa e io li ho fatti. Non mi è rimasto niente.
[7B_Donna, 56 anni, Italia, cameriera ai piani in albergo]
Un’addetta della struttura mi ha accompagnato al pronto soccorso, è stata lì con me tutto il tempo. Si sono comportati benissimo, massima disponibilità. Dopo ho fatto la procedura con l’INAIL, sono andato dalla dottoressa a Trento, spiegandole cosa fosse successo e in che modo. Mi erano stati dati tot giorni di malattia, però io ero guarito e appena mi sono sentito bene ho chiamato la dottoressa, le ho detto che stavo bene e che sarei andato al lavoro. Lei mi ha detto: “Sei sicuro? Hai ancora tot giorni” ma io stavo bene e sono tornato al lavoro.
Un’esperienza molto positiva.
[7A_Uomo, 36 anni, Marocco, OSS]
Entrambi gli stralci esemplificano traiettorie di cura “esemplari”, nelle quali la vicenda socio-sanitaria si svolge al meglio, senza disguidi, intoppi o problematiche di sorta. Come si vede, emerge un legame, una continuità tra condizione lavorativa e cura: in un caso come nell’altro, siamo di fronte a vicende di infortunio che vengono prese in carico in maniera trasparente e corretta, in primo luogo all’interno dei contesti lavorativi. Ciò si traduce in una iniziale facilitazione nell’accesso al servizio sanitario e al riconoscimento dell’infortunio, che segna in parte anche il successivo iter, rendendolo lineare ed efficace.
Questioni di in/sicurezza Un percorso di ricerca su contratti a termine e incidenti sul lavoro in provincia di Trento
In un caso, siamo di fronte ad un’organizzazione che assicura la lavoratrice anche per un brevissimo periodo, non soltanto dimostrando un formale rispetto delle norme, ma soprattutto permettendo l’emersione dell’infortunio. Nel secondo caso, è l’organizzazione lavorativa stessa a fare da intermediaria nell’accesso alla struttura sanitaria, facilitando così sia la cura, sia l’emersione dell’infortunio. In entrambi i casi, poi, non è soltanto l’accesso a funzionare, ma anche la traiettoria stessa, che si rivela efficace e rispettosa dei tempi di guarigione e delle esigenze degli infortunati.
Il corpus di interviste, tuttavia, evidenzia percorsi molto differenti:
[A proposito della gestione dell’infortunio] Non chiedermi niente, io non capivo niente! Solo uno ha telefonato e io ho detto che avevo già ricominciato il lavoro e mi ha detto “Signora, se lei ha ricominciato il lavoro non deve venire qua” [all’INAIL], perché dovevo stare a casa subito, non tornare al lavoro. Per questo ti dico che ci sono tante cose che noi [lavoratori migranti] non capiamo e puoi essere anche fregato.
[1A_Donna, 55 anni, infermiera professionale, Albania]
No, non ho denunciato, forse ho sbagliato. Non volevo avere problemi sul lavoro e il datore non voleva, perché quando stai male poi cercano di mandarti via. E quindi sopportavo e soffrivo, a casa. Chiedevo al Signore di farmi vedere quando dire basta. Il giorno in cui non sono riuscita ad alzarmi dal letto, ho capito che dovevo dire basta e dovevo lasciare. Ho passato così otto anni.
[15A_Donna, 52 anni, assistente familiare, Moldavia]
In questo caso, siamo di fronte a vere e proprie traiettorie mancate, che conducono alla mancata emersione dell’infortunio e/o alla mancata cura dell’infortunata: i soggetti non riescono neppure ad accedere al sistema, per ragioni e con modalità svariate. Anche nei mancati accessi, i nessi tra collocazione nel mercato del lavoro e vicenda sanitaria sono stretti: la permanenza dell’evento nella dimensione del sommerso, o comunque il mancato accesso al sistema sanitario, è fortemente influenzata innanzitutto da un contesto lavorativo poco trasparente. Un ruolo fondamentale è inoltre giocato anche dalla scarsa conoscenza dei propri diritti lavorativi, elemento a sua volta maggiormente (ma non esclusivamente) diffuso tra lavoratori/trici migranti, specie se di recente arrivo: questi ultimi risultano spesso soggetti ad una condizione di isolamento sociale, a difficoltà linguistiche e di inserimento, a disorientamento rispetto al complesso degli attori istituzionali legati al sistema di welfare e al mercato del lavoro ecc..
Inoltre, come emerge chiaramente nel secondo stralcio di intervista, le (frequenti) pressioni datoriali giocano un ruolo fondamentale nel disincentivare la denuncia, con ricadute sostanziali in termini di cura. Va d’altra parte evidenziato come i legami tra diritto alla salute e mercato del lavoro non si esplichino soltanto a livello individuale, ma anche nel rapporto tra istituzioni socio-sanitarie e organizzazioni/datori di lavoro: questi ultimi possono infatti frapporre barriere difficili da sormontare, contribuendo a creare zone d’ombra e impermeabilità rispetto all’applicazione delle norme e alla tutela dei diritti.
Un altro aspetto emerso in maniera ripetuta dal complesso dei materiali di ricerca è legato alle complicanze che in taluni casi si determinano all’interno dei percorsi di cura, anche nel caso in cui questi ultimi abbiano un regolare avvio:
Sono caduta con il braccio: ho sentito crack. Dopo sono andata in ospedale, mi hanno messo una fascia per dodici giorni e quando sono tornata a lavorare una volta terminata la malattia mi si è gonfiato il braccio, è diventato viola e molto gonfio, non riuscivo neanche a chiudere le dita della mano. Poi ho chiesto di fare la risonanza magnetica e un signore dell’INAIL mi ha detto che non era il caso, perché secondo lui non era niente di grave. Ma io non riuscivo a dormire di notte! Questo è successo a febbraio. Mi hanno dato quindici giorni di malattia,
Questioni di in/sicurezza Un percorso di ricerca su contratti a termine e incidenti sul lavoro in provincia di Trento
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dopodiché mi hanno mandata a lavorare. Finché ero a casa – bene o male – stavo bene, ma quando ho ricominciato con il lavoro e con il movimento mi si gonfiava tutta la mano. Quindi sono tornata in malattia e a spese mie sono andata da un ortopedico, ho fatto una risonanza magnetica ed è venuto fuori che dovevo operarmi a causa di questo. […] Adesso tremo e se alzo bruscamente il braccio vado in tilt.
[6B_Donna, 48 anni, cameriera di sala, Moldavia]
Il problema del taglio è che non è stato orizzontale, ma verticale e di conseguenza dalla seconda falange sotto l'unghia è venuta via tutta la parte. La parte sotto è saltata e anche i nervi, il tendine davanti… Fortuna che la radice dell'unghia ha fatto il suo lavoro e poi è ricresciuta, dopo anni. Nel fare la ricostruzione la pelle ha fatto rigetto, non ha attecchito, ha fatto pus, hanno fatto un lavoro fatto abbastanza male. È stato un lavoro non fatto ad opera d'arte. Dopo tre giorni sono dovuto andare da uno specialista tutti i giorni a far togliere il pus dalla mano. Sono stato fortunato che il fidanzato della figlia del *** [datore di lavoro], il papà era medico chirurgo. Devo dire che probabilmente gli ho fatto un po' di tenerezza, perché mi ha trattato proprio da signore.
[3B_Uomo, 39 anni, chef de cuisine, Italia]
I due stralci esemplificano i casi in cui, nel campione di interviste, non tutto procede come dovrebbe: la traiettoria di cura muta allora nel suo andamento, che da lineare si fa tortuoso, accidentato e denso di complicazioni. Non è certo qui di interesse (né peraltro di nostra competenza), stabilire responsabilità mediche di alcun tipo. Ciò che preme sottolineare è, in primo luogo, la dimensione processuale della cura e il suo essere soggetta a imprevisti e impedimenti, analogamente a quanto abbiamo già visto circa le difficoltà di definizione degli infortuni “latenti”. Se i corpi al lavoro “si rompono”, non sempre
“aggiustarli” si rivela un processo semplice, né tantomeno breve.
Nel far fronte alle complicazioni, molto si gioca inoltre sulle risorse individuali dell’infortunata/o: dalle reti di conoscenza e sostegno, che possono facilitare l’accesso a canali alternativi di cura, all’integrazione dell’assistenza prevista in caso di infortunio con mezzi economici propri. Nel complicarsi delle traiettorie, emerge poi la dimensione fondamentale del tempo: si tratta generalmente di processi lunghi, che le persone affrontano dovendo fare i conti con l’esigenza di tornare al lavoro (spesso in condizioni non certo ottimali), resa ancor più impellente dall’instabilità contrattuale che, come abbiamo visto nel corso dei due precedenti capitoli, espone a una maggiore ricattabilità rispetto a chi è impiegato con un contratto a tempo indeterminato.
All’estremità del continuum centralità/marginalità, anche nel caso delle traiettorie di cura tortuose, troviamo coloro che non sono nelle condizioni di poter esercitare i propri diritti (lavorativi e alla salute) in maniera pressoché assoluta:
Lavorando in nero senza contratto non potevo fare niente. […] Sono andata al pronto soccorso, mi hanno messo il codice bianco, io dovevo pagare 75 euro ma non li avevo. Il mio medico di base poi mi ha dato l’impegnativa e ho cominciato ad andare, ma sono passati due o tre mesi prima che andassi, ho dovuto aspettare l’impegnativa per operarmi e a giugno e mi hanno operato. Adesso ho una gonartrosi al ginocchio: mi fanno punture di olio di Aronia una volta alla settimana, ogni settimana sono 60 euro e me ne mancano ancora due. La prima l’ho pagata io, ma costano 58 euro l’una e io sono senza lavoro, la Caritas mi ha aiutato per le altre quattro.
[17A_Donna, 53 anni, assistente familiare, Bulgaria]
Quando ho iniziato a lavorare lì, il cuoco non ti diceva di stare attenta, non ti mostrava come usare o pulire l’affettatrice. Niente. Il contratto non me l’hanno fatto subito, mi hanno chiesto di fare un part-time anche se facevo tempo pieno e ho detto di no. Un giorno stavo iniziando a pulire l’affettatrice, la lama si è girata ed è andato dentro il dito. Sono andata all’ospedale e lui [il datore di lavoro] mi ha chiesto di dire che mi ero fatta male a casa. […] Sono tornata a
Questioni di in/sicurezza Un percorso di ricerca su contratti a termine e incidenti sul lavoro in provincia di Trento
casa, ho comprato gli antibiotici e tutte le medicine. […] Prima ho messo i punti, dopo hanno trovato un’infezione e mi hanno operata di nuovo per togliere la falange.
[20B_Donna, 34 anni, aiuto cuoca, Marocco]
Gli estratti qui proposti evidenziano in maniera chiara il punto estremo della vulnerabilità, tanto lavorativa, quanto poi legata alle traiettorie nel sistema sanitario, rappresentato dal lavoro nero. La mancanza di qualsivoglia forma di tutela contrattuale, seppur temporanea, nega l’accesso alle più fondamentali tutele, ponendo lavoratrici/tori in una condizione vischiosa, fatta di ricattabilità e paura. Anche in questo caso, si riconferma la fondamentale importanza di una lettura intersezionale (Browne e Misra, 2003; Walby, 2007) a tutto tondo: la maggiore vulnerabilità dei lavoratori migranti sul mercato del lavoro (legame tra contratto e permesso di soggiorno; accesso a segmenti del mercato del lavoro dequalificati ecc.), già sottolineata da altri contributi (Rathod, 2010; Bellè et al., 2013a, 2014) si conferma e riverbera, sia in termini di esposizione al rischio sul luogo di lavoro (bassa qualità del lavoro, scarse o assenti tutele), quanto poi di emersione dell’infortunio ed esercizio del diritto alla salute, con un effetto di rafforzamento, che emerge in maniera chiara se applichiamo alla vicenda infortunistica una lettura in grado di passare dall’evento al processo.
Come si vede, inoltre, quando le traiettorie di cura si fanno accidentate, spesso le conseguenze possono essere estreme: i ritardi e le tortuosità rischiano di aggravare situazioni altrimenti molto più facilmente risolvibili. La gravità delle conseguenze fisiche (e spesso anche emotive) di una traiettoria di cura tortuosa si misura, purtroppo, anche in termini di polarizzazione tra lavoratrici/tori in grado di intervenire con risorse proprie (economiche, ma anche di reti sociali), appianando così le difficoltà sopravvenute, e lavoratrici/tori sprovvisti di tali risorse. Una polarizzazione che può segnare i corpi al lavoro a lungo, quando non in maniera permanente.