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Politiche di reclutamento e contratti di lavoro

Un incidente sul lavoro difficilmente è incidentale

7.4 Politiche di reclutamento e contratti di lavoro

Come messo in luce nel capitolo teorico, ormai dagli anni ‘90 svariati contributi, sia europei (Quinlan, 1999; Benach, 2000; Brenner et al., 2004; Barrett e Sargeant, 2008; Underhill e Quinlan, 2011) che italiani (Biagi et al., 2001; Eurispes-Ispesl, 2003; IRES, 2006; Di Nunzio, 2011; Moffa, 2012) hanno messo in luce come la condizione contrattuale temporanea esponga ad una maggiore vulnerabilità in termini di salute e sicurezza, per un insieme molteplice di elementi fortemente interrelati tra loro: un’elevata ricattabilità contrattuale, cui si lega la limitata possibilità di rivendicare il proprio diritto alla sicurezza presso il datore di lavoro; lo sviluppo di percorsi lavorativi frammentati e costituiti da esperienze di breve periodo; un alto rischio di dequalificazione; la difficoltà a sviluppare una conoscenza profonda dell’ambiente di lavoro, delle mansioni e dei rischi connessi (Bellè et al., 2013b). È questo il cuore della ricerca presentata in questo volume, che si è proposta di indagare i temi della salute, della sicurezza e del benessere lavorativo all’interno del territorio della provincia di Trento, in relazione ai processi di progressiva flessibilizzazione e deregolamentazione in atto nel mercato del lavoro, che in anni recenti hanno interessato in maniera crescente anche il contesto locale. L'analisi dell'evento infortunistico, dunque, non può prescindere da una disamina delle forme contrattuali con cui i soggetti intervistati erano impiegati al momento in cui è avvenuto l'incidente sul lavoro.

Il lavoro di cura e assistenza alla persona è al centro dei processi di terziarizzazione e frammentazione del mercato del lavoro contemporaneo. Tra le interviste realizzate risulta interessante notare la presenza sia di situazioni in cui i soggetti transitano nelle organizzazioni per brevi se non brevissimi periodi di tempo, sia di situazioni in cui, al contrario, le persone sono impiegate nella stessa organizzazione ormai da diversi anni, ma non hanno ancora raggiunto una maggiore stabilità lavorativa.

Faccio l'assistente educatore, a tempo determinato, l'ultimo contratto è stato da giugno ad agosto. Ho fatto il jolly temporaneo estivo: lì lavori a tempo pieno, ti chiamano la sera prima alle 22 per dirti che devi iniziare la mattina alle 6. Il jolly temporaneo estivo è così: copri maternità, malattie, ferie ed infortuni. In teoria avevo un tempo pieno, 38 ore. Però, di fatto, gli straordinari erano una cosa ordinaria, ho lavorato anche per undici giorni di seguito.

[12A_Uomo, 27 anni, assistente educatore, Italia]

Ho lavorato sempre nella stessa casa di riposo, dal 1997. E sempre con contratti a termine.

Purtroppo faccio parte di quella categoria di persone a cui mancavano pochi mesi lavorativi per diventare fissa, quindi sono rimasta ausiliaria. […] Essendo a tempo determinato, inoltre, cambio molto le figure con cui mi devo interfacciare. Perché magari prima sono su un piano, poi con il contratto successivo vado su un altro piano. […] Ultimamente è sempre peggio perché ci sono queste nuove leggi che ti costringono a stare lontana per tot giorni tra un contratto e l’altro. Esiste solo una possibilità di proroga, dopodiché devi assentarti per circa 20 giorni.

[5A_Donna, 47 anni, ausiliaria assistenza anziani, Italia]

Gli stralci riportati mostrano una gestione del personale che non dà continuità al lavoro dei dipendenti, anche quando siano occupati da svariati anni nella stessa struttura.

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Nell'intervista sopra citata si fa riferimento a un caso limite, una lavoratrice che è impiegata con contratti a termine ormai da 18 anni e che, nonostante la profonda conoscenza dell'organizzazione, ad ogni rinnovo o contrattuale o nuovo inserimento viene trasferita di piano e dunque costretta a seguire dei nuovi utenti, dovendo abbandonare le relazioni costruite con colleghi/e e pazienti fino a quel momento, per intessere nuove relazioni e costruire rinnovate pratiche professionali. Viene inoltre confermata la prassi diffusa tra le aziende che fanno largo uso di contratti a termine di interrompere per 20 giorni il rapporto lavorativo al momento della scadenza del contratto. A tal proposito è utile sottolineare che la recente Riforma del Lavoro Fornero (legge 92/2012) è stata modificata dalla legge 99/2013 proprio in materia di intervalli temporali e pause obbligatorie tra due contratti a termine. Il Ministero del Lavoro, con la Nota n. 5426 del 4 ottobre 2013 in merito agli intervalli temporali minimi che devono intercorrere tra due contratti di lavoro a tempo determinato, ha infatti chiarito che in seguito dell’entrata in vigore del Decreto Lavoro i termini di intervallo risultano essere inferiori ai precedenti: rispettivamente 10 e 20 giorni per contratti fino a 6 mesi o di durata superiore. La riduzione dell'intervallo di tempo tra un contratto e l'altro, che negli intenti della nuova normativa avrebbe dovuto incentivare le imprese ad assumere nuovo personale, soprattutto giovane, si traduce dunque – quantomeno per la maggior parte delle persone intervistate nel corso di questa ricerca – in una situazione di precarietà che si protrae nel tempo, creando inevitabili difficoltà non solo sul piano professionale, ma anche a livello privato e familiare.

Come precedentemente sottolineato, tuttavia, le situazioni maggiormente problematiche si riscontrano per chi è impiegata come assistente familiare. In questo caso, infatti, l'ottenimento di un contratto a tempo indeterminato non equivale a maggiori garanzie sul piano della continuità lavorativa e di reddito, da un lato per la facilità di rescissione di questo tipo di contratti, dall'altro per il fatto che si tratta di un lavoro che termina con il decesso della persona assistita ed è dunque inevitabilmente limitato nel tempo, soprattutto per le condizioni di salute delle persone anziane, le quali ricorrono a un'assistente familiare tendenzialmente in presenza di malattie degenerative e/o in stadio avanzato.

Le dico la verità: non si rispetta la legge e non viene pagato tutto come vorrebbe il contratto.

Penso che, quando si fa un contratto, dovrei far mettere per iscritto che faccio 54 ore alla settimana. Invece fanno altri contratti, da 35 ore, mentre noi ne lavoriamo molte di più! […]

Poi badante e lavoro domestico sono due cose diverse. La badante deve lavorare sono con il paziente e fare un po’ di pulizia. Quando lavori come domestica dovresti pulire tutto, senza occuparsi della signora. Invece io devo lavare e pulire tutto, anche le finestre. E le dico un'altra cosa che non mi è piaciuta per niente. Tu mi hai fatto un contratto come badante, per un lavoro domestico: non devo fare le iniezioni. E invece loro dicono che devo farlo, perché l’infermiera viene soltanto una volta alla settimana.

[19A_Donna, 56 anni, assistente familiare, Moldavia]

Il racconto della lavoratrice intervistata si focalizza non soltanto sugli abusi dei contratti stipulati con le assistenti familiari, che spesso registrano un monte ore nettamente inferiore all'effettivo orario di lavoro svolto, ma anche su una prassi trasversale a tutte le interviste svolte in questo ambito, vale a dire la richiesta di svolgere attività legate a lavori domestici, in particolare pulizia, spesa e cucina, che non sarebbero contemplate da un rapporto di lavoro di assistenza familiare, ma che sono tuttavia imposte alle lavoratrici e quasi date per scontate al momento dell'assunzione.

Passando alla descrizione delle tipologie contrattuali utilizzate nel secondo settore oggetto della ricerca, quello alberghiero, turistico e della ristorazione, si ritrova ancora una volta il particolare caso delle addette alle mense scolastiche, che vivono la temporaneità contrattuale in maniera non problematica, dal momento che si tratta di un lavoro che ben si concilia con le loro esigenze, consentendo di non lavorare nel periodo di chiusura estiva

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delle scuole, potendo peraltro percepire la disoccupazione nei momenti di assenza di contratto.

È dal '95 sono qua. Nelle scolastiche c'è il tempo determinato proprio perché è legato alla scuola. Però in quel tipo di lavoro si fa richiesta proprio per stare a casa d'estate, cioè per noi è comodo l'orario, perché noi lavoriamo proprio nell'ora in cui i bambini sono a scuola: siamo a casa al pomeriggio e d'estate siamo a casa.

[10B_Donna, 52 anni, cuoca di mensa scolastica, Italia]

Ho un contratto a tempo determinato e poi andiamo in disoccupazione. Fino adesso siamo andati a disoccupazione per questi due mesi e mezzo, da giugno a inizio settembre, e dopo nel prossimo anno non so come funziona... Per me e per *** [suo figlio] questo lavoro è una fortuna perché sono a casa con lui quando lui è a casa. Ho vacanze quanto lui ha. Così, perché siamo soli... e così... Per me questo lavoro è il più comodo, per *** e per me. Siamo anche nella stessa scuola.

[13B_Donna, 47 anni, cameriera di mensa scolastica, Serbia]

Se si esclude il citato caso delle mense scolastiche, si ritrovano rilevanti criticità in tutti i lavori legati alla stagionalità del settore turistico. In particolare, è emersa la quasi assoluta discrezionalità del datore di lavoro rispetto alla stipula di un nuovo contratto nella stagione successiva. A ciò si lega la disponibilità che lavoratori e lavoratrici devono mostrare nei confronti dell'azienda, nella speranza di essere richiamati e di “mantenere la stagione”. Un ulteriore elemento trasversale alle esperienze dei soggetti intervistati è la commistione di attività lavorative retribuite in maniera formale e informale. Anche per chi è assunto regolarmente, infatti, è spesso presente una parte – più o meno ampia – di lavoro che viene svolto in nero, peraltro con retribuzioni nettamente inferiori rispetto a quanto accadesse in passato. Questo tipo di situazioni non fanno che acuire i rischi cui lavoratori e lavoratrici sono esposti. Come più volte argomentato nel corso del volume, infatti, la paura del mancato rinnovo del contratto spinge a non denunciare gli episodi di infortunio e a non seguire un adeguato percorso di cura e riabilitazione, pena la perdita del posto di lavoro.

Di certezze non ne hai mai… Io ho la certezza perché mi fido della parola del mio proprietario che ogni anno mi rinnova la richiesta. Durante l’inverno noi apriamo 3/4 volte, poi ti fanno un contratto a chiamata. In quest’ultimo caso non guadagni niente, ho provato ad andare in un albergo che mi ha chiamata 4/5 volte, ma prendi pochissimo, perché lì lavori circa 5 ore al giorno. Lo fai solo per mantenere il lavoro, per mantenerti la stagione e per far vedere che anche tu sei un po’ disponibile. Devi farlo per forza.

[9B_Donna, 38 anni, cameriera di sala, Croazia]

L’estate scorsa ho lavorato a voucher in un bar e le aspettative erano delle migliori; il datore di lavoro mi prospettava di dover lavorare dal 15 luglio al 31 agosto, tutte le sere per quattro ore: la prima ora a voucher a 7 euro, le altre tre ore in nero, a 8 euro. […] Dal punto di vista della sicurezza: una scottatura può essere tralasciata, ma per il mal di schiena... io mi sono confrontato con il datore di lavoro e lui ha detto: “Se vuoi venire a lavorare domani bene, altrimenti ne trovo un altro al posto tuo”. Io facevo servizio bar tutto il giorno, arrivavo a casa a mezzanotte, mettevo quintali di Lasonil e borse dell’acqua calda sulla schiena – dormivo anche sul pavimento, che era bello duro – e la mattina alle 8 ricominciavo con le colazioni

[17B_Uomo, 35 anni, cameriere, Italia]

Nel prossimo capitolo, dedicato alla traiettorie post-infortunio, verranno ampiamente trattati i casi in cui lavoratori e lavoratrici siano costretti a lavorare nonostante abbiano subìto un incidente sul lavoro; le ritorsioni in cui possono incorrere in seguito ad un'assenza; fino alle situazioni di interruzione del rapporto di lavoro – che da un punto di vista formale significa

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semplicemente non rinnovo del contratto – proprio a causa dell'avvenuto infortunio, talvolta per impossibilità di continuare a svolgere l'attività lavorativa con gli stessi ritmi, talaltra come reazione ad una denuncia di infortunio che si voleva tenere nascosto.

In chiusura di questa sezione, incentrata sulle tipologie di contratto a termine e sulle politiche di reclutamento messe in atto dalle organizzazioni, si vuole infine rimarcare nuovamente la particolare posizione di svantaggio di lavoratori e lavoratrici che lavorano con un contratto a termine e provengono da paesi che non sono al momento membri dell'Unione europea o che vengono da paesi comunitari, ma non sono in possesso di un regolare contratto di lavoro.

Adesso la precedenza come infermieri dicono che la danno agli europei. Io, che sono albanese, non posso avere la precedenza su una rumena, per esempio. Finisce il contratto a me e a una polacca, una rumena, una bulgara, la precedenza ce l’hanno loro. Anche sei hai dieci anni… Ho visto ad esempio una che era bulgara, e io avevo fatto la domanda a tempo pieno e a lei che è venuta dopo di me hanno dato il tempo pieno. E quando ho chiesto mi hanno detto che la precedenza è degli europei. La coordinatrice mi ha detto così. Cosa devi fare: devi conservare il posto di lavoro. Siamo stranieri, prendiamo 900 euro.

[1A_Donna, 55 anni, infermiera professionale, Albania]

Dall’inizio io ho visto questo sfruttamento, per questo motivo il personale ha cominciato a cambiare, ogni giorno c’era un traffico di personale. Le persone non erano soddisfatte e non volevano essere assunte lì. [...] Gli stranieri continuavano a lavorare perché avevano bisogno. Una ragazza italiana invece ha fatto il record: è stata dentro mezz’ora ed è andata via. Ho perso i conti di quanti siano stati i cuochi e i pizzaioli. Perché sono rimasto lì? Perché avevo bisogno di lavorare, aspettavamo che uscisse la legge per fare la conversione [dal lavoro in nero al promesso contratto a tempo indeterminato].

[19B_Uomo, 30 anni, tuttofare in cucina, Ucraina]

Il focus sui settori alberghiero, turistico e della ristorazione da un lato e della cura alla persona dall’altro – fortemente caratterizzati da un’elevata presenza di donne e migranti – ha permesso di soffermarsi sulle possibili intersezioni tra la temporaneità del contratto di lavoro e altri elementi di potenziale discriminazione o svantaggio.

I protagonisti delle storie riportate, nonostante l'esperienza acquisita nei rispettivi settori, non sono riusciti ad ottenere una condizione contrattuale stabile, né un pieno riconoscimento delle proprie competenze. L’essere lavoratore/trice migrante gioca infatti un ruolo determinante – molto più delle proprie competenze – nell’impedire che le proprie richieste di maggiore stabilità contrattuale vengano accolte, costringendo inoltre ad accettare ritmi lavorativi potenzialmente rischiosi per la propria salute. L’intrecciarsi della temporaneità contrattuale con altri elementi di vulnerabilità, quale la condizione di migrante, pare ridurre (se non annullare) il vantaggio di possedere saperi e competenze anche altamente qualificati nel contesto lavorativo di appartenenza (Bellè et al., 2013a). Il timore costante di perdere il lavoro – e di conseguenza il rinnovo del permesso di soggiorno – restringe infatti ulteriormente il potere di negoziazione, enfatizzando la dinamica ricattatoria e intensificando i rischi. Agli effetti perversi della regolazione del lavoro temporaneo e della sicurezza sul lavoro si aggiunge dunque in questi casi il fallimento delle politiche migratorie, che più che governare i flussi e il reclutamento dei/lle migranti, stanno provocando un grave danno allo sviluppo del paese e alla sua coesione sociale (Livi Bacci, 2011).

Dopo aver analizzato gli aspetti legati ai contratti di lavoro con cui i soggetti intervistati sono impiegati – o, più precisamente, erano impiegati al momento dell'infortunio – nell'ultima sezione del capitolo l'attenzione sarà volta ad un ultimo elemento che occorre considerare nell'analisi degli eventi infortunistici, vale a dire l'accesso ad una adeguata formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

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