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L’ IMAGO URBIS DELLA RURALITÀ DELLA T USCIA

TURISTICA DELLA RURAL CITY

2. L’ IMAGO URBIS DELLA RURALITÀ DELLA T USCIA

Sicuramente la parola rurale è fondamentale per rappresentare e esaminare il territorio della provincia di Viterbo, nelle forme e nelle varie modalità in cui il rurale stesso si articola: dimensione agricola, ambientale e urbana. Certamente ruralità intesa non come ritardo di sviluppo o spazio interstiziale, ma soprattutto come micro-collettività, che oltrepassa il 50% della popolazione totale della provincia di Viterbo e la colloca al quinto posto della graduatoria nazionale della ruralità. Eppure il territorio rurale non è considerato sempre un bene di interesse collettivo da tutelare: lo dimostra il fatto che lungo le direttrici stradali e soprattutto ai confini con la cintura settentrionale della provincia romana, si registra un consumo rilevante di quote di territorio rurale destinate alla «edificazione sterminata che ha scelto residenze, centri commerciali e capannoni come meccanismo di speculazione e ha divorato suoli e paesaggi» (BONORA, 2013, p. 7). Una vera e propria occupazione di territorio

agricolo che in molti casi ha generato delle situazioni critiche dal punto di vista ambientale per la mancanza di servizi di urbanizzazione idrici e reti fognarie. Nonostante questo processo di polverizza- zione e frammentazione delle aziende agricole con la conseguente perdita di valore e di competitività delle produzioni, i settori del turismo rurale, dell’artigianato, dei servizi ambientali e culturali, dei prodotti tipici, sono ancora delle opportunità per la Tuscia; per questo motivo molti agricoltori stanno tentando una rivitalizzazione delle aree rurali, puntando sulla multifunzionalità agricola e in particolare sulla funzione turistico-ricreativa attraverso gli agriturismi e quella ambientale con le fattorie didattiche. Va infatti considerato che più del 50% degli agriturismi presenti nel Lazio sono localizzati nel territorio provinciale di Viterbo e questi ultimi anni hanno segnato un incremento notevole dell’offerta turistica ambientale per la crescita delle produzioni di nicchia (agricoltura biologica e prodotti tipici) e maggiore penetrazione dei prodotti locali nei mercati della capitale.

In quest’ottica rientrano anche le iniziative politiche per il riconoscimento di itinerari e strade(1)

che hanno l’intento di costituire una rete formata da cantine, luoghi di produzione di prodotti tipici, vigneti, oliveti, noccioleti, centri storici, musei emergenze archeologiche ed ambientali, attività sportive

(1) Strada del vino della Teverina (riguarda i comuni di Bagnoregio, Bomarzo, Castiglione in Teverina, Celleno, Civitella di Agliano,

Graffignano, Lubriano); Strada Canino DOP (con i comini di Canino, Montalto di Castro, Tuscanica, Farnese, Ischia di Castro, Cellere, Arlena di Castro, Tessennano); Strada dei sapori Etrusco Cimini (riguardante i comini di Canapina, Caprinica, Caprarola, Ronciglione, Soriano nel Cimino, Valleranno, Vetralla, Vignanello e Vitorchiano). Strada relativa al territorio dell’Alta Tuscia e del comprensorio del Lago di Bolsena.

e ricreative strutture ricettive, artigiani, agenzie turistiche, ristoranti tipici. Itinerari che più che dall’alto (top down) hanno ricevuto una spinta dal basso (bottom up) per l’aumento del numero dei turisti stranieri e italiani, non solo romani. D’altronde da sempre attorno al termine strade si concentrano significati plurimi che riguardano «un immaginario on the road rinnovato a ogni generazione» (CLEMENTI e PAVIA, 1998, p. 3) che non può prescindere dal paesaggio che viene attraversato: paesaggi

percorsi, ma anche nascosti, paesaggi di sfondo, a margine di zone commerciali e industriali, intoccabili, irraggiungibili se non dal flusso turistico del week-end. Paesaggi che non sembrano turbati dalle strade e che esistono in virtù di strade secondarie. Paesaggi che non riusciamo a immaginare prima o, per meglio dire, senza quella determinata strada. In sostanza, risulta difficile continuare a pensare ai paesaggi e alle strade come oggetti autonomi, distinguibili e separati. Sembra piuttosto opportuno fare il contrario: evidenziare le comuni dinamiche evolutive che li legano, soprattutto in termini di rapporto fra infrastruttura e contesto, dove quest’ultimo sta a significare piuttosto il grado di inserimento di un’opera stradale nel paesaggio. Le vie di comunicazione della Provincia di Viterbo sono essenziali per capire il senso di un determinato orientamento territoriale impostato dagli Etruschi per il controllo del territorio e caratterizzato da una direzionalità anti-peninsulare, che va dai principali crinali agli insediamenti collinari, con i relativi controlli delle selle alla zona Tiberina, fino alla fascia costiera di Tarquinia per il dominio delle vie commerciali di mezzacosta. Viabilità ripresa dai Romani e orientata verso un’unica direzione, per collegare Roma e controllare tutti gli insediamenti urbani dell’Etruria Meridionale: dalla Cassia, raddoppio unificante tra la Clodia e la Cimina, che lambisce la città di Viterbo e attraversa completamente la Tuscia; la Flaminia, fondamentale collegamento con la Pianura Padana, raggiunge Rimini innestandosi sulla Via Emilia e nella parte inferiore corre parallelamente tra l’Amerina e la Tiberina; l’Aurelia, il collettore degli interessi rappresentati dai centri costieri.

Una viabilità che fa del viterbese una «terra di transito» (PIOVENE, 2007, p. 802) non solo per il

traffico interprovinciale o per quello fra Roma e Viterbo, ma anche per quello automobilistico nazionale da e verso la Capitale, di carattere turistico e non. E se l’Autostrada del Sole con il suo svincolo ad Orte ancora incompleto della Trasversale Terni-Orte-Viterbo-Civitavecchia(2) rende la

marginalità della città di Viterbo più evidente e rappresenta

un handicap dal punto di vista dello sviluppo del turismo moderno, che richiede facilità e rapidità di collegamenti oltre che ampiezza e varietà della tipologia delle strutture ricettive […] la stessa situazione è stata anche tale da permettere di preservare largamente l’ambiente naturale ed il paesaggio da un’antropizzazione spinta, oltre a conservare peculiari tradizioni, culture, notevoli caratteristiche coesive della vita sociale. Questo

handicap storico, stratificatosi nei secoli, appare perciò per l’oggi e per il futuro anche nella luce diversa ed anzi

opposta di una straordinaria opportunità nuova (DE CAPRIO, 2008, p. 37).

Soprattutto relativamente alla progettualità che interessa l’antica via Clodia(3), costruita tra la via

Cassia e la via Aurelia, che presenta una caratteristica particolare rispetto ad esse: mentre le due vie maggiori erano progettate principalmente per i trasferimenti militari di lungo raggio, non curandosi degli insediamenti che incontravano, la via Clodia era una via di corto raggio, dedita ai traffici mercantili con le colonie in terra etrusca. Denominata dai Romani «via delle terme», sia perché giungeva in diverse località termali, sia perché secondo alcuni terminava a Saturnia, il percorso della Clodia si mostra come un elemento complesso che si contraddistingue per l’insediamento diffuso, per le diramazioni che invadono il territorio circostante, per il fatto che rappresenta, in un certo senso, una sintesi funzionale e parte integrante del paesaggio attraversato. Senza dubbi, la via Clodia va considerata non solo come un’infrastruttura stradale, ma come un vero e proprio «progetto di paesaggio», non solo come un’opera stradale che «spezza» in tracciati o in corsie il territorio, per le sue intrinseche caratteristiche di linearità e continuità; per la sua caratteristica di relazionalità, dovendosi porre in stretto rapporto con il paesaggio circostante. La via Clodia offre, infatti, la possibilità di verificare il grado di integrazione tra «progetto stradale» e contesti territoriali paesistici, che la strada attraversa e che la strada stessa contribuisce a costruire e a modificare nel tempo. Contesto paesistico che va letto secondo quanto afferma la Convenzione Europea del Paesaggio, considerandolo necessario allo sviluppo sostenibile, «motore di un rapporto equilibrato tra bisogni sociali, attività economica e ambiente», ma anche come un indicatore indispensabile per verificare la sostenibilità delle trasfor- mazioni indotte dalle strade sul paesaggio in funzione del rapporto di conservazione delle risorse

(2) Il completamento è previsto per giugno 2016.

(3) Una progettualità che vede impegnati il Laboratorio delle Aree Interne (LAI) dell’Università degli Studi della Tuscia, l’Istituto di

ambientali e storico-culturali e di innovazione infrastrutturale. Quello che finora è stato dunque considerato un handicap potrebbe invece rivelarsi un vantaggio, perché la perifericità che caratterizza la Tuscia ha permesso di preservare quasi integro un patrimonio naturale, paesaggistico, storico, culturale, artistico da valorizzare e opportunamente gestire. Naturalmente tutto ciò sottintende che vi siano politiche e linee guida per la conservazione degli habitat di interesse naturalistico ed ambientale e per un incremento della qualità insediativa che possa assicurare una disponibilità di spazi naturali e culturali che devono essere affiancati da una strategia di riequilibrio territoriale e crescita occupazionale, attraverso la valorizzazione delle risorse. Politiche e strategie, in sostanza, in grado di trasformare le risorse di attrazione turistica – Parco Marturanum, Parco dei Monti della Tolfa, la Riserva Naturale di Canale Monterano, di Monte Rufeno e della Selva del Lamone, il Parco archeologico-naturalistico della Valle del Vezza, i ruderi di Castro, il Palazzo Sforza di Proceno e il Palazzo Monaldeschi di Onano e altri ancora – e la vicinanza con la Toscana e l’Umbria in fattori che possono determinare uno sviluppo eco-turistico.

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