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La retroattività della disciplina più favorevole.

Nel documento Le sanzioni amministrative non pecuniarie (pagine 154-160)

Il regime giuridico applicabile alle sanzioni amministrative non pecuniarie.

3. Il principio di legalità ed i suoi corollari: in particolare il divieto di retroattività della disposizione sanzionatoria.

3.1. La retroattività della disciplina più favorevole.

Risolta in senso positivo la questione della rilevanza, anche costituzionale (e sovranazionale), del principio di irretroattività della sanzione amministrativa, è necessario svolgere alcune considerazioni in ordine alla eventuale vigenza, pure

da Corte cost., sent, n. 196/2010, si afferma che «il legislatore non può prevedere sanzioni applicabili a fattispecie che si sono realizzate in un periodo anteriore all’entrata in vigore della legge stessa. La Corte costituzionale ha affermato che l’art. 25 Cost., nella parte in cui prevede che «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso», deve essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio «è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato» (Corte cost. n. 196 del 2010). Il divieto posto al legislatore opera a maggior ragione nei confronti della pubblica amministrazione che deve applicare le sanzioni previste dalla legge esistente al momento in cui l’illecito è stato commesso. L’amministrazione non può, pertanto, applicare essa stessa retroattivamente una sanzione ad un fatto che, al momento della sua realizzazione, era disciplinato da una legge che prevedeva un regime, eventualmente anche sanzionatorio, diverso».

295 Aperture in questo senso, in ordine al rilievo dell’art. 49 della Carta di Nizza, appaiono

intravedersi nella prospettazione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della l. n. 689/1981 operata dal Tribunale di Cremona, ma decisa dalla Corte costituzionale con ordinanza 28 ottobre 2014, n. 247, di restituzione degli atti al Giudice rimettente per la valutazione del perdurare della rilevanza della questione alla luce del mutamento del quadro normativo di riferimento.

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per le sanzioni amministrative, del principio di retroattività della disposizione sopravvenuta più favorevole296.

A differenza di quanto accade nel diritto penale297 – ove l’art. 2 c.p. disciplina eccezioni al criterio dell’irretroattività, in caso di sopravvenienza di norma più favorevole al reo –, con riferimento alle sanzioni amministrative non vi sono disposizioni di carattere generale che deroghino al criterio dell’irretroattività desumibile dall’art. 1 della l. n. 689/1981, con la conseguenza che tale principio trova applicazione sia nell’ipotesi in cui, successivamente alla commissione dell’illecito venga introdotta una disciplina più favorevole al responsabile, sia qualora venga meno l’illiceità stessa della condotta, salva espressa previsione in senso difforme298.

296 Il tema è stato approfondito da M.A. SANDULLI, Le sanzioni amministrative

pecuniarie, cit., 81 ss.; C. E. PALIERO – A.TRAVI, La sanzione amministrativa, cit., 173 ss.; P. CERBO, Il principio di irretroattività, cit., 240, nonché in Successione di leggi nel tempo e applicazione della disciplina più favorevole per gli autori di violazioni amministrative, cit..

297 Già C. E. PALIERO A.TRAVI, La sanzione amministrativa, cit., 174, nell’osservare

che nell’art. 1 della l. n. 689/1981 non è stata riprodotta la disciplina contenuta nei commi 2 e 4 dell’art. 2 c.p., hanno evidenziato che, a differenza del principio di irretroattività, che persegue esigenze di certezza del diritto, l’applicazione retroattiva della legge più favorevole al reo risponde alla ratio di garanzia per il cittadino di ricevere il trattamento più favorevole nella sfera per definizione più restrittiva delle libertà fondamentali, quale espressione del principio del favor libertatis. Gli Autori si sono espressi in senso contrario all’estensione del principio di retroattività della disciplina più favorevole agli illeciti amministrativi.

298 Particolarmente significativa, in questo senso, è la recente decisione Cass., Sez. II, 12

novembre 2014, n. 24111, in Dir. e giust., 2014, 13 novembre, che ricorda come la giurisprudenza della Corte di cassazione sia consolidata nell’affermare che «in materia di illeciti amministrativi, l’adozione dei principi di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell’analogia, risultante dalla L. n. 689 del 1981, art. 1, comporta l’assoggettamento del comportamento considerato alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali ab origine, senza che rilevi in contrario la circostanza che la più favorevole disciplina posteriore alla data della commissione del fatto sia entrata in vigore anteriormente all’emanazione dell’ordinanza - ingiunzione per il pagamento della sanzione pecuniaria e senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2 c.p., commi 2 e 3», ricordando, altresì, che «per quanto riguarda il divieto di applicazione analogica dell’art. 2 c.p., commi 2 e 3, è stata sottolineata la differenza qualitativa della materia degli illeciti amministrativi rispetto a quella penale, differenza che giustifica il diverso trattamento sul punto da parte del legislatore (Cass. n. 6232 del 1999)». Si veda anche Cass. Sez. Un., 10 agosto 2012, n. 14374, in Giust. civ. Mass., 2012, 7-8, 1034, ove si afferma che «l’avvenuta abrogazione dei divieti già tipizzati nel codice deontologico non può elidere l’antigiuridicità delle condotte pregresse, secondo la regola della retroattività degli effetti derivanti dall’abolitio criminis e dell’applicazione del principio del favor rei ai procedimenti in corso. In tema di responsabilità disciplinare, infatti, l’illecito è riconducibile al genus degli illeciti amministrativi per i quali - in difetto dell’eadem ratio - non trova applicazione in via analogica il principio del favor rei sancito dall’art. 2 c.p., bensì quello del tempus regit actum». In senso conforme anche Cass., Sez. lav., 25 giugno 2009, n. 14959, in Giust. civ. Mass., 2009, 6, 983, secondo cui «alle sanzioni amministrative non sono automaticamente riferibili i principi propri delle sanzioni penali e,

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D’altra parte, neppure in materia penale vi è un obbligo tassativo del legislatore di prevedere la retroattività delle disposizioni più favorevoli; il principio di retroattività della disposizione più favorevole non è, infatti, considerato desumibile dall’art. 25, comma 2, Cost.299 – di cui, come visto, può ormai ritenersi estesa l’applicabilità anche alle sanzioni amministrative – dal quale anche in ambito penale si ritiene traibile il solo divieto di retroattività delle disposizioni sfavorevoli, configurandosi il fondamento costituzionale di tale disposizione nel principio di uguaglianza300; a ciò consegue che, se il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole sancito dall’art. 25, comma 2, Cost. è assolutamente inderogabile, la retroattività della disposizione di favore è stata considerata suscettibile di deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli301.

In passato, la Corte costituzionale ha, peraltro, negato di dover ritenere costituzionalmente illegittimo l’art. 1 della l. n. 689/1981 nella parte in cui non ha previsto, al pari dell’art. 2 c.p., l’applicazione retroattiva del trattamento

pertanto restano sottoposte, in via generale, al principio di legalità ed irretroattività, il quale comporta l'assoggettamento della condotta alla legge in vigore al tempo del suo verificarsi, con la conseguenza che, in mancanza di un’espressa previsione, non può trovare applicazione il principio di retroattività della legge successiva più favorevole».

299 Tale principio si trova di recente riaffermato in Corte cost. 26 gennaio 2012, n. 15, in

Giur. cost., 2012, 1, 145; Id., 22 luglio 2011, n. 236, ivi, 2011, 4, 3021, che significativamente afferma che «questa Corte ha reiteratamente affermato che il principio di retroattività della disposizione penale più favorevole al reo – previsto a livello di legge ordinaria dall’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen. – non è stato costituzionalizzato dall’art. 25, secondo comma, Cost., che si è limitato a sancire l’irretroattività delle norme incriminatrici e, in generale, delle norme penali più severe. Esso, dunque, ben può subire deroghe per via di legislazione ordinaria, quando ne ricorra una sufficiente ragione giustificativa»; Id., 23 novembre 2006, n. 393, in Foro it., 2007, 6, I, 1676. Secondo M.A. SANDULLI, Le sanzioni amministrative pecuniarie, cit., 83, una più ampia lettura del principio enunciato dall’art. 25, comma 2, Cost., ripetuto dall’art. 1, l. n. 689/1981, consentirebbe di intendere implicitamente riconosciuto, in un più lato concetto di legalità della pena, anche il suddetto ulteriore significato di garanzia di non punibilità per un fatto non più passibile di pena al tempo dell’esercizio della potestà sanzionatoria. L’Autrice ha altresì evidenziato l’opportunità di estendere i principi penalistici anche all’ipotesi in cui la legge sopravvenuta, che qualifica in termini di liceità il fatto, intervenga successivamente all’applicazione della sanzione, ad esclusione delle ipotesi di sanzioni ad esecuzione immediata.

300 Cfr. Corte cost. 23 novembre 2006, n. 394, secondo cui «la Corte ha quindi

costantemente escluso che il principio di retroattività in mitius trovi copertura nell’art. 25, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 80 del 1995, n. 6 del 1978 e n. 164 del 1974; ordinanza n. 330 del 1995). Ciò non significa, tuttavia, che esso sia privo di un fondamento costituzionale: tale fondamento va individuato, invece, nel principio di eguaglianza, che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice».

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favorevole sopravvenuto in materia di illeciti amministrativi302. La Corte ha, infatti, sostenuto che non possa rinvenirsi, in materia di sanzioni amministrative pecuniarie (ma il discorso può estendersi a quelle non pecuniarie), nella disciplina generale e di principio loro riguardante, un vincolo imposto al legislatore di consentire, in caso di successione di leggi nel tempo, l’applicazione della legge posteriore più favorevole, poiché rientra nella sua discrezionalità – pur nel rispetto del limite della ragionevolezza – modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore a seconda delle materie oggetto di disciplina. Con riferimento alla prospettata disparità di trattamento che si verificherebbe rispetto a violazioni di analogo contenuto, commesse, però, in tempi differenti e sottoposte, quindi, a diversi regimi, la Corte ha, altresì, ritenuto, da un lato, che sussiste in generale la possibilità che venga introdotta una disciplina diversificata applicabile alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiché, altrimenti opinando, nessuna legge sarebbe modificabile o tutte dovrebbero avere sempre portata retroattiva; dall’altro, e con riferimento più specifico all’ambito sanzionatorio, che la sottoposizione di fatti commessi in tempi diversi a discipline differenziate è il mero precipitato applicativo del principio di stretta legalità vigente in materia di sanzioni amministrative303.

Il quadro sinora delineato, però, sembra si stia progressivamente modificando in ambito penale, alla luce dei principi e delle norme derivanti dal diritto sovranazionale. Si ritiene di dover fare, sia pur brevemente, cenno a tali

302 Così, Corte cost., ordd. 24 aprile 2002, n. 140, in Foro it., 2003, I, 1338 e 28 novembre

2002, n. 501, ivi, richiamate anche da ord. 15 luglio 2003, n. 245, in Foro amm. – CdS, 2003, 7-8, 2133. Occorre osservare che il legislatore, in alcune discipline di settore, ha previsto l’applicazione della disciplina sopravvenuta più favorevole (ad esempio, l’art. 3, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, relativo alle sanzioni tributarie, e l’art. 23-bis, comma 3, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148, in materia valutaria), ma la giurisprudenza ha escluso che tali disposizioni potessero considerarsi esplicative di un principio generale, estensibile alla generalità degli illeciti amministrativi; si veda, in quest’ultimo senso, Cass., Sez. un., 13 gennaio 2010, in Giust. civ. Mass., 2010, 1, 39 e già Corte cost., ordd. 24 aprile 2002, n. 140, 28 novembre 2002, n. 501 e 15 luglio 2003, n. 245, cit., quest’ultima che afferma che «il differente e più favorevole trattamento non irragionevolmente riservato dal legislatore alla disciplina delle sanzioni amministrative tributarie e valutarie, trovando fondamento nell’innegabile peculiarità sostanziale che caratterizza le rispettive materie, non si presta a essere messo a raffronto con la disciplina dettata dalle norme impugnate né tantomeno a essere esteso in via generale, trasformandosi da eccezione in regola».

303 Osserva P. CERBO, Il principio di irretroattività, cit., 242, che in tale lettura «il piano

dell’interpretazione delle norme costituzionali di riferimento tende a confondersi con quello dell’interpretazione della legge ordinaria (in particolare, dell’art. 1, co. II, l. 689/81».

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questioni, nei limiti in cui possono assumere rilevanza in relazione alle sanzioni amministrative non pecuniarie.

In primo luogo, la Corte costituzionale già nel 2006, pur sostanzialmente confermando la propria lettura del principio di retroattività della lex mitior in ambito penale – fondato sull’art. 3 e non sull’art. 25 Cost. – ha ricordato che il principio trovi anche riconoscimento a livello internazionale, nell’art. 15, primo comma, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966 e nell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea richiamata, benché ancora priva di efficacia giuridica, per il suo carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei304, ritenendo, pertanto, che eventuali deroghe al principio anche nel diritto italiano possano giustificarsi solo in favore di interessi di analogo rilievo, dovendosi, quindi, articolare il vaglio di costituzionalità non nei limiti della non manifesta irragionevolezza della norma derogatoria al principio di retroattività, bensì della sua ragionevolezza.

In ambito sovranazionale, poi, la questione è stata oggetto anche di una rilevante decisione della Corte EDU che, in una controversia coinvolgente lo Stato italiano305, ha ritenuto che il principio di retroattività della disposizione favorevole

304 Corte cost., 23 novembre 2006, n. 393, in Foro it., 2007, 6, I, 1676, che ha chiarito in

che termini vada letto in ambito costituzionale il valore del principio di retroattività della lex mitior, sottolineando che «il livello di rilevanza dell’interesse preservato dal principio di retroattività della lex mitior – quale emerge dal grado di protezione accordatogli dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale e dal diritto comunitario – impone di ritenere che il valore da esso tutelato può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo […]. Con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma penale più favorevole al reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole»

305 Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, (ric. n.

10249/03) § 109. Ivi si afferma che «alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che sia necessario ritornare sulla giurisprudenza stabilita dalla Commissione nella causa X c. Germania e considerare che l’articolo 7 § 1 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa. Questo principio si traduce nella norma secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato». Il principio è stato ribadito successivamente da Corte eur. dir. uomo, Terza Sezione, 24 gennaio 2012, Mihai Toma c. Romania (ric. 1051/06), ove si afferma che «Article 7 of the Convention requires that an offence must be clearly defined in law, that the law must be predictable and foreseeable and both prohibit the retrospective application of the more stringent criminal law to the detriment of the accused and guarantee the retrospective application of the more lenient criminal law».

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sia desumibile dall’art. 7 CEDU, con conseguenze sia in ordine alla sua rilevanza come parametro del giudizio di costituzionalità ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., sia circa l’estensibilità delle conclusioni così tratte a quelle misure afflittive che, pur di carattere amministrativo nell’ordinamento interno, sono qualificabili come penali ai sensi della Convenzione, in quanto rispondenti ai criteri della sentenza Engel.

La Corte costituzionale si è, successivamente, dovuta confrontare con una censura di illegittimità costituzionale in ordine alla portata non retroattiva di una disposizione di natura penale con effetti favorevoli per il responsabile, formulata alla luce dell’art. 117, comma 1, Cost, con riferimento all’art. 7 CEDU, alla luce dell’interpretazione dello stesso offerta dalla Corte EDU. Deve, però, segnalarsi che, pur a fronte delle richiamate conclusioni tratte dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, il Giudice delle leggi, con sentenza n. 236/2011306, pur prendendo atto di tale interpretazione, ha comunque osservato, da un lato, che la Corte EDU non avrebbe formulato alcuna considerazione che possa far escludere la possibilità che, in presenza di particolari situazioni, il principio di retroattività

in mitius subisca deroghe o limitazioni, avendo comunque riconosciuto un limite

al vincolo derivante da tale principio per gli ordinamento nazionali nel caso in cui sia intervenuta una sentenza di condanna definitiva; inoltre, la decisione della Corte europea indurrebbe a ritenere che il principio di retroattività della norma più favorevole sia normalmente collegato all’assenza di ragioni giustificative di deroghe o limitazioni307.

306 Sulla questione si veda F. VIGANÒ, Retroattività della legge penale più favorevole, in

Il libro dell’anno del diritto 2012, diretto da R. GAROFOLI –T.TREU, Roma, 2012, 153 ss., nonché ID., Retroattività della legge penale più favorevole, in Il libro dell’anno del diritto 2014, diretto da R. GAROFOLI –T.TREU, Roma, 2014, 105 ss., in merito alle successive decisioni Corte cost. 12 ottobre 2012, n. 230 e 18 luglio 2013, n. 210.

307 Osserva Corte cost. n. 236/2011, cit., che «Si legge infatti nella sentenza che

«infliggere una pena più severa solo perché essa era prevista al momento della commissione del reato si tradurrebbe in una applicazione a svantaggio dell’imputato delle norme che regolano la successione delle leggi penali nel tempo» e che «ciò equivarrebbe inoltre a ignorare i cambiamenti legislativi favorevoli all’imputato intervenuti prima della sentenza e continuare a infliggere pene che lo Stato e la collettività che esso rappresenta considerano ormai eccessive». Ma, se la retroattività non può essere esclusa “solo” perché la pena più mite non era prevista al momento della commissione del reato, è legittimo concludere che la soluzione può essere diversa quando le ragioni per escluderla siano altre e consistenti. Insomma, secondo la Corte europea, la circostanza che un determinato fatto era previsto come reato dalla legge in vigore al momento della sua commissione ed era punito con un certa sanzione non può costituire, di per sé, valida ragione per giustificare l’applicazione di tale legge, ancorché successivamente abrogata o

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Conseguentemente, per la giurisprudenza della Corte costituzionale, a differenza di quello di irretroattività della legge penale sfavorevole, il principio di retroattività della legge favorevole non può considerarsi applicabile senza deroghe o limitazioni – pur dovendo ritenersi ora riconosciuto ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost e dell’art. 7 CEDU, alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, e non più del solo art. 3 Cost.308 – e se tali sono le conclusioni in materia penale, se ne deve derivare l’estensibilità anche all’intera materia delle misure amministrative con carattere afflittivo, alle prime equiparate ai sensi del diritto CEDU.

3.2. Gli altri corollari del principio di legalità in materia di sanzioni

Nel documento Le sanzioni amministrative non pecuniarie (pagine 154-160)

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