3. La sanzione amministrativa nella giurisprudenza sovranazionale: il concetto di sanzione per la Corte europea dei diritti dell’uomo.
3.1. Il valore delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano: cenni.
Questa analisi, invero, ha acquisito nel più recente dibattito, anche dottrinario, in materia, una portata essenziale, evidentemente in quanto
93 Sono le conclusioni tratte da C.E. PALIERO – ATRAVI, op. cit., 356, per il quali le
misure alternative «non hanno un carattere propriamente sanzionatorio: svolgono invece una finalità diversa, di riequilibrio patrimoniale, di perequazione, di ablazione di risultati conseguiti indebitamente, in una logica che richiama istituti più generali, come quello dell’arricchimento senza causa, che certo non indentificano ‘sanzioni’ in senso stretto». Condivide le medesime conclusioni P. CERBO, op. cit., 8, secondo il quale «queste misure svolgono un ruolo essenzialmente di riequilibrio patrimoniale e non hanno, se non marginalmente, la funzione di rimprovero per il responsabile dell’illecito; esse tendono al limite ad impedire un ingiustificato arricchimento conseguente alla mancata demolizione del manufatto abusivo».
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condizionata dal valore riconosciuto dalla Corte costituzionale alle norme convenzionali.
Come noto, a partire dalle pronunce nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha ridefinito la posizione delle disposizioni della Convenzione EDU nella gerarchia delle fonti, individuandone il rilievo quale norma interposta ex art. 117, comma 1, Cost., nei giudizi di conformità a Costituzione delle norme dell’ordinamento interno di rango primario94.
Ma ciò che ha più rilievo ai fini di un compiuto ragionamento sulle sanzioni è che la Corte costituzionale non si sia limitata a tale «riqualificazione» del valore delle disposizioni della CEDU nell’ambito del giudizio di costituzionalità, bensì abbia fatto assurgere un ruolo specifico all’interpretazione che di queste viene offerta dalla Corte EDU, permanendo, comunque, in capo alla Corte costituzionale l’obbligo di verificare se le norme CEDU, proprio nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, garantiscano una tutela
94 La Corte costituzionale ha mutato con tali decisioni il tradizionale orientamento, fino a
quel momento costantemente sostenuto, in relazione alle disposizioni della CEDU, secondo il quale queste, in assenza di una specifica previsione costituzionale, essendo rese esecutive nell’ordinamento interno con legge ordinaria, ne acquisissero il rango, non collocandosi, quindi, a livello costituzionale (cfr. ex multis Corte cost, ord. 23 dicembre 2005, n. 464, in Foro amm. – CdS, 2005, 12, 3542; sentt. 22 ottobre 1999, n. 380, in Foro it., 2000, I, 1071, con nota di PAGNI; 5 luglio 1990, n. 315, in Giur. cost., 1990, 2017; 22 dicembre 1990, n. 188, in Foro it., 1981, I, 318); né, d’altro canto, queste potevano qualificarsi quali norme di diritto internazionale di natura consuetudinaria, che assumono rango costituzionale in virtù del rinvio mobile previsto dall’art. 10 Cost. (cfr., ex multis, 8 giugno 2005, n. 224, in Dir. e giust., 2005, 30, 13, con nota di TERRACCIANO; 30 luglio 1997, n. 288, in Giust. pen., 1998, I, 102; 28 aprile 1994, n. 168, in Giur. it., 1995, I, 357, con nota di RUOTOLO). Analogamente, è stata ribadita la non applicabilità alla CEDU dell’art. 11 Cost., non trattandosi di ipotesi di limitazione della sovranità nazionale, non potendosi, invero, neppure considerare i diritti fondamentali quale «materia» in relazione alla quale sia effettivamente ipotizzabile una cessione di sovranità. Il revirement della giurisprudenza costituzionale ha, quindi, trovato fondamento nella reinterpretazione dell’art. 117, comma 1, Cost., nella formulazione introdotta dall’art. 2 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) che, pur non consentendo di attribuire rango costituzionale alle disposizioni contenute in accordi internazionali recepite tramite legge ordinaria – come la CEDU –, realizza, come espressamente affermato nella sentenza n. 349/2007, «un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata “norma interposta”; e che è soggetta a sua volta, come si dirà in seguito, ad una verifica di compatibilità con le norme della Costituzione». Ciò implica che «al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale ‘interposta’, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma».
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dei diritti fondamentali almeno equivalente al livello di tutela previsto dalla Costituzione italiana95.
Merita ricordare, d’altro canto, che – per lo meno ad oggi – il ruolo delle disposizioni della CEDU nell’ordinamento interno non può considerarsi equiparato a quello svolto dalle previsioni di rango euro-unitario96.
95 In questo senso, si legge nella sentenza n. 349/2007 che «in relazione alla CEDU,
inoltre, occorre tenere conto della sua peculiarità rispetto alla generalità degli accordi internazionali, peculiarità che consiste nel superamento del quadro di una semplice somma di diritti ed obblighi reciproci degli Stati contraenti. Questi ultimi hanno istituito un sistema di tutela uniforme dei diritti fondamentali. L’applicazione e l’interpretazione del sistema di norme è attribuito beninteso in prima battuta ai giudici degli Stati membri, cui compete il ruolo di giudici comuni della Convenzione. La definitiva uniformità di applicazione è invece garantita dall’interpretazione centralizzata della CEDU attribuita alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, cui spetta la parola ultima e la cui competenza «si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa nelle condizioni previste» dalla medesima (art. 32, comma 1, della CEDU). Gli stessi Stati membri, peraltro, hanno significativamente mantenuto la possibilità di esercitare il diritto di riserva relativamente a questa o quella disposizione in occasione della ratifica, così come il diritto di denuncia successiva, sì che, in difetto dell’una e dell’altra, risulta palese la totale e consapevole accettazione del sistema e delle sue implicazioni. In considerazione di questi caratteri della Convenzione, la rilevanza di quest’ultima, così come interpretata dal “suo” giudice, rispetto al diritto interno è certamente diversa rispetto a quella della generalità degli accordi internazionali, la cui interpretazione rimane in capo alle Parti contraenti, salvo, in caso di controversia, la composizione del contrasto mediante negoziato o arbitrato o comunque un meccanismo di conciliazione di tipo negoziale. Questa Corte e la Corte di Strasburgo hanno in definitiva ruoli diversi, sia pure tesi al medesimo obiettivo di tutelare al meglio possibile i diritti fondamentali dell’uomo. L’interpretazione della Convenzione di Roma e dei Protocolli spetta alla Corte di Strasburgo, ciò che solo garantisce l’applicazione del livello uniforme di tutela all’interno dell’insieme dei Paesi membri. A questa Corte, qualora sia sollevata una questione di legittimità costituzionale di una norma nazionale rispetto all’art. 117, primo comma, Cost. per contrasto – insanabile in via interpretativa – con una o più norme della CEDU, spetta invece accertare il contrasto e, in caso affermativo, verificare se le stesse norme CEDU, nell’interpretazione data dalla Corte di Strasburgo, garantiscono una tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente al livello garantito dalla Costituzione italiana. Non si tratta, invero, di sindacare l’interpretazione della norma CEDU operata dalla Corte di Strasburgo, come infondatamente preteso dalla difesa erariale nel caso di specie, ma di verificare la compatibilità della norma CEDU, nell’interpretazione del giudice cui tale compito è stato espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme della Costituzione. In tal modo, risulta realizzato un corretto bilanciamento tra l’esigenza di garantire il rispetto degli obblighi internazionali voluto dalla Costituzione e quella di evitare che ciò possa comportare per altro verso un vulnus alla Costituzione stessa».
96 A seguito dell’entrata in vigore (il 1° dicembre 2009) del Trattato di Lisbona del 13
dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008, n. 130, che ha modificato il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, è stato ritenuto che le intervenute modifiche all’art. 6 del Trattato sull’Unione europea avrebbero modificato la collocazione delle disposizioni della CEDU nel sistema delle fonti, rendendo non più attuale la ricostruzione delle stesse quali norme interposte, correlate all’art. 117, comma 1, Cost., bensì rendendole parte integrante del diritto dell’Unione europea, con la conseguente possibilità per i giudici comuni di disapplicare le norme interne ritenute incompatibili con le norme della Convenzione, senza necessità di attivare il sindacato di costituzionalità. Ai sensi dei paragrafi 2 e 3 dell’art. 6 «2. l’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la
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Si comprende, comunque, alla luce della innovativa prospettazione offerta dalla Corte costituzionale97, la rilevanza assunta nel dibattito in materia di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali». La Corte costituzionale, con sentenza 11 marzo 2011, n. 80, in Giur. cost., 2011, 2, 1224 ha, invece, disatteso tale ricostruzione, riaffermando il valore di norme interposte delle disposizioni della CEDU a fronte, da un lato, dall’ancora non intervenuta adesione dell’Unione europea alla Convenzione, con conseguente improduttività di effetti dell’art. 6, par. 2, TUE; dall’altro, sottolineando che il «richiamo alla CEDU contenuto nel paragrafo 3 del medesimo art. 6 – secondo cui i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione «e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali»» costituirebbe «disposizione che riprende, come già accennato, lo schema del previgente paragrafo 2 dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea: evocando, con ciò, una forma di protezione preesistente al Trattato di Lisbona» e, pertanto, in nulla innovativa rispetto alla già analizzata costruzione del sistema delle fonti. La linea interpretativa sostenuta dalla Corte costituzionale è stata avallata dalla giurisprudenza successiva: si veda, in tal senso, Corte cost., 18 luglio 2013, n. 210, in Giur. cost., 2013, 4, 2915, con nota di PAONESSA,MARANDOLA,PUGIOTTO; Cass., Sez. VI, 4 dicembre 2013, n. 27102, in Giust. civ. Mass., 2013; Id., Sez. lav., 19 febbraio 2013, n. 4049, ivi, 2013. Alcune decisioni, invero antecedenti al richiamato intervento della Corte costituzionale, hanno sostenuto l’opposta tesi della disapplicabilità della disposizione interna contraria alla CEDU a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche all’art. 6 TUE apportate dal Trattato di Lisbona: in questo senso, TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 1° febbraio 2011, n. 175, in Riv. giur. edil,, 2011, 2-3, I, 645; Corte conti, Sez. giurisd. reg. Friuli Venezia Giulia, 31 maggio 2010, n. 35, in Riv. Corte conti, 2010, 3, 119; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 18 maggio 2010, n. 11984, in Riv. giur. edil., 2010, 4, I, 1259; Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1220, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2010, 5, 1346, con nota di MIRATE. D’altra parte anche la Corte di giustizia UE, nella decisione 24 aprile 2012, C-571/10, Kamberaj, in Riv. dir. intern., 2012, 3, 890, – interrogata, per l’appunto, sulla questione se, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e la CEDU, il richiamo a quest’ultima effettuato dall’articolo 6 TUE imponga al giudice nazionale di dare diretta attuazione alle disposizioni di tale convenzione, disapplicando la norma di diritto nazionale in conflitto, senza dovere previamente sollevare una questione di costituzionalità dinanzi alla Corte costituzionale – ha sottolineato che l’articolo 6, paragrafo 3, TUE «consacra la giurisprudenza costante della Corte secondo la quale i diritti fondamentali sono parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l'osservanza» rimarcando, tuttavia che la stessa disposizione «non disciplina il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale», concludendo, pertanto, che «il rinvio operato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa».
97 Sul valore delle disposizioni della CEDU nell’ordinamento giuridico italiano, si
vedano, altresì, ex multis, le successive decisioni 27 febbraio 2008, n. 39, in Foro it., 2008, 4, I, 1037; 26 novembre 2009, n. 311, in Giur. cost., 2009, 6, 4657, con nota di MASSA; 4 dicembre 2009, n. 317, in Riv. dir. intern., 2010, 1, 180; 12 marzo 2010, n. 93, in Giur. cost., 2010, 2, 1053, con nota di GATTO,FURFARO,LICATA; 4 giugno 2010, n. 196, in Foro it., 2010, 9, I, 2306; 5 gennaio 2011, n. 1, in Foro amm. – CdS, 2011, 1, 1, con nota di CARNEVALE; 11 marzo 2011, n. 80, in Giur. cost., 2011, 2, 1224; 7 aprile 2011, n. 113, ivi, 2011, 2, 1523, con nota di UMBERTIS, REPETTO, LONATI; 11 novembre 2011, n. 303, ivi, 2012, 1, 553 con nota di ROMEI, ove, in particolare, si chiarisce che, alla stregua dei princìpi definiti dalle sentenze 348 e 349 del 2007 «qualora il contrasto tra la disciplina censurata e le norme della CEDU non possa essere risolto in via interpretativa, questa Corte deve accertare se le disposizioni interne in questione siano compatibili con quelle della CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo ed assunte quali fonti integratrici dell’indicato parametro costituzionale e, nel contempo, verificare se le norme convenzionali interposte, sempre nell’interpretazione fornita dalla medesima Corte europea, non
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sanzioni amministrative dalla ricostruzione operata dalla Corte di Strasburgo in ordine al concetto di «sanzione» e di «accusa penale», date le conseguenze che tale definizione determina in termini di ricostruzione del regime giuridico applicabile a tale figura.
3.2. La nozione autonoma di «accusa penale» nella giurisprudenza