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La nozione autonoma di «accusa penale» nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: ripercussioni sul diritto nazionale

Nel documento Le sanzioni amministrative non pecuniarie (pagine 58-67)

3. La sanzione amministrativa nella giurisprudenza sovranazionale: il concetto di sanzione per la Corte europea dei diritti dell’uomo.

3.2. La nozione autonoma di «accusa penale» nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: ripercussioni sul diritto nazionale

in relazione alla categoria delle sanzioni amministrative.

La giurisprudenza della Corte EDU98 ha spesso ritenuto di poter qualificare le disposizioni della Convenzione come «living instrument»; ciò ha giustificato le operazioni interpretative in senso estensivo frequentemente rinvenibili nelle decisioni della Corte di Strasburgo, a mezzo delle quali quest’ultima si è potuta esprimere anche su rapporti giuridici apparentemente estranei alla portata applicativa della Convenzione stessa99.

si pongano in conflitto con altre norme conferenti dell’ordinamento costituzionale italiano», per poi ulteriormente sottolineare che, se la Corte costituzionale non può prescindere dall’interpretazione delle disposizioni della CEDU offerta dalla Corte di Strasburgo «essa può, nondimeno, interpretarla a sua volta, beninteso nel rispetto sostanziale della giurisprudenza europea formatasi al riguardo, ma «con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi (sentenza n. 311 del 2009)» (sentenza n. 236 del 2011)«, con il potere, pertanto di ««verificare se la norma della CEDU, nell’interpretazione data dalla Corte europea, non si ponga in conflitto con altre norme conferenti della nostra Costituzione» (sentenza n. 311 del 2009), «ipotesi nella quale dovrà essere esclusa la idoneità della norma convenzionale a integrare il parametro considerato» (sentenza n. 113 del 2011)», ovvero di «valutare come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano»; ciò in quanto «la norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost., da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza». Ha segnalato, invero, nel suo commento alla decisione Corte cost. 4 giugno 2010, n. 196, A. TRAVI, Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte costituzionale: alla ricerca di una nozione comune di “sanzione”, in Giur. cost., 2010, 2323 ss. che «la gravità delle conseguenze, nel caso di un possibile contrasto di una disposizione nazionale con la Convenzione europea, non è accompagnata da proporzionali garanzie, in termini di certezza della interpretazione della Convenzione» in quanto nel caso di leggi violative della CEDU la Corte costituzionale sembrerebbe escludere la possibilità di procede ad una interpretazione puntuale delle disposizioni della Convenzione che si pongono come parametro del giudizio di incostituzionalità della norma interna.

98 SI rappresenta preliminarmente che i testi delle decisioni della Corte europea dei diritti

dell’uomo sono tratti dalla versioni ufficiali riportate nel sito hudoc.echr.coe.int.

99 In questo senso, si veda la decisione Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, 12 luglio

2001, Ferrazzini c. Italia (ric. n. 44759/98), in Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, 2007, 03, 444, ove, con riferimento all’applicabilità dell’art. 6 della CEDU ai procedimenti tributari, si afferma che «La Convenzione è tuttavia uno strumento vivo che deve essere interpretato alla luce delle condizioni di vita attuali […], e la Corte è chiamata a verificare, tenuto conto dei mutamenti intervenuti nella società relativamente alla protezione giuridica accordata agli individui nei loro

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Ė quanto accaduto con riferimento ai rapporti di diritto amministrativo100 ed, in particolare, – per quanto di interesse – all’applicabilità a tali rapporti dei principi e della garanzie previsti dagli artt. 6 (Diritto a un equo processo) e 7 (Nulla pœna sine lege) della Convenzione101, coinvolgenti essenzialmente questioni inerenti il diritto civile ed il diritto penale.

La mancata previsione espressa, in tali disposizioni della Convenzione, di riferimenti ai rapporti di diritto amministrativo si ritiene non sia stata mero frutto del caso, bensì esito della convinta scelta degli Stati aderenti di evitare

rapporti con lo Stato, se l’ambito di operatività dell’art. 6, par. 1 debba o meno essere esteso alle controversie tra cittadini e potere pubblico concernenti la legittimità, in diritto interno, delle decisioni dell’amministrazione fiscale»; d’altro canto, nella più recente giurisprudenza la Corte ha avuto cura di specificare i limiti entro i quali può ritenersi consentita l’adattabilità al contesto attuale delle disposizioni della Convenzione, senza che ciò ecceda nella creazione di nuovo diritto accanto a quanto già riconosciuto dalla CEDU: così in Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, 15 marzo 2012, Austin e altri c. Regno Unito (cause 39692/09 40713/09 41008/09), §§ 53-54 viene chiarito che «the Convention is a living instrument which must be interpreted in the light of present-day conditions and of the ideas prevailing in democratic States today […]. This does not, however, mean that to respond to present-day needs, conditions, views or standards the Court can create a new right apart from those recognised by the Convention […] or that it can whittle down an existing right or create a new “exception” or “justification” which is not expressly recognised in the Convention […] Secondly, the Convention must be read as a whole, and interpreted in such a way as to promote internal consistency and harmony between its various provisions»; sul punto, assume rilievo, altresì, quanto affermato in Corte eur. dir. uomo, Corte Plenaria, 22 febbraio 1989, Ciulla c. Italia (ric. n. 11152/84), § 41.

100 In relazione alla rilevanza per il diritto amministrativo, sostanziale e processuale, delle

disposizioni della Convenzione EDU, sì come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, si veda G. GRECO, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto amministrativo in Italia, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2000, 25 ss.; F. MANGANARO, Il potere amministrativo nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Dir. proc. amm., 2010, 428 ss.; F. GOISIS, Un’analisi critica delle tutele procedimentali e giurisdizionali avverso la potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, alla luce dei principi dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso delle sanzioni per pratiche commerciali scorrette, in Dir. proc. amm., 2013, 3, 674

101 Così, ad esempio, in Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, 12 luglio 2001, Ferrazzini

c. Italia (ric. n. 44759/98), cit., la stessa Corte ha sottolineato che «certamente, i rapporti tra individuo e Stato si sono evoluti in numerosi ambiti durante i cinquant’anni intercorsi dall’adozione della Convenzione, considerato il crescente intervento di norme statali nei rapporti di diritto privato. Ciò ha condotto la Corte a ritenere che procedimenti soggetti al «diritto pubblico» in diritto interno rientrassero nell’ambito di operatività dell’art. 6 sotto il suo profilo «civile» quando l’esito era determinante per diritti e obblighi di natura privata: in particolare, per citare qualche esempio, in materia di vendita di terreni, di gestione di una clinica privata, di diritto di proprietà, di concessione di autorizzazioni amministrative relative alle condizioni di esercizio di attività professionali o di licenze per la mescita di alcolici […]. Peraltro, il crescente intervento dello Stato nella vita quotidiana degli individui, ad esempio in materia di protezione sociale, ha condotto la Corte a dover valutare gli aspetti di diritto pubblico e di diritto privato prima di giungere alla conclusione che il diritto evocato potesse essere qualificato di «natura civile»».

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condizionamenti all’esercizio del potere amministrativo102 derivanti dall’adesione al sistema convenzionale europeo di tutela dei diritti umani.

Ciononostante, il percorso seguito dalla giurisprudenza della Corte EDU è stato volto ad una lettura estensiva delle garanzie sancite dai richiamati articoli della Convenzione, a mezzo della presupposta autonomizzazione dei concetti giuridici rilevanti ai fini dell’applicazione delle disposizioni convenzionali, rispetto a quanto previsto dai singoli ordinamenti degli Stati aderenti alla Convenzione103.

Se combinata con la descritta rilevanza che assumono nell’ordinamento italiano le disposizioni della CEDU – proprio per come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo – ben si comprende la ragione per la quale un’analisi del concetto di sanzione amministrativa debba inevitabilmente confrontarsi con quanto affermato da questa stessa giurisprudenza in ordine al concetto di accusa penale e di pena, ai sensi degli artt. 6 e 7 CEDU.

Invero, è stato con la decisione 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi

Bassi104 che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha definito i presupposti in base ai quali, per l’ordinamento convenzionale, si debba ritenere sussistente una «accusa penale» – con conseguente applicazione del regime giuridico definito, in

102 Sul punto, si veda M. ALLENA, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo

amministrativo, Napoli, Editoriale scientifica, 2012. Tali considerazioni appaiono in F. NEWMAN, Natural justice, Due process and the new interpretational convenants on Human Rights: Prospectus, in Public Law, 1967, 276 ss.; in senso difforme, si veda P. VAN DUK -F. VAN HOOF - A. VAN RIJN -L.ZWAAK, Theory and Practice of the European Convention on Human Rights, Antwerpen, 2006, 514 ss. Le predette osservazioni vengono, peraltro, richiamate anche in F. GOISIS, Un’analisi critica delle tutele procedimentali e giurisdizionali avverso la potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, alla luce dei principi dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso delle sanzioni per pratiche commerciali scorrette, cit., 674.

103 Significativo, a tiolo esemplificativo, è quanto affermato nella decisione Corte eur. dir.

uomo, 8 giugno 1995, Jamil c. Francia (ric. 15917/89): «The Court reiterates that the word “penalty” in Article 7 para. 1 (art. 7-1) is autonomous in meaning. To render the protection afforded by Article 7 para. 1 (art. 7-1) effective, the Court must remain free to go behind appearances and assess for itself whether a particular measure amounts in substance to a “penalty” within the meaning of this provision (art. 7-1)». La Corte si è espressa in modo analogo, altresì, nella decisione 9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito (ric. 17440/90) ed, ancor prima, nella sentenza 21 febbraio 1984, Öztürk v. Germania (ric. 8544/79), ove ci si riferisce a «the “autonomy” of the notion of “criminal” as conceived of under Article 6». In questo senso, si veda anche Corte eur. dir. uomo, 24 gennaio 2012, Mihai Toma c. Romania (ric. 1051/06).

104 Corte eur. dir. uomo, Engel e altri c. Paesi Bassi (cause nn. 5100/71; 5101/71;

5102/71; 5354/72; 5370/72), in tema di sanzioni per infrazione alla disciplina militare, ove veniva contestato che i procedimenti dinanzi alle autorità militari subiti dai ricorrenti non si fossero svolti in modo conforme ai requisiti di cui all’art. 6 CEDU.

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particolare, dall’art. 6 della CEDU – quale che sia la definizione che la misura medesima riceve nell’ordinamento nazionale.

Occupandosi, nella fattispecie, di sanzioni detentive derivanti da illeciti disciplinari in ambito militare, la Corte ha preliminarmente constatato – con riferimento a tale specifica fattispecie – che tutti gli Stati aderenti alla Convenzione tradizionalmente distinguono tra procedimenti disciplinari e procedimenti penali; tale considerazione preliminare è stata, quindi, fonte del conseguente interrogativo circa la vincolatività della circostanza che gli organi competenti di uno Stato contraente non qualifichino come penalmente rilevante una determinata condotta ed il procedimento che ne consegue, ovvero se l’art. 6 CEDU debba considerarsi potenzialmente applicabile anche a tali fattispecie, non costituendo la qualificazione interna impegnativa ai fini convenzionali105.

Proprio in tale contesto viene, pertanto, in rilievo, la necessità percepita dalla Corte di offrire una autonoma qualificazione al concetto di «accusa penale».

Nel pensiero della Corte, mentre gli Stati non soggiacciono ad alcun vincolo nel qualificare una data condotta, attiva od omissiva, come reato – come risulterebbe evidente dall’art. 7 CEDU e che determinerebbe, pertanto, l’applicabilità di tale disposizione e dell’art. 6 alla fattispecie, senza che ciò possa essere sottoposto al controllo della Corte – vigono necessariamente differenti regole nel caso in cui lo Stato consideri una certa condotta come illecito disciplinare, anziché penale. In questo caso, infatti, il rischio è di condizionare alla volontà dello Stato contraente l’operabilità delle garanzie previste dalle richiamate disposizioni della Convenzione EDU, con sostanziale facoltà di eluderne la portata applicativa106.

105 Circostanza che, rileva la Corte, si verifica, in particolare «when an act or omission is

treated by the domestic law of the respondent State as a mixed offence, that is both criminal and disciplinary, and where there thus exists a possibility of opting between, or even cumulating, criminal proceedings and disciplinary proceedings» (Corte eur. dir. uomo, Engel e altri c. Paesi Bassi, cit., § 80).

106 Si afferma, così, che «if the Contracting States were able at their discretion to classify

an offence as disciplinary instead of criminal, or to prosecute the author of a “mixed” offence on the disciplinary rather than on the criminal plane, the operation of the fundamental clauses of Articles 6 and 7 (art. 6, art. 7) would be subordinated to their sovereign will. A latitude extending thus far might lead to results incompatible with the purpose and object of the Convention» (Corte eur. dir. uomo, Engel e altri c. Paesi Bassi, cit., § 81). Nello stesso senso, si veda anche Corte eur. dir. uomo, 10 febbraio 2009, Sergueï Zolotoukhine c. Russia (ric. n. 1439/03), § 52.

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Sulla base di tali presupposti, quindi, la Corte ha definito i parametri – noti come «Engel criteria» – sulla scorta dei quali sottoporre a verifica la singola fattispecie illecita, per stabilirne la natura di accusa penale ai fini CEDU.

In tale contesto, la qualificazione operata dallo Stato contraente assume sì rilievo, ma come mero dato di partenza, con connotazione formale da esaminarsi contestualmente all’insieme della disciplina prevista per la fattispecie dall’ordinamento nazionale. Assume, invero, rilievo la natura stessa dell’illecito ed anche tale controllo sarebbe insufficiente se la Corte non valutasse, altresì, il grado di severità della sanzione che l’interessato rischia di vedersi irrogata. In questo senso, sono state ritenute appartenenti alla sfera penale le privazioni della libertà personale imposte a fini punitivi, salvo che per durata, natura o modalità di esecuzione non avessero cagionato un danno apprezzabile al destinatario107.

Premessa, quindi, la vincolatività della qualificazione in senso penalistico operata dallo Stato contraente, possono enuclearsi due ulteriori condizioni di natura sostanziale che portano a concludere per la natura penale dell’accusa e della sanzione. Da un lato, assume rilievo la natura delle conseguenze previste, intese come misure punitive e non riparatorio-risarcitorie, con finalità, pertanto, retributive e deterrenti. Dall’altro, di particolare rilievo è la severità del trattamento sanzionatorio connesso alla violazione, ovvero la significatività delle conseguenze derivanti dall’illecito commesso108. Si tratta di criteri tra loro

107 Si afferma, invero, che «in this connection, it is first necessary to know whether the

provision(s) defining the offence charged belong, according to the legal system of the respondent State, to criminal law, disciplinary law or both concurrently. This however provides no more than a starting point. The indications so afforded have only a formal and relative value and must be examined in the light of the common denominator of the respective legislation of the various Contracting States. The very nature of the offence is a factor of greater import. When a serviceman finds himself accused of an act or omission allegedly contravening a legal rule governing the operation of the armed forces, the State may in principle employ against him disciplinary law rather than criminal law. In this respect, the Court expresses its agreement with the Government. However, supervision by the Court does not stop there. Such supervision would generally prove to be illusory if it did not also take into consideration the degree of severity of the penalty that the person concerned risks incurring. In a society subscribing to the rule of law, there belong to the “criminal” sphere deprivations of liberty liable to be imposed as a punishment, except those which by their nature, duration or manner of execution cannot be appreciably detrimental» (Corte eur. dir. uomo, Corte plenaria, Engel e altri c. Paesi Bassi, cit., § 82; nel medesimo senso, Prima Sezione, 4 dicembre 2014, Navalnyy e Yashin c. Russia (ric. n. 76204/11) § 77).

108 La Corte ha, peraltro, specificato, la rilevanza della gravità della sanzione sì come

astrattamente prevista e non della misura in cui si stata concretamente inflitta: in questo senso, Corte eur. dir. uomo, Seconda Sezione, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, (ric. n. 18640/10); Quinta Sezione, 11 giugno 2009, Dubus S.A. c. Francia (ric. 5242/04) § 37, ove si afferma che «en

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alternativi e non cumulativi, essendo sufficiente, affinché venga riconosciuta la natura penale dell’illecito, che esso abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura o per livello di gravità, rientri in linea generale nella materia penale. Ciò non esclude, d’altro canto, che possa adottarsi una modalità interpretativa che cumuli i vari criteri, qualora l’analisi svolta separatamente in ordine alla sussistenza di ognuno di essi non consenta di giungere ad una soluzione certa in ordine alla natura penale o meno della fattispecie109.

Tale opera di riqualificazione svolta nel descritto leading case è stata, invero, più volte ripetuta dalla Corte di Strasburgo, come ineludibile presupposto per una corretta verifica del rispetto, da parte degli Stati aderenti, degli artt. 6 e 7 CEDU. I criteri elaborati nella sentenza Engel sono rimasti sostanzialmente costanti nella successiva giurisprudenza della Corte EDU110; ciò non esclude, d’altro canto, la possibilità di riscontrare una progressiva evoluzione nell’elaborazione della Corte, che si ritiene si sia svolta in due direzioni: è possibile, invero, evincere una graduale estensione delle tipologie sanzionatorie coinvolte dalla giurisprudenza dei Giudici di Strasburgo accanto ad un’operazione di progressivo affinamento della nozione di accusa in materia penale e, effet, la Cour rappelle que la coloration pénale d’une instance est subordonnée au degré de gravité de la sanction dont est a priori passible la personne concernée (Engel et autres précité, § 82) et non à la gravité de la sanction finalement infligée».

109 Tale linea d’interpretazione, che affianca al più tradizionale approccio di alternatività

anche un criterio di verifica che valuti cumulativamente l’atteggiarsi di tutti gli Engel criteria, si trova chiaramente espresso in Corte eur. dir. uomo, Seconda Sezione, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, cit. – decisione resa in relazione all’illecito amministrativo di manipolazione del mercato previsto dall’art. 187 ter d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 – ove si specifica che «questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi: affinché si possa parlare di «accusa in materia penale» ai sensi dell’articolo 6 § 1, è sufficiente che il reato in causa sia di natura «penale» rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientri in linea generale nell’ambito della «materia penale». Ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una «accusa in materia penale»». Nello stesso senso, si vedano anche le decisioni Corte eur. dir uomo, Grande Camera, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia, (ric. n. 73053/01) § 31; Id., 9 ottobre 2003, Ezeh e Connors c. Gran Bretagna (cause nn. 39665/98 e 40086/98) § 120; Id., Sezione Seconda, 27 settembre 2011, Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia (ric. n. 43509/08) § 38; Id., Quarta Sezione, 20 maggio 2014, Nykänen c. Finlandia (ric. n. 11828/11) § 39.

110 Si legge, analogamente. nella decisione Corte Plenaria, 21 febbraio 1984, Öztürk v.

Germania (ric. 8544/79) § 50: «The first matter to be ascertained is whether or not the text defining the offence in issue belongs, according to the legal system of the respondent State, to criminal law; next, the nature of the offence and, finally, the nature and degree of severity of the penalty that the person concerned risked incurring must be examined, having regard to the object and purpose of Article 6 (art. 6), to the ordinary meaning of the terms of that Article (art. 6) and to the laws of the Contracting States».

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conseguentemente, di qualificazione in senso penalistico della sanzione conseguente.

In particolare, se nella decisione Engel la Corte si è confrontata con un’ipotesi di sanzione qualificata come disciplinare nell’ordinamento nazionale, ma pur sempre detentiva nell’essenza – con la conseguenza che il confine con una sanzione di natura penale appare all’evidenza maggiormente labile111, data la tipologia di misura irrogata – sulla base dei parametri elaborati in questa fattispecie la Corte, nelle successive decisioni in argomento, ha potuto qualificare in termini penalistici anche sanzioni non consistenti in forme di privazione della libertà personale, ma in misure di natura meramente patrimoniale, quali sanzioni doganali e tributarie112, nonché sanzioni amministrative di carattere pecuniario.

Del resto, come osservato113, neppure argomentazioni connesse ad esigenze di efficienza nell’esercizio della funzione amministrativa ovvero ad

111 In questo senso, si vedano le osservazioni formulate da M. ALLENA, Art. 6 CEDU.

Procedimento e processo amministrativo, cit., secondo la quale il carattere detentivo delle sanzioni disciplinari di cui alla sentenza Engel le renderebbero «francamente indistinguibili, nella sostanza, dal modello più puro e tipico di sanzione penale, quale conosciuto nell’ordinamento degli Stati

Nel documento Le sanzioni amministrative non pecuniarie (pagine 58-67)

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