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5. La rinegoziazione del contratto squilibrato
Alla luce di quanto sopra esposto, è necessario dunque avviarsi verso la conclusione del presente lavoro affrontando il tema dal quale siamo partiti, ovvero individuare le modalità di gestione delle sopravvenienze, come la pan- demia alla quale stiamo assistendo, e la base legale su cui fondare l’obbligo di rinegoziazione (Marasco, 2005).
I contratti sembrano dover essere rigidamente rispettati nella loro formu- lazione originaria nella sola misura in cui rimangano inalterati i presupposti e le condizioni di cui le parti hanno tenuto conto al momento della stipula. Viceversa, ogniqualvolta una sopravvenienza rovesci il terreno fattuale e l’assetto giuridico- economico su cui è stata posta la pattuizione negoziale, la parte danneggiata deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni. Qualora a lungo termine, gli accordi negoziali valgono «rebus sic stantibus».
È significativo che l’art. 1374 c.c. tratteggi l’intervento diretto sul con- tratto squilibrato da parte del giudice, nel rispetto del principio di eterointe- grazione correttiva del contratto secondo equità. Anche attraverso la norma ri-
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chiamata si è sotto intesa nei contratti a lunga durata una clausola di rinegozia- zione, «in virtù della quale il dato obsoleto o non più funzionale possa essere
sostituito dal dato aggiornato ed opportuno» (Sacco, 2004). Dunque, sarebbe l’equità ad obbligare i contraenti a riscrivere il contratto rinegoziandolo.
Si è anche evidenziato che il dovere di correttezza contrattuale non è so- lamente una clausola generale destinata a regolare le trattative, la conclusione, l’interpretazione e l’esecuzione del rapporto, ma è anche una fonte di integra- zione del contratto, in quanto richiamata sub specie di legge (Alpa, 2001).
Inoltre, l’art. 1467 c.c., nel dare risalto normativo agli eventi straordinari e imprevedibili che sconvolgono l’economia del contratto e nell’assegnare rile- vanza all’assetto economico fra le prestazioni, configura un principio generale di preservazione dell’equilibrio del contratto, principio che comporta un dop- pio, possibile sviluppo: quello radicale dello scioglimento del negozio; quello speculare della sua riconduzione ad equità mediante la rinegoziazione.
L’art. 1467 c.c. contiene una norma dispositiva, come tale derogabile, non solo dalle parti, ma a monte dalle norme imperative tra le quali si inserisce il precet- to che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). La buona fede rappresenta, dunque, un importante metro di approccio al- le problematiche correlate all’esecuzione del contratto, collocandosi fra i prin- cipi portanti del nostro ordinamento sociale e rilevando un fondamento etico che trova rispondenza nell’idea di una morale sociale attiva e solidale.
Gli artt. 1175 e 1375 c.c. sono espressione del principio solidaristico che innerva il nostro sistema. Anche la giurisprudenza si è occupata del problema relativo alla sussistenza o meno di un obbligo di modificare il contratto, senza però giungere ad un’impostazione sistematica cristallizzata (sulla rinegoziazio- ne dei mutui bancari; Trib. Roma, ord., 14 giugno 2011).
In passato anche la Cassazione ha ravvisato nella buona fede la regola di governo della discrezionalità nell’esecuzione del contratto: essa garantisce che detta fase si realizzi in armonia con quanto emerge dalla ricostruzione dell’operazione economica che le parti avevano inteso porre in essere, filtrata mediante uno standard di normalità sociale e, dunque, di ragionevolezza (Cass. 11 febbraio 2005, n. 2855).
In linea più generale, nel panorama interpretativo nomofilattico, il dovere di correttezza viene considerato alla stregua di limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva (attiva o passiva) contrattualmente attribuita, concorren- do alla relativa conformazione in senso ampliativo o restrittivo rispetto alla fisionomia apparente, in modo tale che il rispetto della legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale e non risulti, quindi, disatteso quel dovere inderogabile di solidarietà costituzionalizzato (art. 2 Cost.) che, applicato ai contratti, ne determina integrativamente il contenuto o gli effetti
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(art. 1374 c.c.) e deve orientarne l’interpretazione (art. 1366 c.c.) e l’esecuzio- ne (art. 1375 c.c.), nel rispetto del principio secondo cui ogni contraente deve salvaguardare l’interesse dell’altro, se ciò non comporta un apprezzabile sacri- ficio del proprio interesse.
Proprio la portata sistematica della buona fede oggettiva nella fase ese- cutiva del contratto ex art. 1375 c.c. assume assoluta centralità, postulando la rinegoziazione come cammino necessitato di adattamento del contratto alle circostanze ed esigenze sopravvenute (Roppo, 2011).
Seguendo questo orientamento, nel contesto dilaniato dalla pandemia, la correttezza è suscettibile di assolvere la funzione di salvaguardare il rapporto economico sottostante al contratto nel rispetto della pianificazione convenzio- nale (Scognamiglio, 2020).
Il contemperamento tra istanze creditorie e debitorie relative alle pre- stazioni temporaneamente impossibili o eccessivamente onerose va intrapreso mediante il ricorso alla rinegoziazione (Gambino, 2004). Necessità, questa, particolarmente avvertita con riferimento alle prestazioni interdette dalle mi- sure di contenimento già citate, ma che si pone anche nell’ambito di scambi caratterizzati da stagnazioni e rallentamenti gestionali o da aumenti smisura- ti di costi di produzione o approvvigionamento di materie e servizi; dunque la diffusione del Coronavirus potrebbe davvero rappresentare finalmente una buona occasione per rivalutare l’intero sistema giuridico dei rapporti negoziali, e questo sia nell’ottica di tutela del consumatore, sia nell’ottica di tutela e ga- ranzia del mercato e dell’economia in generale.
In considerazione di ciò, la risposta all’esigenza manutentiva del con- tratto e di rinegoziazione necessaria del suo contenuto va ritrovata nell’attuale diritto dei contratti riletto al lume del principio di solidarietà e rivitalizzato in un’ottica costituzionalmente orientata attraverso la clausola di buona fede, che di quel principio è innanzitutto il portato codicistico. In questa prospettiva, la clausola generale di buona fede diventa garanzia di un comportamento corretto nella fase di attuazione delle previsioni contrattuali (Roppo, 2007).
In virtù della valutazione economico-giuridica del criterio della bona fi-
des e degli obblighi di cooperazione tra le parti nella fase esecutiva del con- tratto, l’adeguamento del contenuto di quest’ultimo connesso all’obbligo di rinegoziare non contraddice l’autonomia privata, poiché adempie alla funzione di portare a compimento il risultato negoziale prefigurato ab initio dalle parti, allineando così il regolamento pattizio a circostanze che sono mutate.
Pertanto, gli obblighi di cooperazione economica consentono di appia- nare «l’apparente antinomia fra l’obbligo di rinegoziare e la libertà di auto-
determinazione, poiché la rinegoziazione tende, non a comprimere, bensì a realizzare la volontà delle parti» (Macario, 1996).
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In definitiva, si tratta di accantonare le categorie giuridiche cui, in rela- zione all’autonomia contrattuale, normalmente si ricorre nell’esaminare i con- tratti di scambio, e, alla luce della clausola generale della buona fede, assumere un approccio che non trascuri ma valorizzi l’analisi economica del diritto dei contratti, sostituendo in tal modo, alla logica egoistica del negozio statico e blindati, quella dinamica della leale collaborazione volta a superare le soprav- venienze di fatto e di diritto che hanno inciso sull’equilibrio del contratto.
In questo quadro, il contenuto della buona fede assume un carattere non bloccato, ma mobile, risolvendosi nel concorso delle parti in direzione del rag- giungimento delle finalità comuni.
È la buona fede, sotto i diversi profili in cui viene in rilievo, ad imporre ai contraenti di rendersi disponibili alla modifica del contratto, quando la parte interessata a mantenere in vita il rapporto contrattuale in senso aderente alla realtà concreta del mercato inviti l’altra a rinegoziare allo scopo di riequilibrar- lo. E rinegoziare significa impegnarsi a porre in essere tutti quegli atti che, in base alle circostanze, possono concretamente consentire alle parti di accordarsi sulle condizioni dell’adeguamento del contratto, in considerazione delle modi- ficazioni intervenute.
Va infine aggiunto che anche le deroghe introdotte dal decreto liquidità alle discipline del capitale sociale e del bilancio sembrano confermare la natura obbligatoria dell’obbligo di rinegoziazione dei contratti. Nel momento, infatti, in cui, con l’intento di aiutarla a superare la crisi, si consente all’impresa so- cietaria di proseguire la sua attività senza curarsi dei negativi risultati attuali (o dell’immediato futuro), si deve, simmetricamente, ritenere che anche i singoli atti dell’impresa vadano, almeno in parte, sottratti alle regole della responsabi- lità patrimoniale.
6.
ConclusioniGiungendo alle conclusioni, appare evidente che la diffusione del Coro- navirus può sicuramente rappresentare un’ottima opportunità da cogliere per ripensare e rivalutare sotto una nuova luce molte delle principali categorie or- dinanti del diritto privato.
La prima categoria ordinante del diritto contrattuale che andrebbe sotto- posta a revisione è quella espressa nella formula pacta sunt servanda: proprio il dibattito sull’obbligo di rinegoziazione, che si è svolto negli ultimi due decenni e che ha ripreso piede in questo periodo di emergenza sociale ed economica, è indice della necessità, se non del superamento del principio, almeno di un suo contemperamento con altri non meno rilevanti, come quello rebus sic stantibus.
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Il ripensamento generale che l’allentarsi del principio pacta sunt ser-
vanda sottende collima con le esigenze delle filiere produttive, nelle quali i contratti sono essenzialmente destinati a spiegare i propri effetti nel tempo e che, pertanto, sono esposti al variare anche significativo delle circostanze sulla cui base furono conclusi.
La necessità di un rimedio per adeguare il contenuto dei contratti all’im- preveduto mutamento delle circostanze, che l’attuale emergenza ha fatto affio- rare, potrebbe quindi portare al futuro diritto dei contratti un elemento di novi- tà: uno strumento informato al principio di conservazione del valore economico della relazione contrattuale, da mantenere in vita anziché da abbandonare a una risoluzione che, in molti casi, comporta solo una tale distruzione di ricchezza e perdita di investimenti che nemmeno il ritorno al mercato potrebbe consentire di recuperare. Siffatto obiettivo, come detto, parrebbe anche trovare conferma nelle deroghe introdotte alla disciplina del capitale sociale e dei bilanci, funzionali alla conservazione dell’attività d’impresa. Sembra però che tale fondamentale esi- genza imponga non già una valutazione atomistica della singola relazione con- trattuale, bensì una che tenga presente le diverse ed ulteriori relazioni contrattuali che ne costituiscano, nello specifico caso, il fondamento economico.
In secondo luogo, andrebbe definitivamente ripensato il rapporto tra di- ritti e tecniche di attuazione. L’incredibile sospensione delle attività giurisdi- zionali, oltre ad aver messo in luce l’inadeguatezza tecnologica (innanzitutto in termini di cybersecurity) delle infrastrutture che governano il PCT, ha inoltre dimostrato che la teorica proclamazione dei diritti, in assenza di pronti rimedi per attuali, è un vano esercizio retorico. Il risultato evidente a tutti è che da mesi, nell’emergenza e, dunque, quando sarebbero ancora più necessarie le regole, gli operatori economici sono stati abbandonati a sé stessi. Proprio a tale esigenza di regole potrebbero ben rispondere i sistemi di ADR governati da terze parti o affidati agli stessi avvocati.
Pertanto, un ulteriore elemento innovativo che l’emergenza potrebbe ap- portare all’interno del nostro sistema giuridico è la definitiva messa a punto di un serio e organico quadro di sistemi di risoluzione alternativa delle controver- sie, che non siano visti dalle parti come inutile e costoso ostacolo all’esercizio del diritto di azione costituzionalmente tutelato, ma come effettivo strumento di rapida ed efficace soddisfazione di interessi che troppo spesso sembrano solo astrattamente tutelati dalle norme sostanziali.
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