Sommario: 1. Premessa. – 2. Il contratto di affitto di azienda nella fase del lock down. – 3. Il contratto di affitto di azienda nella fase della ripresa dell’attività.
1.
PremessaNell’affrontare il tema del presente contributo, sembra opportuno muo- vere da alcune considerazioni preliminari.
Anzitutto, si rivela di intuitiva evidenza come interrogarsi sulla incidenza della situazione pandemica sul contratto di affitto di azienda richieda di mi- surarsi con il problema della tenuta del medesimo non solo nella fase del c.d. lock down (ovvero del blocco delle attività produttive, eccezion fatta per quelle appartenenti alle filiere reputate necessarie dal legislatore), ma anche in quella ulteriore in cui gli operatori, pur potendo riprendere la produzione, si trovano a fare i conti con un contesto economico profondamente deteriorato, per non dire rovesciato rispetto alla cornice ante-Covid.
Sempre in limine, deve segnalarsi che l’azienda appare contraddistinta da un valore propriamente funzionale. In altri termini, un’azienda vale se e nella misura in cui possa fungere da strumento per la conduzione di una data impre- sa: una volta smarrita una simile attitudine, il complesso di beni organizzato di cui all’art. 2555 c.c. appare destinato a ridursi a una mera congerie di elementi in cui ciascuno potrà eventualmente tornare a rilevare nella sua singolarità, ma non più come parte di un insieme.
Da ultimo, preme richiamare l’attenzione sul fatto che il contratto di af- fitto di azienda (come integrato dagli artt. 2561 e 2562 c.c.), oltre a prevedere la coppia delle prestazioni principali (concessione in godimento temporaneo del complesso produttivo versus pagamento del canone), addossa pure in capo al conduttore l’obbligo di conservare sia la destinazione economica impressa al compendio dal concedente, che la relativa efficienza.
1*
44 U g o M i n n e c i
2.
Il contratto di affitto di azienda nella fase del lock downLe considerazioni svolte in premessa permettono di affrontare con mag- giore consapevolezza la questione della sorte del contratto di affitto di azienda in un contesto di lockdown.
Proprio in ragione del già riferito valore funzionale dell’azienda, l’ipotesi di un factum principis che inibisca lo svolgimento dell’attività finisce per ren- dere inutilizzabile da parte del conduttore la prestazione offerta dal concedente. Più chiaramente, avere la disponibilità di un’azienda senza poterla destinare allo svolgimento dell’impresa in funzione della quale è stata costituita equivale ad avere un bene privo di utilità pratica (se non addirittura un vero e proprio debito).
Tenuto conto che, secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali, di impossibilità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1256 c.c. sarebbe lecito parlare an- che quando sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione da parte del creditore, sussistono le condizioni perché, nel caso di specie, il condutto- re possa invocare l’applicazione dell’art. 1464 c.c. e conseguentemente essere sollevato dal pagamento (di almeno una parte) del canone pattuito, se non altro per tutto il tempo di durata del blocco dell’attività.
Tale impostazione ha trovato riscontro in una recente ordinanza emessa in sede cautelare in data 20 maggio 2020 (reperibile sul sito www.dirittoban- cario.it) con la quale il Tribunale di Roma, dopo avere constatato la sopravve- nuta inutilità parziale della prestazione del concedente in ragione del lockdown (perché la prestazione di quest’ultimo sarebbe divenuta impossibile quanto all’obbligo di consentire all’affittuario di svolgere nei locali aziendali l’eserci- zio dell’attività di vendita a dettaglio, mentre sarebbe rimasta possibile quanto alla concessione del diritto di uso dei locali e quindi nella più limitata funzione di fruizione del negozio quale magazzino e deposito merci), ha correlativamen- te ridotto (del 70%) la misura della controprestazione a carico del conduttore. Mette peraltro conto di rilevare che se può considerarsi legittima l’aspi- razione a una riduzione del canone nell’eventualità di una situazione di blocco dell’attività imposto dal legislatore, cionondimeno, fintanto che il contratto di affitto resta in piedi, il conduttore dell’azienda dovrà ritenersi comunque gra- vato dall’obbligo di salvaguardarne l’efficienza. Più chiaramente, l’affittuario dell’azienda sarà tenuto ad assumere – ove possibili – tutte quelle iniziative volte a rallentare la dissoluzione del compendio: in particolare, adoperandosi per usufruire delle misure di aiuto e sostegno pubblico in favore delle imprese (incluso l’accesso alla cassa integrazione per i dipendenti), in modo da raffor- zare la capacità di resilienza del complesso produttivo, per quanto inattivo.
45 I l c o n t r a t t o d i a f f i t t o d i a z i e n d a a l t e m p o d e l C o v i d - 1 9
3.
Il contratto di affitto di azienda nella fase della ripresa dell’attività Una volta cessato il lockdown, una azienda che non abbia smarrito la propria attitudine produttiva torna a rivestire una utilità pratica e conseguente- mente a recuperare un determinato valore.Non può tuttavia passare inosservato come, proprio per effetto della si- tuazione pandemica e del blocco temporaneo delle attività produttive, il quadro economico generale si sia profondamente deteriorato, al punto da non potersi escludere che l’ammontare del canone originariamente pattuito manifesti nella nuova realtà una sopravvenuta gravosità, suscettibile di sconvolgere l’equili- brio dello scambio cristallizzato al tempo della conclusione del contratto.
Naturalmente, di fronte al verificarsi di una simile ipotesi, non sarebbe in discussione l’esperibilità dell’azione di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità (tenuto conto che l’epidemia da Covid presenta senz’altro i caratteri propri dell’evento straordinario ed imprevedibile).
La questione cruciale è piuttosto quella di verificare la possibilità di rico- noscere in favore dell’affittuario la proponibilità di un rimedio non diretto alla demolizione del contratto, bensì volto ad ottenere una revisione dello stesso, in modo da riportarlo in equilibrio.
È appena il caso di rilevare che rispondere affermativamente sul punto equivarrebbe a ravvisare, in presenza di date circostanze, un vero e proprio diritto (e correlativo) obbligo di rinegoziazione.
Ora, è vero che in letteratura non sono mancati autori propensi ad am- metterne la configurabilità, facendo perno sulla clausola generale di buona fede (oggettiva) e correttezza, eventualmente riguardata alla luce del (o meglio in- nervata dal) principio di solidarietà di cui all’art. 3, comma 2 Cost.
Cionondimeno, la giurisprudenza si è tradizionalmente mostrata refratta- ria al riguardo, scorgendo nel comma 3 dell’art. 1467 c.c. un ostacolo insupe- rabile per l’affermazione di una simile prerogativa.
Va pertanto considerata una novità di assoluto rilievo l’apertura risultante da un recente documento redatto dall’Ufficio del Massimario della Cassazione (Relazione n. 56 datata 8 luglio 2020), nel quale si legge che nel contesto de- lineato dall’emergenza pandemica le clausole generale di correttezza e buona fede oggettiva, in quanto espressivi del dovere inderogabile di solidarietà co- stituzionale, postulerebbero la rinegoziazione come via necessitata, in modo da consentire l’equo adattamento del contratto alle circostanze ed esigenze so- pravvenute e la salvaguardia del rapporto economico nel rispetto della piani- ficazione convenzionale; e ciò alla luce del decisivo rilievo (che ribalta il pre- cedente orientamento) secondo cui, per quanto sia disposizione astrattamente idonea a governare le sopravvenienze sperequative, l’art. 1467 c.c. avrebbe
46 U g o M i n n e c i
carattere dispositivo e come tale derogabile da quelle norme imperative di leg- ge nel cui novero si inseriscono gli artt. 1175 e 1375 c.c.
Peraltro, una volta ammessa la configurabilità in determinate situazio- ni di un diritto alla rinegoziazione del contratto, il cammino può considerarsi tutt’altro che concluso. Rimane infatti da compiere il successivo passo relativo alla individuazione del criterio attraverso cui procedere alla «riscrittura» del regolamento negoziale.
In effetti, sarebbe un mero esercizio di stile enunciare il diritto alla revi- sione dei termini economici del rapporto per poi rimettere al libero gioco delle parti il rimodellamento dello scambio: non fosse altro perché, come ricono- sciuto da un autore (D. Maffeis, 2020), la volontà del (contraente) più forte sarebbe destinata inevitabilmente a prevalere.
In realtà, si rivela meritevole di attenzione il suggerimento di assumere come criterio guida quello dell’equo pareggiamento degli interessi di cui all’art. 1371 c.c. (così A.A. Dolmetta, 2020): suggerimento che, una volta calato nell’ambito dell’affitto di azienda, potrebbe condurre, in vista di un più efficiente rimodellamento del rapporto, anche a una interpretazione più elastica del vincolo relativo alla conservazione della destinazione originaria del compendio.
Solo che, nell’accogliere tale prospettiva, non sembra del tutto sufficiente l’indicazione proveniente dal già citato Documento dell’ufficio del Massimario di operare una valutazione del solo regolamento contrattuale, onde desumere i termini in cui le parti hanno inteso ripartire il rischio derivante dal contratto e conseguentemente gli stessi criteri atti a ristabilire l’equilibrio contrattuale.
In verità, per disporre di un quadro più completo, potrebbe essere oppor- tuno allargare lo sguardo al settore in cui in cui si trova ad operare l’affittuario dell’azienda e, in particolare, alla c.d. filiera del prodotto, in modo da poter distinguere, rispetto al rapporto di affitto in essere, i fattori turbativi di natura oggettiva da quelli più legati a situazioni soggettive delle parti.
Ma se l’adattamento del contratto non può prescindere da una valuta- zione da condursi a livello di mercato (di riferimento), non sembra eversivo affidare il compito di coadiuvare la parti nella ricerca del nuovo equilibrio a strutture di negoziazione assistita istituite presso organismi (come ad esempio le Camere di Commercio) che dispongano dei dati necessari per compiere una simile ricognizione o comunque li possano più agevolmente acquisire.
A recepire la soluzione indicata, l’intervento del Giudice potrebbe resta- re confinato alle ipotesi patologiche il cui il concedente si rifiuti di rinegoziare o conduca la relativa trattativa in modo malizioso.