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La sufficiente motivazione del PSPP e la sua ascrivibilità al peri metro del mandato di politica monetaria della BCE

Nel documento Supervisione bancaria e Covid-19 (pagine 148-151)

Emanuele Coraggio

2. La sufficiente motivazione del PSPP e la sua ascrivibilità al peri metro del mandato di politica monetaria della BCE

Con riguardo alla prima macro-tematica sottoposta all’attenzione dei giu- dici di Lussemburgo, questi ultimi sviluppano la propria argomentazione su tre fronti principali: il rispetto dell’obbligo di motivazione, la delimitazione della politica monetaria dell’Unione e il rispetto del principio di proporzionalità.

Quanto all’obbligo di motivazione del programma derivante dall’art. 296, par. 2, TFUE, in particolare, la Corte evidenzia che esso deve ritenersi correttamente adempiuto da parte della BCE. Se è vero, infatti, che gli atti delle istituzioni dell’UE debbono far apparire in maniera chiara ed inequivoca l’iter logico seguito dal loro autore, d’altro canto giurisprudenza consolidata consente di affermare che in ambito eurounitario valga una visione per lo più sostanzialistica della motivazione. Quest’ultima cioè non deve risultare neces- sariamente per intero dalla «lettera» dell’atto ma, nella misura in cui lo stesso sia comprensibile da parte del suo destinatario, può anche ricavarsi legittima- mente altrove: nel caso di specie dal contesto economico di riferimento e dai documenti, comunicati stampa, dichiarazioni introduttive del presidente della BCE pubblicati in occasione dell’adozione del programma e dai resoconti delle riunioni di politica monetaria del Consiglio direttivo.

Passando, quindi, alla delimitazione della politica monetaria dell’Unio- ne, in assenza di precise definizioni normative la medesima viene condotta ragionevolmente dalla Corte alla luce di due criteri: l’obiettivo della misura ed i mezzi impiegati per raggiungerlo.

Quanto alle finalità del PSPP, dal considerando n. 4 della decisione UE 2015/774 emerge chiaramente che l’obiettivo perseguito dalla BCE sia contribui- re al ritorno dei tassi di inflazione a livelli inferiori, ma prossimi, al 2% nel medio termine. Detto obiettivo, in effetti, dal 2003 in poi costituisce la via maestra pre- scelta dal SEBC, nell’ambito della discrezionalità riconnessa all’assolvimento delle proprie funzioni, per raggiungere il fine ultimo della politica monetaria dell’UE come risultante dai Trattati istitutivi, ossia il mantenimento della stabili- tà dei prezzi. Per la Corte è giocoforza concludere che la citata decisione risulta inclusa nel perimetro di detta politica, sul rilievo assorbente delle finalità da essa perseguite. I giudici di Lussemburgo evidenziano, inoltre, la sostanziale irrile- vanza del prodursi di effetti «indiretti» ricercabili anche nell’ambito della politi- ca economica e prevedibili al momento della sua adozione, nella fattispecie rela- tivi al bilancio delle banche commerciali e alle condizioni di finanziamento degli Stati membri della zona euro. D’altra parte, dallo stesso diritto primario si evince che il SEBC, fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, sostiene le politiche economiche generali dell’Unione. Dall’angolo visuale della CGUE cioè non sus- siste alcuna base giuridica per sostenere la totale separazione – che risulterebbe

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quantomeno inverosimile – fra politica economica e monetaria. A conferma di tale conclusione si evidenzia che di fatto il SECB nel perseguimento dell’obiet- tivo della stabilità dei prezzi interviene permanentemente sui tassi d’interesse e sulle condizioni di rifinanziamento delle banche attraverso l’agevolazione della fornitura di credito all’economia e la modifica dei comportamenti degli operatori economici e dei privati in materia di investimento, consumi e risparmio. Tanto vale ad incidere necessariamente sulle condizioni di finanziamento del deficit pubblico degli Stati membri, ossia sull’economia reale. Difficilmente contestabi- le, di conseguenza, è l’affermazione della Corte secondo cui impedire al SEBC di adottare una misura produttiva di meri effetti indiretti e prevedibili, incidenti sul piano della politica economica, finirebbe con l’ostacolare in maniera determi- nante l’assolvimento del suo compito istituzionale, dando vita ad un inaccettabile cortocircuito.

Quanto ai mezzi impiegati, i giudici di Lussemburgo si limitano a sotto- lineare che il PSPP si basa sull’acquisto di titoli di debito pubblico sui mercati secondari e che detto tipo di intervento rientra certamente nell’ampia definizio- ne di open market operations che l’art. 18, par. 1, Protocollo SEBC consente alla BCE e alle banche centrali nazionali di porre in essere. Sotto il profilo testé indicato, dunque, sembrerebbe che requisito sufficiente a qualificare una certa misura come di politica monetaria sia rappresentato dalla circostanza che gli strumenti su cui la stessa si fonda siano chiaramente individuabili all’interno del diritto dell’UE e che il rapporto di funzionalità rispetto a detta politica ri- sulti parimenti esplicitato a livello normativo.

2.1. Segue. La proporzionalità del PSPP

La terza questione affrontata dalla Corte afferisce, come anticipato, al principio di proporzionalità che in ambito eurounitario trova un solido adden- tellato normativo nell’art. 5, par. 4, TUE e postula che il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitino a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati. Vale la pena sottolineare come in numerose sentenze della CGUE, ivi compresa quella in esame, detto principio venga a configurarsi in maniera apparentemente bipartita, nel senso che il medesimo sembrerebbe imporrebbe di vagliare unicamente: da un lato l’idoneità degli atti delle istitu- zioni dell’Unione a garantire la realizzazione degli obiettivi sanciti dal diritto primario; dall’altro il non andare oltre i limiti di quanto è necessario per rag- giungere detti obiettivi. Ad un’analisi più attenta, in realtà, il giudizio di pro- porzionalità così costruito deriva da una peculiare modalità tecnica di declinare il principio in esame affermatasi nell’ambito della giurisprudenza della CGUE che, tuttavia, non pregiudica la possibilità di scindere sul piano logico le tre fasi dell’idoneità, della necessarietà e dell’adeguatezza (Scaccia, 2006).

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Ebbene, ripercorrendo in questa sede l’iter della Corte, l’idoneità del PSPP rispetto al fine del mantenimento della stabilità dei prezzi risulta non solo dal considerando n. 3 della decisione UE 2015/774 ma anche da documenti esterni pubblicati dalla BCE da cui si evince che detto programma è stato adottato in un contesto di crisi economica caratterizzato da un rischio di deflazione e alla luce di svariati elementi che aumentavano nettamente il rischio di un ribasso dei prezzi a medio termine. Né la modifica operata dalla decisione UE 2017/100 può collo- carsi al di fuori del predetto contesto, considerando che il tasso di inflazione nel novembre 2016 risultava ancora pari allo 0,6%, ossia ben lontano dall’obiettivo prefissato. Controprova dell’idoneità, infine, è costituita dai risultati conseguiti da analoghi programmi di quantitative easing operati da altre banche centrali ed avallati da diversi studi espressamente richiamati dalla BCE (Tuori, 2020).

Con riguardo alla necessarietà, si noti che ad avviso della Corte il PSPP effettivamente rispetta la cd. regola del mezzo più mite, poiché da un lato esso è stato adottato per rimediare all’insufficienza degli strumenti già impiegati per far aumentare il tasso di inflazione eccessivamente basso e dall’altro non risulta che l’obiettivo perseguito dal SEBC avrebbe potuto essere realizzato mediante differenti misure di politica monetaria meno afflittive. Il mancato superamento dei limiti del necessario, inoltre, è attestato da una serie di indici sintomatici attinenti alle modalità del programma, quali: l’assenza di selettività fra Stati membri; il rispetto di elevati criteri di idoneità dei titoli acquistabili; il caratte- re temporaneo della misura; la circoscrizione del volume di titoli acquistabili mensilmente; infine, il tetto massimo di acquisto riferito alla singola emissione obbligazionaria e all’insieme di titoli emessi all’interno di un singolo Paese.

Più velato, ma pur sempre presente, è il riferimento nella sentenza all’a- deguatezza o proporzionalità in senso stretto, che risulta nella parte in cui la Corte sottolinea che il SEBC nel configurare il PSPP ha effettuato un bilan- ciamento dei diversi interessi in gioco al fine di evitare che potessero prodursi inconvenienti manifestamente sproporzionati rispetto all’obiettivo perseguito. A tal riguardo, in particolare, risultano dirimenti alcuni dei caratteri del pro- gramma sopra indicati (i.e. elevati criteri di idoneità dei titoli e tetto massimo di acquisto) ed altri (i.e. possibilità di acquisto di titoli provenienti da emittenti nazionali limitata per ciascuna BCN al proprio Paese e regole peculiari di ripar- tizione delle perdite legate ad emittenti internazionali) tali da circoscrivere – e rendere, dunque, tollerabile – il rischio di sopportazione di perdite, fra l’altro connaturate alle operazioni di mercato aperto, in capo alle banche centrali na- zionali. La proporzionalità in senso ampio della misura, in definitiva, non pare revocabile in dubbio alla luce del ragionamento, lineare e completo, svolto dalla Corte.

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2.2. Il divieto di finanziamento monetario fra limitazioni formali e so-

stanziali

La seconda macro-tematica affrontata dalla CGUE, relativa al rapporto fra PSPP e divieto di finanziamento monetario, viene sviluppata per lo più da un punto di vista economico/sostanziale. È evidente, infatti, che su un piano puramente formale la misura in esame, legittimando esclusivamente gli acqui- sti di titoli sui mercati secondari, mai potrebbe essere tacciata di violare l’art. 123, par. 1, TFUE. I giudici di Lussemburgo si pongono, tuttavia, il problema di accertare se il programma di acquisto rispetti due limiti supplementari ricon- ducibili alla citata norma e volti ad impedirne l’elusione, ossia: il non produrre effetti equivalenti a quelli derivanti dall’acquisto di titoli sui mercati primari e l’idoneità a sottrarre gli Stati membri dall’incitamento a condurre una sana politica di bilancio.

Ebbene, il primo limite, che emerge anche dal considerando n. 7 del re- golamento CE n. 3603/93, potrebbe dirsi violato solo se la misura consentisse agli operatori privati di sottoscrivere titoli di debito pubblico sui mercati pri- mari con la certezza del loro successivo riacquisto da parte del SEBC, ossia di poter fare affidamento sull’impegno e la disponibilità di quest’ultimo. In tal caso, infatti, correttamente potrebbe sostenersi che il ruolo occupato dagli operatori di fatto verrebbe a coincidere con quello di meri intermediari fra le amministrazioni emittenti e la BCE o le BCN. Lo scenario riconducibile al PSPP, viceversa, si caratterizza per l’assenza della summenzionata certezza, contro la quale si pongono: la previsione di un periodo di black-out di durata non precisata, decorrente dall’emissione dei titoli, durante il quale questi ulti- mi non possono essere acquistati dall’Eurosistema; la flessibilità degli acquisti sul piano sia quantitativo che qualitativo; infine, la previsione di tetti massimi all’acquisto.

Con riguardo al secondo limite, d’altro canto, i giudici di Lussemburgo evidenziano pressoché per il medesimo ordine di ragioni – cui vanno ad ag- giungersi il carattere temporaneo del programma e i requisiti di idoneità legati alla qualità creditizia degli emittenti – che concretamente il PSPP non alimenta alcun comportamento imprudente in punto di politica di bilancio degli Stati membri.

3.

Il «test Weiss» come generale criterio di legittimità delle misure

Nel documento Supervisione bancaria e Covid-19 (pagine 148-151)

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