1. La pandemia da Covid-19 ha generato un immediato shock congiunto di domanda e offerta, i cui effetti principali si esprimono in un orizzonte di breve-medio periodo: una contrazione molto repentina del PIL 2020, con una prospettiva di parziale rimbalzo nel 2021, e recupero del differenziale del PIL nei successivi tre-cinque anni.
Il tempo di recupero del volume della produzione di ricchezza pre-Covid si riduce all’aumentare dell’«elasticità» delle filiere che compongono il siste- ma produttivo: elasticità che si esprime nella capacità di assorbire lo shock di domanda e offerta mantenendo integra la capacità produttiva tanto lungo la linea dell’integrazione verticale quanto lungo quella della integrazione oriz- zontale (resilienza della filiera).
In assenza di una risposta sanitaria definitiva al virus, allo stato attua- le non possono escludersi nuovi periodi di lockdown (attuazione di «misure di contenimento»). In ogni caso, la dinamica introdotta dal Covid-19 è in sé idonea a ripetersi in relazione ad altre emergenze sanitarie pandemiche, cui la società globalizzata è strutturalmente esposta e che l’esperienza del Covid-19 ha evidenziato poter severamente colpire anche le nazioni più avanzate.
Allargando lo spettro, effetti parzialmente sovrapponibili a quelli sopra descritti si potrebbero verificare di fronte ad altre categorie di eventi di «bu-
siness interruption», in particolare quelli che sono espressione del rischio cli- matico.
2. Nella descritta prospettiva di conservazione della resilienza delle filie- re, va osservato che in un ampio numero di casi lo shock pandemico può im- pattare sulle esistenti relazioni contrattuali d’impresa ingenerando un conflitto fra i relativi attori che discende dall’obiettivo di ciascuno – incompatibile con quello degli altri – di minimizzare il proprio costo dello shock e, conseguente-
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mente, trasferirlo agli altri: pretendendo di mutare le condizioni degli scambi in essere (in termini del mutamento volume delle forniture richieste ovvero anche dei prezzi, dei termini di pagamento o di alte caratteristiche dei prodotti o servizi, etc.) ovvero, specularmente, rifiutando le istanze delle controparti direttamente svantaggiate dalla sopravvenienza pandemica volte alla «ricondu- zione a equità» delle condizioni contrattuali.
Questo atteggiamento, se risponde alla razionalità singola di ciascun at- tore, spesso non corrisponde alla razionalità «collettiva» della filiera. Esso non è cioè conforme al suindicato obiettivo di preservarne la resilienza. Ciò accade, in particolare, quando il soggetto dotato di maggiore forza contrattuale all’in- terno della filiera (c.d. capo-filiera) agisce per allocare sugli altri attori un costo non proporzionato alla loro rispettiva posizione. In un simile scenario, non si ha una socializzazione efficiente del costo dello shock interna alla filiera stru- mentale a una futura equa condivisione dei benefici generati dal superamento dell’emergenza, bensì un comportamento «predatorio» (opportunistico) che amplifica gli effetti della crisi per taluni soggetti a beneficio di altri, rompendo il precedente equilibrio formatosi in una condizione di fisiologia.
La teoria economica chiarisce che i sistemi economici in cui le imprese hanno – a livello medio – una dimensione maggiore esprimono, a parità di altre condizioni, una superiore resilienza. Ciò consegue al fatto che, là dove vi è un’unica impresa che svolge funzioni produttive altrimenti affidate all’in- terazione contrattuale tra organizzazioni diverse (e non soggette a controllo unitario), sussistono vantaggi strutturali impliciti (Williamson, 1991) dati dall’esistenza di un potere direttivo in capo all’imprenditore che, mirando al benessere dell’impresa nel suo complesso, previene (o comunque può rimedia- re a) ogni opportunismo interno, ed anzi può perfino operare trasferimenti di risorse – sussidi orizzontali – tra divisioni produttive; per converso, una simile possibilità non si dà quando ciò in vece dell’integrazione verticale (tra divisioni produttive) si ha il ricorso al contratto (quando, cioè, in vece di due divisioni di una unica impresa si hanno due imprese legate da contratti di fornitura, distri- buzione, etc.). Resta evidente che la superiore resilienza dei sistemi economici con imprese di maggiore dimensione media non comporta l’eliminazione del paventato rischio di una distribuzione inefficiente del costo della crisi, ma lo diminuisce proporzionalmente al minor grado di integrazione produttiva tra le imprese e, conseguentemente, al maggior grado di «sostituibilità» delle relazio- ni contrattuale in cui venga a porsi un tema di opportunismo della controparte. Alla luce di questa notazione, emerge come la condizione strutturale del sistema produttivo italiano – il quale affida una parte assai rilevante della pro- pria industria privata ai c.d. «distretti produttivi» (i.e. agglomerati di imprese in cui il processo produttivo è frammentato in più imprese legate da relazioni con-
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trattuali di lungo periodo), a propria volta integrati in catene di valore europee (a guida tedesca o francese) o globali – esponga la nostra economia a un rischio particolarmente elevato di rapido deterioramento della capacità produttiva, con l’effetto dell’espansione del tempo necessario al recupero dei valori di PIL antecedenti al verificarsi dello shock pandemico, come pure della conseguente perdita di quote di mercato precedentemente occupate dalle filiere. Il rischio finale di una distribuzione asimmetrica del costo della crisi internamente alle filiere (a danno dei soggetti dotati di minore potere) è, in definitiva, quello di una riduzione di lungo termine della dimensione economica e della capacità produttiva del distretto.
3. La legislazione emergenziale adottata a far data dal mese di marzo 2020 ha affrontato il tema delle relazioni contrattuali (anche) d’impresa me- diante la previsione di una norma di carattere generale (art. 91 decreto Cura Italia), insieme con alcune disposizioni di carattere settoriale (così, contratti di finanziamento, contratti di viaggio, turismo o spettacolo, impianti sportivi). Se le seconde appaiono prive di potenzialità espansiva, la prima disposizione in- troduce un potere valutativo del giudice, da esercitarsi alla luce delle circostan- ze del caso concreto, in ordine all’efficienza causale del «rispetto delle misure di contenimento» sull’inadempimento. Tale valutazione consente al giudice di escludere o modulare la misura della responsabilità per l’inadempimento im- putabile. Secondo talune letture più avanzate, la norma prospetta un interven- to manipolativo del giudice più articolato della mera sospensione degli effetti dell’inadempimento.
Ove non si dia prova di un sufficiente nesso di causalità tra «rispetto delle misure di contenimento» e inadempimento, la gestione degli squilibri contrattuali dei contratti di filiera resta affidata al sistema civilistico generale e al relativo sistema rimediale. Nel tentativo di avviare un dibattito di taglio
generale sulla corretta risposta giuridica agli effetti del Covid, la letteratura civilistica ripone oggi una particolare fiducia sulla rinegoziazione del contratto (sub specie dell’obbligo delle parti di negoziare una revisione del contratto il cui assetto di interessi si trovi significativamente inciso dal mutamento delle circostanze di fatto), che viene individuata come il rimedio più adeguato allo scopo. A risultati consimili, poiché tesi all’intervento manipolativo dei contrat- ti di durata, conduce infine un utilizzo evolutivo della figura dell’impossibilità parziale del contratto, che più di un autore ha prospettato soprattutto in rela- zione alla locazione (Dolmetta, 2020, Minneci in questo lavoro, Natoli in questo lavoro, Salanitro, 2020). Una traiettoria propria, legata alla variazione quantitativa del rischio, segue invece il contratto di assicurazione (Landini in questo lavoro), mentre, sul lato dei rapporti di consumo relativi a titoli di
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viaggio, spettacoli o pacchetti turistici, si registra il tentativo del legislatore di scongiurare la dissoluzione del rapporto – o quanto meno l’effetto restitutorio del prezzo corrisposto – mediante il meccanismo dei voucher (Dalmartello in questo lavoro).
4. Pure nell’oggettiva condivisibilità di tali linee di lettura dottrinale e degli interventi normativi emergenziali ispirati alla medesima logica manuten- tiva-correttiva, quando ci si ponga di fronte al tema dello sviluppo di soluzioni efficienti di gestione degli squilibri di filiera (al fine della preservazione della relativa resilienza), è evidente che tale prospettiva non è sufficiente (per uno spunto in tal senso in relazione alla disciplina della subfornitura, cfr. Bene- detti e Natoli, 2020). Il limite di tali soluzioni non risiede tanto nella discre- zionalità applicativa implicita in ogni disposizione a contenuto aperto, quanto nell’approccio «monadico» che le connota: la valutazione della sopravvenien- za è ristretta all’impatto che essa ha sul singolo rapporto, come pure il rimedio attiene alla singola fattispecie analizzata.
Per definizione estranea alla logica in discorso è, invece, la prospettiva di una gestione globale e coordinata delle dinamiche della filiera, dei costi ivi complessivamente sopportati e della loro distribuzione tra gli attori: in ultima istanza, dell’efficienza economica oggettiva dell’assetto formatosi in fatto.
Tale insufficienza si trasmette inevitabilmente anche alle soluzioni con- cretamente ipotizzate (de iure condito e condendo), che nell’oggi si arrestano sul piano dell’enunciazione di principi d’azione generalissimi, quando non di regole meramente procedimentali (secondo cui, ad esempio, i contraenti sono obbligati solamente a sedere al tavolo delle trattative), per relegare il momen- to della conservazione dell’impresa (singola, al massimo in una prospettiva di gruppo) alla materia del diritto concorsuale (con tutti i problemi teorici e applicativi che ne conseguono). Né è pensabile di affidare alla giurisprudenza il compito di enucleare figure sintomatiche dei principi generali prospettati in termini razionali, e con soluzioni almeno grosso modo prevedibili nel medio periodo: non tanto in ragione dello stato in cui versa oggi la giustizia italiana e della prova di radicale inefficienza che essa ha dato di sé nei mesi presenti, ma a motivo del fatto che la stessa struttura del processo civile è poco o nulla compatibile con la suggerita gestione globale degli squilibri di filiera.
Una logica rimediale che si esaurisce nella considerazione del singolo momento di conflitto tra le imprese impedisce dunque di sviluppare soluzioni coerenti con l’esistenza di una «catena di dipendenze» tra il rapporto contro- verso e i rapporti a monte/a valle di quello nella filiera produttiva. Del pari, essa non consente di tenere in adeguata considerazione, in sede di enucleazio- ne delle soluzioni applicabili ai singoli casi di conflitto, che in quei rapporti
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la dimensione statico-distributiva è assorbita da quella dinamico-produttiva. In altri termini, la ripartizione dei costi emergenti nella fase post-Covid non è retrospettiva, ma è strumentale ad assicurare una maggiore resilienza della filiera, che è correttamente descrivibile come una «rete» di cui i singoli rap- porti contrattuali costituiscono i «nodi», l’intervento su uno dei quali comporta in automatico effetti su tutti gli altri, sebbene non direttamente coinvolti (c.d.
network sensitivity). Se la flessione immediata del valore della produzione con- seguente allo shock pandemico è un dato esogeno, ciò a cui si può aspirare è la (più efficiente) distribuzione relativa della perdita così ingenerata all’interno della filiera.
5. Se si accetta l’assunto secondo cui un’efficace gestione dei singoli episodi di conflittualità tra imprese deve guardare all’insieme delle relazioni interdipendenti di cooperazione nell’attività produttiva e cioè alle filiere (con l’esigenza, anzitutto, di una loro mappatura e perimetrazione), il problema di- viene subito quello dell’individuazione dello strumento regolatorio-normativo idoneo al fine.
Esclusa per definizione la praticabilità di soluzioni normative legate al singolo rapporto, pure la prospettiva di costruire (per via interpretativa o nor- mativa) lo statuto di un rimedio di filiera (che si sostituisca al rimedio mona- dico del singolo atto) non riesce soddisfacente: o meglio, non appare in grado – proprio come nel dibattito civilistico sui rimedi – di andare oltre la fissazione del parametro generale della mutualizzazione efficiente del costo della crisi (posto, in base a quanto osservato supra, come paradigma sostitutivo di una lettura che esaurisce il proprio orizzonte nella dimensione sinallagmatica della singola relazione d’impresa; peraltro, non è da escludersi che anche la prospet- tiva “di filiera”, qui suggerita, possa essere valorizzata nel singolo rapporto d’impresa tramite una lettura orientata della buona fede).
Una simile impasse suggerisce l’opportunità di concentrarsi, invece che sulla costruzione dello statuto normativo di un ipotetico rimedio di filiera, sulla promozione di soluzioni istituzionali per gestire gli squilibri economici gene- ratisi all’interno della filiera con l’obiettivo di una mutualizzazione del costo pandemico efficiente (siccome strumentale alla conservazione della promozio- ne della resilienza delle filiere), e in vista di una futura mutualizzazione dei benefici connessi al mantenimento dell’integrità della capacità produttiva e di mercato.
In questa prospettiva, una strada da esplorare – in alternativa ovvero an- che in concorso con la promozione di veri e propri accordi-quadro di filiera – è quella di costituire ex lege Organismi ad hoc che aiutino le imprese a rinegozia- re i contratti ed evitare il contenzioso e, nel caso in cui non si riesca a trovare
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un accordo modificativo (ispirato al suddetto standard della mutualizzazione efficiente del costo della crisi), a definire le ragioni delle parti attraverso de- cisioni non vincolanti, ma autorevoli, potendo anche dare una “spinta gentile” alle rinegoziazioni, attraverso meccanismi incentivanti (per una prima idea v. già Rabitti, 2020).
Questi organismi potrebbero essere modellati prendendo il meglio delle esperienze dell’Arbitro Bancario Finanziario e dell’Arbitro Consob, (peraltro anch’essi sorti per effetto dell’introduzione della disciplina sulla mediazione obbligatoria in materia bancaria e finanziaria) oltre che di organismi speciali come il Fondo Indennizzo Risparmiatori (FIR) o di organismi di composizione della crisi (OCRI).
Le prime due esperienze, in particolare, hanno già alle spalle una storia di successo che merita di essere guardata con attenzione anche in queste cir- costanze eccezionali (per un inquadramento recente si veda Sirena, 2017; Di Raimo, 2020).
Si è da più parti sottolineato che il successo che accompagna queste forme di ADR si lega a diversi fattori concorrenti tra cui, non ultimo, oltre all’effetto decisorio o comunque quantomeno prognostico, anche la funzione di “educazione del mercato” che consente di creare una casistica specializzata e di dare così soluzioni che vanno al di là della soluzione del caso concreto e che indirizzano anche pro-futuro gli intermediari e la clientela. L’originario modello dell’ABF è stato replicato, seppure con non del tutto analoghi effetti, per la Consob (Di Raimo, 2020).
Tutt’altra logica sottende il Fondo Indennizzo Risparmiatori, istituito con la L. 30 dicembre 2018 n. 145, che non sembra riconducibile a una forma di ADR, quanto piuttosto a un procedimento amministrato, avendo il Governo costituito un Fondo di 1,5 miliardi di euro, per andare incontro alle istanze di giustizia dei risparmiatori che siano stati “traditi” dal comportamento scorretto di alcune Banche poi assoggettate a liquidazione coatta amministrativa. Qui si prevede un meccanismo semplificato di rimborso, gestito da una Commissione tecnica (9 componenti) nominata dal MEF, a favore di coloro che si trovino in possesso dei requisiti previsti dalla legge speciale di istituzione del FIR, fino a esaurimento del fondo. Di questo modello andrebbe recuperata l’idea del “so- stegno” pubblico alle rinegoziazioni dei privati.
Minor rilievo, solo eventuale, si può riconoscere al modello OCRI che, come abbiamo detto, è allo studio più in generale per agevolare le imprese che versino in situazioni di difficoltà ai limiti della crisi. Tuttavia, si può guardare anche a questo modello dal nostro angolo di visuale per consentire al contraen- te-impresa che abbia stipulato contratti di durata rimasti inadempiuti di presen- tare all’Organismo piani di rinegoziazione, utili soprattutto per garantire oltre
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alla conservazione dei contratti, la continuità nei rapporti negoziali all’interno della “filiera”, come definita supra.
La combinazione di questi tre diversi modelli può generare un meccani- smo nuovo che, sia pure in termini di suggestione, si proverà ora a descrivere per valutarne i vantaggi e gli svantaggi.
L’Organismo, in via preliminare, avrebbe una funzione di scrematura, eliminando tutte quelle situazioni in cui c’è abuso negoziale e mala fede di una parte a danno dell’altra (secondo il criterio della mutualizzazione efficiente del costo della crisi suggerito supra), oppure eliminando situazioni estranee a Covid-19.
Al momento di iniziare la controversia le parti dovrebbero dichiarare se chiedono: a) di essere assistiti in un percorso di rinegoziazione assistita che si concluda con una decisione della controversia; b) oppure, se vogliano solo una decisione che comporti la risoluzione, non sussistendo più l’interesse alla con- servazione del contratto. Nel primo caso la domanda sarebbe di negoziazione assistita e ADR; nel secondo di ADR puro con decisione.
La decisione potrebbe non avere valore vincolante – come è peraltro pre- visto per le decisioni dell’ABF e dell’ACF – e la controversia sarebbe definita, perciò, con effetto di giudicato solo se adempiuta da entrambe le parti senza contestazioni; altrimenti avrebbe funzione di giudizio prognostico (secondo quanto da taluni sostenuto con riguardo al modello ABF e ACF) (Consolo e Stella, 2013).
L’Organismo potrebbe anche valutare, come si diceva, la congruità dell’eventuale piano di rinegoziazione presentato dal contraente di un contratto di durata che, se equo, potrebbe essere approvato e vincolare le parti che abbia- no trovato così un nuovo assetto di distribuzione dei rischi. Questa strada, che si potrebbe modellare sul modello dell’OCRI sopra evocato, sarebbe utile, ad esempio, in materia di credito immobiliare; credito al consumo; somministra- zione; locazioni.
Nella prospettiva di favorire un coordinamento tra gli attori delle varie filiere produttive, funzionale alla conservazione della loro capacità di creazio- ne di valore nel breve e nel medio periodo, l’attività sopra descritta dovrebbe poi potersi giovare di meccanismi di governance diretti a coordinare l’attività dell’organismo avendo riguardo a fattispecie oggettivamente correlate tra loro: ad esempio, per appartenenza a un medesimo distretto o in ragione del ciclo produttivo.
Si potrebbe considerare poi l’opportunità di prevedere tecniche di gestio- ne delle singole procedure di arbitrato/ADR ispirate a tali esigenze di coordina- mento e/o delineare criteri e procedimenti di nomina dei membri degli organi tali da realizzare l’adeguato coinvolgimento dei portatori di interessi rilevanti.
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Per quanto riguarda le modalità di svolgimento, i procedimenti potreb- bero anche essere condotti online (utilizzo di piattaforme), con aggiunta di snellimento della produzione documentale. Il procedimento, in caso di Online Dispute Resolution (ODR) potrebbe, in ipotesi di vicende negoziali “seriali” o legate dall’appartenenza alla medesima filiera, essere anche basato su format predisposti in anticipo dal Collegio, in modo da guidare le parti verso sbocchi il più possibile standardizzati (es. percorso negoziale + decisione con modifica dell’assetto negoziale, se necessaria oppure risoluzione + danni).
Un profilo decisivo e connotante questo ipotetico nuovo modello di ge- stione delle crisi contrattuali pandemiche è, come si diceva, quello di prevedere un sistema di incentivi che offrano la “spinta decisiva” per chi conclude con successo la rinegoziazione.
L’idea è cioè che, se le parti rinegoziano con successo il contratto coadiu- vate dall’organismo, intervenga un Fondo pubblico per indennizzare in parte il costo dell’operazione (ad esempio, in termini di percentuale di mancato gua- dagno e/o copertura delle spese di procedimento). Questo incentivo rendereb- be possibile trovare un nuovo equilibrio alle parti con intervento diretto dello Stato nell’economia che, a certe condizioni, non è configurabile come aiuto di stato (modello FIR).
Ulteriore premialità potrebbe essere quella di attribuire un punteggio alle imprese che rinegoziano utilmente l’accordo, secondo il meccanismo già spe- rimentato del rating di legalità.
Si tratta di uno strumento estremamente flessibile, che può essere fun- zionale in vari contesti. La normativa sul rating di legalità, ad esempio, vede l’AGCM come Autorità amministrativa indipendente e collega al conseguimen- to del rating alcuni benefici, opportunamente circoscritti, in due diversi ambiti: (i) la concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni; (ii) l’accesso al credito bancario (riduzione dei tempi/costi delle istruttorie per la concessione del credito; eventualmente, determinazione delle condizioni economiche di erogazione).
Infine, al sistema di risoluzione così delineato, potrebbe affiancarsi un ulteriore meccanismo di promozione e controllo di eventuali accordi tra as- sociazioni di categoria (nel caso anche composto dallo stesso organismo) che potrebbe avere una funzione di “certificazione” dell’equità dell’accordo rag- giunto.
6. Per rendere operativo un Organismo di questo genere occorre valutare