Universalismo e decentramento alla prova dei vincoli di bilancio
3. Il modello attuale di finanziamento della sanità in Italia: a) la delega sul federalismo fiscale e il d.lgs n 68 del
3.1. segue…b) la riforma dell’art.81 della Costituzione
La responsabilizzazione dei soggetti coinvolti pare la ratio ispiratrice anche della legge costituzionale n. 1 del 2012 che, com’è noto, ha introdotto il principio del pareggio di bilancio all’art. 81 della Costituzione, in esecuzione del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria (c.d. Fiscal Compact), sottoscritto a Bruxelles il 2 marzo del 2012 da venticinque dei ventisette Stati membri (con l’esclusione di Gran Bretagna e Repubblica ceca).
La novellata disposizione costituzionale prevede, al primo comma, che lo Stato debba assicurare nel proprio bilancio l’equilibrio tra le entrate e le spese, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il secondo comma, poi, prescrive dei limiti all’indebitamento pubblico, stabilendo che esso è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere, al verificarsi di eventi eccezionali.
Vengono, inoltre, confermati i previgenti principi secondo i quali ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri debba provvedere ai mezzi per farvi fronte (nuovo comma 3, corrispondente al previgente comma 4), il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo devono essere approvati dalle Camere (nuovo comma 4, corrispondente al previgente comma 1), l’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi superiori complessivamente a quattro mesi (nuovo comma 5, corrispondente al previgente comma 2).
Infine, il comma 6 rinvia ad una legge rinforzata, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.
La legge cost. n. 1 del 2012 ha apportato ulteriori modifiche al testo costituzionale, correlate a quelle dell’art. 81.
In particolare, all’art. 97 è stato anteposto un nuovo primo comma secondo il quale le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
Ciò significa che “ai fini del rispetto dei vincoli europei, tutte le pubbliche amministrazioni, così come individuate annualmente dall’ISTAT, vanno considerate come un plesso unitario e lo Stato in quanto tale risponde per esse nelle sedi europee e internazionali”437.
A tal fine, la riforma ha inciso anche sull’art. 119 della Costituzione, il cui novellato primo comma prevede che “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria
di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea”.
Nell’ottica del contenimento dell’indebitamento, viene modificato anche il comma 8 della disposizione, ai sensi del quale gli enti territoriali possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
Infine, la riforma, incidendo altresì sull’art. 117 della Costituzione, attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato, al fine di “favorire la possibilità di un consolidamento dei conti pubblici, la materia “armonizzazione dei conti pubblici”, precedentemente attribuita dal comma 3 della disposizione alla competenza concorrente di Stato e regioni.
Sull’esatta portata dell’introduzione del principio del pareggio di bilancio e dei limiti all’indebitamento occorre considerare quanto segue.
È di cruciale importanza intendersi sulla natura della regola introdotta dalla riforma del 2012; chiedersi, cioè, se si tratti di una regola rigida o che, al contrario, ammette margini di flessibilità.
L’alternativa, più precisamente, si pone tra “regole che limitano il ricorso al deficit stabilendo il vincolo del bilancio in pareggio nominale e regole che determinano un disavanzo consentito stabilendo il vincolo del saldo strutturale. Nel primo caso la norma prevede che ci sia pareggio tra spese ed entrate effettive, nel senso che non può spendersi più di quanto si incamera col gettito tributario. E se quest’ultimo si riduce per via di una fase avversa del ciclo economico, devono di conseguenza contrarsi le spese pubbliche in modo proporzionale. È evidentemente una regola rigida, che limita fortemente la capacità dei governi di reagire con efficacia alle situazioni di crisi e che ha effetti pro-ciclici, perché esclude che il bilancio pubblico possa operare come strumento di stabilizzazione macroeconomica […] nel secondo caso la formulazione è più elastica, perché si prevede la correzione strutturale del saldo di bilancio, in modo da tenere conto del ciclo avverso. Vale a dire, la regola del pareggio non è tra entrate e spese effettive, ma tra le spese effettive e le entrate che potenzialmente avrebbero potuto essere assicurate dalla capacità produttiva esistente, cioè quel livello di entrate che il gettito tributario avrebbe assicurato se il sistema produttivo avesse operato a pieno regime anziché a scartamento ridotto. Pertanto, al fine di misurare l’entità della correzione strutturale necessaria, occorre stimare l’output gap, ossia la differenza tra il prodotto effettivo e quello potenziale […] si tratta indubbiamente di una regola meno rigida della precedente […]”438.
Sul punto, non si può dire che il legislatore della riforma si stato decisivo, dal momento che, mentre il titolo della legge costituzionale n. 1 del 2012 testualmente si riferisce al “pareggio” di bilancio, con
438 Cfr. O. CHESSA, La Costituzione della moneta. Concorrenza indipendenza della banca centrale pareggio di bilancio, Napoli, Jovene, 2016, 399.
ciò alludendo alla regola del saldo nominale, il riformato art. 81, invece, parla di “equilibrio” di bilancio, inducendo a ritenere che la regola effettivamente costituzionalizzata sia quella del saldo strutturale.
E, in effetti, la disposizione costituzionale è chiara nel prescrivere che lo Stato assicuri l’equilibrio tra le entrate e le spese ma tenendo, comunque, conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico e che si possa ricorrere all’indebitamento al fine di considerare gli effetti del ciclo economico.
Dalla lettera dell’art. 81, dunque, parrebbe evincersi che il principio interiorizzato dall’ordinamento italiano consenta margini di flessibilità.
Detto in altri termini, “la regola dell’equilibrio di bilancio si risolve nell’obbligo di rispettare il pareggio strutturale di bilancio, definito come divieto di ricorso all’indebitamento seppur «tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»”. Ciò significherebbe che “il deficit di bilancio rispetto al PIL dovrà essere valutato in base all’andamento del ciclo economico e che, quindi, il ricorso all’ulteriore indebitamento oltre il pareggio nominale potrà essere tollerato al solo fine di considerare gli effetti sfavorevoli del ciclo economico”439.
Occorre, tuttavia, chiedersi se esistano e quali siano gli effettivi margini di flessibilità. E, in questa direzione, cruciale importanza rivestono le definizioni di cui alla legge n. 243 del 2012, che ha dettato disposizioni per l’attuazione del novellato art. 81 della Costituzione.
Ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge, l’equilibrio dei bilanci si considera conseguito quando il saldo strutturale, calcolato nel primo semestre dell’esercizio successivo a quello al quale si riferisce, soddisfa almeno una delle seguenti condizioni: a) risulta almeno pari all’obiettivo di medio termine ovvero evidenzia uno scostamento dal medesimo obiettivo inferiore a quello considerato significativo dall’ordinamento dell’Unione; b) assicura il rispetto del percorso di avvicinamento all’obiettivo di medio termine della medesima legge ovvero evidenzia uno scostamento dal medesimo percorso inferiore a quello ritenuto significativo dall’ordinamento dell’Unione europea.
Da ciò si evince “una sorta di rinvio mobile alle decisioni adottate in sede Ue per la definizione in concreto dei c.d. Obiettivi di Medio Termine in cui si sostanziano, appunto, gli elementi normativi di dettaglio per la definizione dei vincoli del pareggio strutturale di bilancio”440.
In particolare, ai sensi dell’art. 2 bis del regolamento n. 1466 del 1997, come modificato dal regolamento n. 1175 del 2011, “ciascuno Stato membro ha uno specifico obiettivo a medio termine calcolato sulla base della propria posizione di bilancio. Questi obiettivi di bilancio a medio termine specifici per paese possono divergere dal requisito di un saldo prossimo al pareggio o in attivo,
439 Cfr. F.BILANCIA, Spendig review e pareggio di bilancio. Cosa rimane dell’autonomia locale?, in Diritto pubblico, 1/2014, 52.
offrendo al tempo stesso un margine di sicurezza rispetto al rapporto tra disavanzo pubblico e PIL del 3 %. Gli obiettivi di bilancio a medio termine assicurano la sostenibilità delle finanze pubbliche o rapidi progressi verso la sostenibilità consentendo margini di manovra finanziaria, in particolare in relazione alla necessità di investimenti pubblici. Tenuto conto dei suddetti fattori, per gli Stati membri partecipanti e per quelli che fanno parte dell’ERM2 gli obiettivi di bilancio a medio termine specifici per paese sono indicati in un intervallo compreso tra il -1 % del PIL e il pareggio o l’attivo, in termini corretti per il ciclo, al netto delle misure temporanee e una tantum”.
La disciplina europea sembrerebbe confermare il carattere flessibile del principio di cui al riformato art. 81 della Costituzione, ribadendo la regola del saldo strutturale441.
Tuttavia, non si può prescindere dal considerare che, proprio in virtù dell’intreccio “tra nuova disciplina costituzionale e norme sovranazionali del PSC (con successive modificazioni), le politiche macroeconomiche in funzione anticiclica diventano praticabili soltanto nella misura consentita dai criteri elaborati in sede sovranazionale e non nella misura che, secondo una valutazione politica discrezionale degli organi politici interni, consentirebbe di fronteggiare adeguatamente gli effetti delle fluttuazioni cicliche (che possono colpire l’economia nazionale)”442.
Peraltro, il carattere “flessibile” del principio dell’equilibrio di bilancio pare del tutto assente nella sua applicazione agli enti territoriali.
Per essi, infatti, l’art. 119 della Costituzione, già prima della riforma del 2012, prevedeva la possibilità di ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, “con l’esito di prescrivere di pareggiare le spese correnti e quelle per rimborso prestiti con le entrate finali. In un contesto del genere, la locuzione «ricorrere all’indebitamento», contrariamente al significato che ha nel riformato art. 81, intendeva riferirsi direttamente alle operazioni di contrazione del debito, tanto è vero che queste operazioni, proprio con riguardo alla norma costituzionale, sono state poi elencate dall’art. 3 comma 17 della l. 2001 n. 350”443.
A tale previsione la legge costituzionale n. 1 del 2012 ha aggiunto quella secondo la quale il ricorso all’indebitamento per finanziare gli investimenti debba accompagnarsi “con la contestuale
441 In proposito pare opportuno richiamare le preoccupazioni di chi ritiene che “quello della flessibilità e dell’antidogmatismo (del rifiuto, cioè, dei dogmi d’una specifica teoria economica) è un autentico principio costituzionale fondamentale, che governa inderogabilmente la materia. Un principio coerente con (e funzionale al) l’impianto generale (aperto, pluralistico e attento ai bisogni concreti delle persone) della Costituzione. Ne consegue che, qualora le definizioni rilevanti (in particolare quelle di ciclo e di saldo strutturale) adottate in sede eurounitaria assumessero, in futuro, una rigidità maggiore di quella delle definizioni ora offerte dalla l. n. 243 del 2012, dovrebbe scattare la garanzia dei controlimiti”. Così M. LUCIANI, L’equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di
costituzionalità, Relazione al Convegno “Il Principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Corte costituzionale, 22 novembre 2013, 22.
442 Cfr. O. CHESSA, La Costituzione della moneta. Concorrenza indipendenza della banca centrale pareggio di bilancio, cit., 408.
definizione di piani di ammortamento” e possa avvenire soltanto “a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio”.
Dalla disposizione si evince che il tipo di equilibrio richiesto alle regioni e agli enti locali presenta delle differenze sostanziali, risultando più stringente, rispetto a quello prescritto, invece, allo Stato. Quest’ultimo, infatti, “consente di contrarre debito pubblico per rimborsare quello in scadenza, mentre Regioni ed EE LL possono farlo soltanto per finanziare investimenti. Il regime stabilito per lo Stato conosce due ordini di deroghe al vincolo di pareggiare il saldo «indebitamento netto»: la necessità di praticare politiche anticicliche con conseguente disavanzo di tale saldo in misura corrispondente agli effetti del ciclo economico negativo; la possibilità di un disavanzo, senza limiti, di tale saldo in presenza di eventi eccezionali. Viceversa, il regime previsto per le Regioni e gli EE LL rimane completamente impermeabile sia ad eventuali eventi eccezionali che all’andamento del ciclo economico”444.
La riforma costituzionale, dunque, si inserisce in un percorso, già avviato nel 2001, che rafforza i vincoli europei e che, a differenza della riforma del 2001, però, estende la discrezionalità del legislatore statale “nel delimitare gli spazi di autonomia degli enti territoriali e nel trovare un punto di equilibrio tra coordinamento e autonomia”445. Come si vedrà nella seconda sezione del presente capitolo, l’introduzione del limite del vincolo di bilancio all’autonomia finanziaria di regioni ed enti locali e l’ascrizione della materia “armonizzazione dei conti pubblici” alla competenza esclusiva statale legittimano interventi dello Stato limitativi dell’autonomia regionale.
Il dato più significativo e rilevante in questa sede è che “la riforma impone di valutare un elemento ad un tempo ineludibile e scomodo, ovvero, il costo dei diritti, in quanto determina un’autolimitazione rispetto a una delle massime espressioni della sovranità del Parlamento, vale a dire, alla quasi totale autonomia e discrezionalità in ordine alle decisioni di spesa e alla loro copertura”446.
Il nuovo art. 81 della Costituzione, infatti, imponendo il raggiungimento dell’equilibrio di bilancio, anche se inteso come saldo strutturale, restringendo il ricorso all’indebitamento, pone nei fatti un tetto di spesa e si risolve in una limitazione del legislatore statale nel perseguimento di determinati obiettivi di giustizia sociale447.
444 Cfr. A.BRANCASI, Il principio del pareggio di bilancio in Costituzione, cit., 13.
445 Cfr. M.BELLETTI, Corte costituzionale e spesa pubblica. Le dinamiche del coordinamento finanziario ai tempi dell’equilibrio di bilancio, Torino, Giappichelli, 2016, 126.
446 Cfr. M.BELLETTI, Corte costituzionale e spesa pubblica. Le dinamiche del coordinamento finanziario ai tempi dell’equilibrio di bilancio, cit., 126.
447 A tale proposito va comunque richiamata quella dottrina secondo la quale dovrebbero considerarsi le ragioni che, in un’ottica di responsabilità intergenerazionale, hanno sorretto la scelta della costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio, attribuendogli, se così si può dire, quella forza tale da controbilanciare le ragioni dei diritti sociali. Non si potrebbe, cioè, prescindere dalla considerazione che il rispetto dell’equilibrio finanziario sia strumentale alla tutela dei diritti fondamentali non solo degli individui presenti ma anche delle generazioni future. L’idea di un “patto generazionale” come base del diritto finanziario, si inserirebbe “nella più ampia cornice teorica sia della costituzione come patto generazionale, sia di un più esteso concetto di welfare state inteso come contratto sociale che garantirebbe
Si è, cioè, passati “da un disegno costituzionale originario che riconosceva la possibilità di politiche macroeconomiche discrezionali a un assetto che consente solo scelte macroeconomiche rules-based: cioè, assoggettate a regole ferree, che canalizzano in direzioni obbligate l’esercizio delle competenze pubbliche in materia economica”448.
La costituzionalizzazione del principio, peraltro, lo ha elevato a parametro di legittimità delle leggi di “spesa”, introducendo in materia una responsabilità di tipo giuridico ed una sanzione costituzionale, in luogo di “obbligazioni che in precedenza rilevavano solo in sede politica e restavano tutte interne alle dinamiche della relazione di fiducia”449. In altri termini, la riforma ha attribuito al giudice delle leggi un peso non indifferente nell’operazione di bilanciamento, anche se di vero bilanciamento a rigore non potrebbe parlarsi450, tra esigenze di contenimento della spesa e tutela del diritto, appannaggio della forza politica.
E, in effetti, nella giurisprudenza costituzionale sul punto, il vincolo di bilancio è passato dall’essere un limite esterno nel bilanciamento tra beni costituzionalmente garantiti a “super principio”451 esso stesso da bilanciare. Ne è esempio la sentenza n. 10 del 2015 con la quale la Corte,
non solo la giustizia sociale e la sicurezza sociale individuale e collettiva, ma anche forme efficaci di solidarietà intergenerazionale”, nel rispetto, peraltro, sembrerebbe, proprio del principio democratico. Si osserva, infatti, che per sua natura la decisione politica è destinata a spiegare i propri effetti anche sui decisori futuri. Quando però “la scelta del decisore assume i tratti dell’irreversibilità oppure produce effetti gravosi e/o limitanti sui legittimi decisori del futuro e, quindi, sulle generazioni future, il rapporto del decisore attuale col principio democratico assume una dimensione anche intertemporale e intergenerazionale che non deve essere pretermessa o ignorata”.Dunque, la riforma costituzionale da questo punto di vista dovrebbe essere salutata con favore in quanto strumentale“a tutelare anche le generazioni future da un onere che, in alcuni casi, può divenire gravosissimo”. Di talché, secondo questa impostazione, dovrebbe ritenersi che il principio in oggetto tenti “di dare una risposta a uno specifico aspetto della responsabilità intergenerazionale, sintetizzabile nella pretesa delle generazioni future a non ricevere un debito pubblico eccessivo”447. Per tale ragione l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione “non solo è pienamente compatibile con il principio democratico, ma ne rappresenta un significativo arricchimento”. Così R.BIFULCO, Jefferson, Madison e il momento costituzionale
dell’Unione. A proposito della riforma costituzionale sull’equilibrio di bilancio, in Rivista AIC, 2/2012. Sulla responsabilità intergenerazionale si veda, in particolare, ID., Diritto e generazioni future, Milano, Franco Angeli, 2008; P.
A.VAGLIASINDI,Problemi intergenerazionali nell’economia pubblica,inR.BIFULCO,A.D’ALOIA (a cura di), Un diritto per il futuro, Napoli, Jovene, 2008. Occorre comunque rilevare come una parte della dottrina sostenga l’impraticabilità dell’argomento riportato. Ad esempio, l’obiezione mossa da M.LUCIANI, Sui diritti sociali, cit., 126 ss., si poggia sul fatto
che in un simile giudizio verrebbero introdotte variabili indipendenti. L’autore sostiene, infatti, in primo luogo, l’impossibilità di effettuare un giudizio prognostico su quali e quanti saranno i bisogni delle generazioni future, dal momento che questi, essendo creazioni per lo più sociali, sono imprevedibili. Sarebbe, in secondo luogo, impossibile prevedere gli orientamenti di future maggioranze politiche in materia di diritti sociali, e, dunque, la disponibilità di queste a destinare risorse al soddisfacimento dei bisogni sui quali si appuntano i diritti sociali. L’autore afferma, infine, l’indisponibilità di un modello economico che possa predire con ragionevole sicurezza che il progresso economico desiderato, e perseguito distogliendo risorse dalla spesa sociale, si realizzerà davvero.
448 Cfr. O. CHESSA, La Costituzione della moneta. Concorrenza indipendenza della banca centrale pareggio di bilancio, cit., 402.
449 Cfr. G.SCACCIA, L’equilibrio di bilancio fra Costituzione e vincoli europei, in Osservatorio sulle fonti, 2/2013, 6. 450 Così M.LUCIANI, Sui diritti sociali, cit., 126, secondo il quale il bilanciamento tra esigenze economico-finanziarie ed esigenze sociali, comunque indispensabile, deve essere considerato un “bilanciamento ineguale”, in cui “il fine è sempre e solo il soddisfacimento dei diritti della persona, non mai l’efficienza economica in sé e per sé”, e che di un vero e proprio bilanciamento, che avviene sempre tra “eguali”, non potrebbe neppure parlarsi, data l’impossibilità di porre sullo stesso piano il fine (ovvero il soddisfacimento dei diritti sociali) e il mezzo (ossia l’efficienza economica).
451 Cfr. I.CIOLLI, L’equilibrio di bilancio è il convitato di pietra nelle sentenze nn. 10 e 70 del 2015, in Quaderni costituzionali, 3/2015, 704.
pur dichiarando l’illegittimità costituzionale della c.d. robin tax, della norma, cioè, che prevedeva un prelievo “addizionale” all’imposta sul reddito delle società petrolifere che avessero conseguito una certa soglia di ricavi, per violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione, ha limitato la retroattività della declaratoria di incostituzionalità sulla base della considerazione che la rimozione con effetto retroattivo della normativa impugnata avrebbe determinato “uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva, anche per non venire meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di Unione europea e internazionale (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.) e, in particolare, delle previsioni annuali e pluriennali indicate nelle leggi di stabilità in cui tale entrata è stata considerata a regime”452.
Ciò significa che l’introduzione della regola dell’equilibrio ha mutato “la natura del vizio della legge in contrasto con il vigente art. 81 Cost. da procedurale, come poteva ritenersi la violazione del rispetto dell’obbligo di copertura, a sostanziale, in quanto espressione di un contrasto con norme costituzionali che impongono limiti di contenuto al governo dei conti pubblici”453.
3.2.segue…c) il patto per la salute 2014-2016 e i successivi sviluppi finanziari del Servizio