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segue…Le tre riforme della sanità

Nel documento Welfare sanitario e vincoli economici (pagine 64-74)

3. La legislazione ordinaria

3.1. segue…Le tre riforme della sanità

Ciò premesso, pare opportuno delineare sinteticamente le caratteristiche delle tre maggiori riforme che hanno interessato il sistema sanitario. Ci si riferisce alla legge n. 833 del 1978, che, come già chiarito, ha istituito il Servizio sanitario nazionale, e le successive riforme bis, di cui al d.lgs. n. 502 del 1992, e ter, di cui al d.lgs. n. 229 del 1999. Su tali atti si tornerà, per quel che concerne l’aspetto finanziario, più diffusamente nel prosieguo. Quel che si vuole evidenziare in questa sede è

l’andamento del Servizio sanitario nazionale con riguardo ai rapporti tra Stato e mercato, da un lato, e tra Stato ed enti territoriali, dall’altro.

La legge n. 833 del 1978, ispirata ai principi di universalità dei destinatari, uguaglianza nell’accesso e globalità delle prestazioni, attribuiva un ruolo esclusivo allo Stato nella gestione del sistema salute. La riforma, infatti, basava il finanziamento esclusivamente sulla fiscalità generale e imputava le funzioni e i servizi di tutela della salute ad un unico soggetto, ossia il Servizio sanitario nazionale, definito come il “complesso delle funzioni delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”223.

Per quel che concerne i rapporti tra Stato ed enti territoriali, la legge n. 833 attribuiva al primo un ruolo centrale, riservandogli un corposo elenco di funzioni amministrative224. Peraltro, le funzioni amministrative attribuite alle regioni venivano, comunque, sottoposte al potere di indirizzo e coordinamento dello Stato225.

Un elemento significativo della riforma del 1978 circa l’allocazione delle funzioni di gestione è il favore riservato al livello comunale. La legge, infatti, attribuiva ai comuni la parte più consistente delle funzioni, ossia quelle relative all’assistenza sanitaria e ospedaliera226, che astrattamente sarebbero spettate alle regioni secondo il principio del parallelismo delle funzioni di cui all’art. 118 della Costituzione, nel testo allora vigente, posta la competenza concorrente in materia di beneficienza e assistenza sanitaria e ospedaliera, di cui all’art. 117 nella formulazione antecedente alla riforma del 2001227.

Il favore per il livello comunale veniva, peraltro, manifestato dall’attribuzione della gestione dei servizi sanitari alle Usl, definite come “il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane i quali in un ambito territoriale determinato assolv[evano] ai compiti del servizio sanitario nazionale […]”228, “i cui organi gestionali e direttivi costituivano promanazione dei consigli comunali, singoli o associati, rispetto ai quali l’Usl veniva qualificata come «struttura operativa»”229.

223 Cfr. art. 1, comma 3, l. n. 833/1978. 224 Si veda in proposito l’art. 6, l. n. 833/1978. 225 Si veda in proposito l’art. 5, l. n. 833/1978.

226 Si veda in proposito l’art. 13, comma 1, l. n. 833/1978, ai sensi del quale “sono attribuite ai comuni tutte le funzioni amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera che non siano espressamente riservate allo Stato ed alle regioni”.

227 Su questi rilievi R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 60.

228 Cfr. art. 10, comma 2, l. n. 833/1978.

229 Cfr. R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 60.

Alla regione, pertanto, non venivano assegnati compiti gestionali diretti, ma un ruolo strategico nell’ambito della programmazione, il cui punto di avvio era costituito dalla Piano sanitario nazionale, da approvarsi con legge. A quest’ultimo, che avrebbe dovuto individuare le linee generali di indirizzo e le modalità di svolgimento delle attività del Servizio sanitario nazionale, avrebbero dovuto uniformarsi i Piani sanitari regionali. Tuttavia, fino al 1994 nessun piano venne approvato e ciò “minò fin dai primi anni di attuazione della legge il ruolo regionale di programmatore delle attività concrete del Ssn, nonché la capacità dell’ente regionale di incidere sulle scelte dei comuni nella gestione delle Usl”230.

Nei primi tredici anni di vigenza, la legge n. 833 mostrò i propri pregi e i propri difetti. Indubbiamente, la riforma per la prima volta nella storia costituzionale aveva dato attuazione al disposto di cui all’art. 32 della Costituzione, determinando l’assunzione da parte della Repubblica della funzione di tutela della salute e istituendo un sistema ispirato al principio di eguaglianza sostanziale. Dopo trent’anni prendeva, cioè, corpo quella forma sociale dello Stato, che trovava nella garanzia dell’universale diritto alla salute una delle sue massime espressioni.

Il sistema, tuttavia, presentava delle criticità, tra cui, in particolate, la carenza di un meccanismo di calcolo, dovuto soprattutto alla mancata adozione dei Piani sanitari nazionali, e di controllo della spesa231, sia locale che globale, “la cui rilevanza veniva esponenzialmente accresciuta da un intreccio di competenze tra i diversi livelli di governo tale da provocare un’eccessiva moltiplicazione dei centri di autonomia”232.

La stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 245 del 1984 manifestò l’esigenza che il Parlamento riconsiderasse organicamente l’ordinamento del Servizio sanitario nazionale, dichiarando che “non basta […] che venga riformata e snellita - secondo lo schema predisposto dal Ministro della sanità – l’organizzazione interna delle unità sanitarie locali. Occorre, del pari, che si faccia chiarezza nell’attuale intreccio delle competenze, spettanti ai vari tipi di apparati corresponsabili in materia, evitando in particolar modo l’eccessiva moltiplicazione dei centri di autonomia, sia pure attuata nel formale rispetto della Costituzione. Ed è ben chiaro, d’altronde, che non servono allo scopo le leggi finanziarie, né gli altri provvedimenti di carattere urgente o comunque contingente: là dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti, è infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per assicurare la certezza del diritto ed il

230 Cfr. R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 61.

231 Infatti, la l. n. 833/1978, pur prevedendo un dettagliato sistema di contabilità, per il quale le Usl erano onerate di una serie di adempimenti contabili e informativi nei confronti delle regioni (si veda in particolare l’art. 50), tuttavia, come evidenziato da R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel

Servizio sanitario nazionale, cit., 63, “non si preoccupava di declinare operativamente le attività e gli strumenti di controllo della spesa da parte delle Usl”.

buon andamento delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel tempo”233.

A ciò deve aggiungersi la stretta interconnessione tra potere politico e gestione delle unità di erogazione dei servizi. Infatti, “sin dalla individuazione della dimensione territoriale delle Usl, finirono […] per prevalere interessi localistici, che determinarono una eccessiva frammentazione delle Unità sanitarie e di conseguenza una pessima allocazione delle risorse, con frequenti casi di irragionevole moltiplicazione di dotazioni strumentali e professionali”234.

Alle problematiche appena rappresentate si tentò di porre rimedio con il d.lgs. n. 502 del 1992, poi corretto e integrato dal d.lgs. n. 517 del 1993, volto a riformare il sistema secondo le due direttrici dell’“aziendalizzazione” e della “regionalizzazione”.

Più nel dettaglio, la Usl venne trasformata in Azienda unità sanitaria locale (Ausl) e gli ospedali di maggiori dimensioni in Aziende Ospedaliere (Ao). Inoltre, in ossequio all’allora vigente principio del parallelismo delle funzioni, le funzioni amministrative vennero sottratte al livello comunale e riallocate in capo alle regioni235. In particolare, spettava alla regione “la determinazione dei principi sull’organizzazione dei servizi e sull’attività destinata alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, le attività di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle predette unità sanitarie locali ed aziende, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie”236. Peraltro, alla regione venne attribuito il compito di nominare il vertice aziendale delle Ausl, costituito dal direttore generale237.

Il legislatore del 1992, inoltre, mosso dall’esigenza di razionalizzazione economica del Servizio sanitario nazionale, agganciò al finanziamento tramite il Fondo sanitario nazionale solo i “livelli essenziali delle prestazioni”, prevedendo che questi venissero definiti “in coerenza” con l’entità del finanziamento assicurato al Servizio sanitario nazionale238.

Il decreto n. 502, all’art. 9, aveva, poi, previsto “forme di assistenza differenziata” e la possibilità di dare luogo a sistemi di sperimentazione gestionale.

Nella prima direzione, in attuazione della direttiva di cui all’art. 1 della legge delega n. 421 del 1992 (Delega al governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale)239, la richiamata disposizione stabiliva

233 Cfr. Corte cost., sent. n. 245/1984, punto 11 del Considerato in diritto.

234 Cfr. A.PIOGGIA, Diritto sanitario e dei servizi sociali, Torino, Giappichelli, 2017, 79. 235 Così l’art. 2, d.lgs. n. 502/1992.

236 Cfr. art. 2, comma 2, d.lgs. n. 502/1992, come modificato dall’art. 3, d.lgs. n. 517/1993. 237 Così l’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 502/1992, come modificato dal d.lgs. n. 517/1993. 238 Così l’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 502/1992.

239 Ai sensi del quale i conseguenti decreti legislativi avrebbero dovuto “introdurre norme volte, nell’arco di un triennio, alla revisione e al superamento dell’attuale regime delle convenzioni sulla base di criteri di integrazione con il

che “al fine di assicurare ai cittadini una migliore qualità e libertà nella fruizione delle prestazioni, fermi restando i livelli uniformi di assistenza […] e la libera scelta del cittadino, le regioni possono prevedere, nell’ambito della programmazione regionale […] forme di assistenza differenziata per particolari tipologie di prestazioni”. Da un punto di vista finanziario si prevedeva che “con decreto del ministro della Sanità, di concerto con i ministri del Tesoro e delle Finanze, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sono determinate, per ciascun triennio di validità del Piano sanitario nazionale, le quote di risorse destinabili per la gestione di forme di assistenza differenziate […] tenendo conto dei principi di solidarietà propri del Ssn, e avendo riguardo all’obiettivo di garantire risultati di economicità”. Infine, si prevedeva che tali forme di assistenza differenziata potessero consistere: “a) nel concorso alla spesa sostenuta dall’interessato per la fruizione della prestazione a pagamento; b) nell’affidamento a soggetti singoli o consortili, ivi comprese le mutue volontarie, della facoltà di negoziare, per conto della generalità degli aderenti o per soggetti appartenenti a categorie predeterminate, con gli erogatori delle prestazioni del Ssn modalità e condizioni allo scopo di assicurare qualità e costi ottimali. L’adesione dell’assistito comporta la rinuncia da parte dell’interessato alla fruizione delle corrispondenti prestazioni in forma diretta e ordinaria per il periodo della sperimentazione”.

Circa le sperimentazioni gestionali il medesimo art. 9 prevedeva che queste venissero “attuate attraverso convenzioni con organismi pubblici e privati per lo svolgimento in forma integrata di opere o servizi, motivando le ragioni di convenienza, di miglioramento della qualità dell’assistenza e gli elementi di garanzia che supportano le convenzioni medesime”. A tal fine la regione poteva dar vita a società miste a capitale pubblico e privato.

Tale disciplina è stata riscritta, innanzitutto, dal d.lgs. n. 517 del 1993, che all’art. 10 ha modificato il citato art. 9 e all’art. 11 ha introdotto un nuovo art. 9 bis. In particolare, le forme di assistenza differenziata sono state trasformate in “forme integrative di assistenza sanitaria”, costituite da fondi integrativi sanitari finalizzati a fornire prestazioni aggiuntive rispetto a quelle assicurate dal Servizio sanitario nazionale. Il nuovo art. 9 bis è stato, invece, interamente dedicato alle sperimentazioni gestionali.

Sull’art. 9 è, poi, intervenuto il d.lgs. n. 229 del 1999 (c.d. riforma ter), che ha trasformato il sistema delle forme integrative di assistenza sanitaria in quello dei Fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, di cui si parlerà più diffusamente nel capitolo a seguire. Il decreto in questione,

servizio pubblico, di incentivazione al contenimento dei consumi sanitari, di valorizzazione del volontariato, di acquisizione delle prestazioni, da soggetti singoli o consortili, secondo principi di qualità ed economicità, che consentano forme di assistenza differenziata per tipologie di prestazioni, al fine di assicurare ai cittadini migliore assistenza e libertà di scelta”.

peraltro, è intervenuto sulla quasi totalità delle disposizioni del d.lgs. n. 502 del 1992, modificandolo quasi totalmente.

Deve ritenersi che la principale intenzione del legislatore del 1999 sia stata quella di trovare un punto di incontro tra determinazione dei livelli essenziali di assistenza e risorse economiche disponibili che fosse più aderente alla ratio della riforma del 1978, come visto, ispirata dai principi di universalità e globalità delle prestazioni.

Per tale ragione, ai sensi dell’art. 1 del decreto, che ha riformulato l’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, “la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo nazionale, nell’ambito dei conferimenti previsti dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nonché delle funzioni conservate allo Stato dal medesimo decreto. Il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso risorse pubbliche e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n.833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse. L’individuazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza assicurati dal Servizio sanitario nazionale, per il periodo di validità del Piano sanitario nazionale, è effettuata contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica nel Documento di programmazione economico finanziaria”. Come si avrà modo di chiarire più avanti, allorché si analizzeranno le scelte sul punto effettuate dal legislatore più recente e, in particolare, con il d.lgs. n. 68 del 2011 di attuazione della legge n. 42 del 2009, l’utilizzo dell’avverbio “contestualmente”, esclude ogni tipo di subordinazione della garanzia dei livelli essenziali al vincolo economico, cui, invece, alludeva la formulazione adottata dal legislatore del 1992.

Sui livelli essenziali di assistenza e sulla loro determinazione si tornerà più dettagliatamente nel capitolo successivo240.

Va, da ultimo chiarito, che, da un punto di vista ordinamentale, la riforma del 1999 ha inteso rafforzare il ruolo delle regioni e valorizzare quello della Conferenza Stato-regioni.

Il consolidamento della regionalizzazione del sistema, già evidente dalla stessa definizione del Servizio sanitario nazionale quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi

sanitari regionali, è avvenuta attraverso una più precisa determinazione e delimitazione delle competenze241, strumentale ad una più chiara definizione del ruolo degli enti regionali e dello Stato, in capo al quale sono state conservate soprattutto funzioni di natura tecnico-scientifica.

Diverse disposizioni del decreto, inoltre, hanno richiesto pareri, accordi o intese alla Conferenza Stato-regioni, dando il via ad una “esperienza di relazioni interistituzionali” che, come si vedrà a breve, ha, poi, rappresentato il luogo ordinamentale primariamente deputato al governo, all’aggiornamento, alla manutenzione e allo sviluppo del Ssn, costituendone la sede delle decisioni fondamentali”242.

Nonostante la conferma del carattere regionale delle funzioni, la riforma del 1999 ha inteso valorizzare il ruolo del comune nella programmazione e valutazione della qualità dei servizi. Nel primo senso, alla Conferenza dei sindaci e al Comitato dei sindaci del distretto sono state attribuite funzioni consultive sugli atti di programmazione locale; dal secondo punto di vista, la Conferenza è stata investita della funzione di valutazione dell’operato del direttore generale243.

4.Le fonti atipiche: a) i Patti per la salute

Il diritto sanitario, per quel che concerne le fonti del diritto, si è storicamente dimostrato terreno di sperimentazione.

La particolarità della materia, l’imprescindibilità di operazioni di bilanciamento tra valori (quali, in particolar modo, il diritto alla salute e le esigenze di bilancio), nonché il coinvolgimento di una pluralità di soggetti istituzionali, sono tutti fattori che hanno determinato lo sviluppo di fonti atipiche. Come si illustrerà meglio nel prosieguo, già con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale emerse la necessità dell’utilizzo di procedure di pianificazione, concretizzantesi nei Piani sanitari nazionali, diretti a determinare l’impalcatura finanziaria del servizio.

Se, però, questo modello embrionale di programmazione è caratterizzato in senso centralistico e si risolve in sostanza in una pianificazione del legislatore statale degli interventi finanziari a lungo termine, di contro, maggiori profili di complessità presentano i c.d. Patti per la salute, ovvero gli strumenti che, a partire dai primi anni Duemila e frutto del nuovo assetto regionalistico individuato sia con la riforma costituzionale del 2001 che con la riforma sul federalismo fiscale che trova la sua

241 Si veda in questo senso l’art. 2, comma 2-sexies, d.lgs. n. 502/1992, come modificato dal d.lgs. n. 229/1999. 242 Cfr. R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 73.

anticipazione nel d.lgs. n. 56 del 2000244, sono diventati il luogo privilegiato della concertazione tra i diversi livelli di governo in ambito sanitario.

Se si considera, da un lato, quanto emerso a proposito dell’assetto competenziale in materia sanitaria, e dall’altro, il fatto che a partire dagli anni Novanta del secolo scorso da una gestione di tipo “comunale” si è transitati ad una gestione di tipo regionale del servizio sanitario, emerge con chiarezza la necessità dell’utilizzo di metodi concertativi nella determinazione del livello finanziario da destinare al sistema “salute” e, in conseguenza, nella sua riorganizzazione.

Inoltre, “il raccordo interistituzionale pattizio è stato da tempo indicato dal giudice delle leggi quale strumento più consono a declinare il principio di leale collaborazione insito nel nostro ordinamento costituzionale245: il principale strumento che consente alle regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale è costituito dal sistema delle conferenze. Esso […] realizza una forma di cooperazione di tipo organizzativo e costituisce una delle sedi più qualificate per l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione”246.

Tali esigenze si sono tradotte nell’adozione dei seguenti Patti per la salute: accordo del 3 agosto 2000, successivamente integrato dall’accordo del 22 marzo 2001; accordo dell’8 agosto 2001; l’intesa del 23 marzo 2005; l’intesa del 5 ottobre 2006; l’intesa del 3 dicembre 2009; l’intesa del 10 luglio 2014.

Il contenuto specifico di alcuni di detti atti verrà analizzato nel prossimo capitolo, allorché si tenterà di delineare la linea evolutiva del sistema di finanziamento del Servizio sanitario nazionale.

Ciò che, invece, rileva in questa sede è l’individuazione del valore giuridico da attribuire a questa tipologia di fonti atipiche.

Ora, come emerge dall’elencazione di cui sopra, gli strumenti che si considerano appartengono a due categorie diverse. Da un lato, infatti, vi sono gli accordi, del 3 agosto 2000 e dell’8 agosto 2001, adottati ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 281 del 1997, dall’altro, le intese, del 23 marzo 2005, del 5 ottobre 2006, del 3 dicembre 2009 e del 10 luglio 2014, stipulate ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003.

244 Così L.DURST, Report: Il diritto alla salute e il nuovo patto per la salute 2014-2016, in (a cura di) R.NANIA, Il diritto alla salute fra stato e regioni: il patto per la salute 2014-2016, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2016, 12.

245 Sul principio di leale collaborazione di veda R.BIFULCO, Leale collaborazione (principio di), in (a cura di) S. CASSESE, Dizionario di diritto pubblico, Milano, Giuffrè, 2006, 3356-3364.

246 Cfr. G.CARPANI, Cogestire la sanità. Accordi e intese tra Governo e regioni nell’ultimo decennio, in (a cura di) F.ROVERSI MONACO –C.BOTTARI, La tutela della salute tra garanzie degli utenti ed esigenze di bilancio, Santarcangelo

di Romagna, Maggioli, 2012, 101, il quale richiama la sentenza Corte cost. n. 51/2008, nonché, alla nt. 10 le sent. nn. 201 e 401/2007, 242/2005.

Com’è stato osservato, tuttavia, la differenza quanto al nomen juris non incide sul contenuto sostanziale degli atti che, di contro, presentano la stessa natura, in quanto esoprocedimentali e “fuori di una qual sorta di doverosità” della loro conclusione247.

È possibile, cioè, svolgere le medesime considerazioni a proposito sia degli accordi ex art. 4, d.lgs. n. 281 del 1997, sia delle intese ex art. 8, comma 6, legge n. 131 del 2003.

Da un punto di vista sostanziale, la particolarità di detti strumenti consiste nella loro attitudine a

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