Federica Camurr
1. L’introduzione della carta dei servizi: contesto storico di riferimento tra la riforma del SSN e la riforma del procedimento amministrativo e accesso agli att
1.1 Natura giuridica della carta dei servizi e le diverse forme di tutela
Quello della natura giuridica della carta dei servizi è un tema molto discusso così come lo è la stessa cogenza ed obbligatorietà della sua adozione, probabilmente anche a causa della scarsa chiarezza delle norme in materia. Oggi l’adozione della carta è un obbligo di legge anche se non vi sono sanzioni per le Aziende che non la adottano. Hanno l’obbligo di redigere ed adottare la carta dei servizi tutti gli erogatori di servizi pubblici siano essi pubblici o privati. Per i primi la carta si configurerà quale atto amministrativo generale o regolamento che potrà comportare l’adozione di ulteriori atti amministrativi correlati, per gli erogatori privati dovrà essere necessariamente richiamata nel provvedimento concessorio.
Diverse sono le interpretazioni giuridiche della carta dei servizi, a volte assimilata alle condizioni generali di contratto ex art. 1341 c.c., altre alle clausole speciali ex art. 1339 c.c. o infine alle promesse al pubblico ex art. 1989 c.c.176.
La prima previsione appare non del tutto appropriata per almeno due motivi: da un lato l'art. 1341 c.c. si pone a salvaguardia del contraente debole mentre le carte dei servizi si pongono a tutela dell'utente ma non vincolano l'erogazione del servizio, inoltre l'efficacia delle condizioni generali è condizionata alla loro effettiva conoscenza tramite sottoscrizione di contratto da parte del contraente ma questo non avviene per la carta dei servizi.
176 A. CICCHETTI, Le carte dei servizi: possibili strumenti di partecipazione e di misurazione della performance in ambito
sanitario, in AA.VV. Diritto amministrativo e società civile, Volume II – Garanzie dei diritti e qualità dei servizi, Bologna, Bononia University Press, 2019;
M. CALABRÒ, La carta dei servizi, rapporto di utenza e qualità della vita, in Diritto Amministrativo, n. 1-2/2014, pagg. 373-421;
G. CAIA, Funzione pubblica e servizio pubblico. La disciplina dei servizi pubblici. L’organizzazione dei servizi pubblici, in L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA, Diritto Amministrativo, Bologna, Monduzzi, 1998;
F. PUGLIESE, Le carte dei servizi. L’autorità di regolazione dei servizi pubblici essenziali. I controlli interni, in Riv. Trim.
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Per quanto concerne invece l'assimilabilità all'art. 1339 c.c. questa può apparire pertinente in relazione ai contenuti obbligatori della carta e dunque ai servizi necessariamente erogati per disposizione normativa, si pensi alle prestazioni con compongono i LEA, mentre non può trovare applicazione per gli standard specifici dichiarati dalle Aziende e frutto di autonomo potere amministrativo ed organizzativo; a titolo esemplificativo si pensi all'impegno assunto dall'Azienda Usl di Ferrara di garantire ai propri degenti un regime dietetico che tenga conto delle esigenze manifestate dagli utenti in relazione alla loro convinzione religiosa.
È però l'art. 1989 c.c. che pare essere più aderente alla natura ed agli scopi della carta dei servizi. In questa visione gli standard specifici o accessori divengono un vero autolimite per l'Azienda e generano specifici diritti in capo all'utente.
Parte dell'incertezza interpretativa della natura giuridica della carta dei servizi nasce ben a monte; non è trascurabile infatti, anche per questa analisi, la difficile configurazione, circa la qualificazione della posizione soggettiva dell'utente del Servizio Sanitario Nazionale.
La nostra Costituzione identifica espressamente, agli articoli 103 e 113, due diverse posizioni del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione: quella di diritto soggettivo e quella di interesse legittimo, posizioni che spesso si intrecciano, confondendo ancora di più i contorni nel rapporto tra cittadino e Servizio Sanitario.
La qualificazione della posizione giuridica del cittadino nei confronti della propria salute è contenuta chiaramente nell'art. 32, comma 1, Cost. Se all'epoca della stesura della Carta si trattava prevalentemente di una norma di natura programmatica, questa riceve una profonda rilettura con
l'adozione della l. n. 833/1978177 che riporta quasi integralmente il testo dell'art. 32 nell'art. 1 e
inserisce la norma costituzionale in un complesso normativo che la trasforma in diritto vigente. Nella prima fase di attuazione della legge appare preponderante il rilievo della centralità del diritto alla salute in capo alla persona come ben sottolineato da una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte
di Cassazione178 nella quale la Corte affermò che “il bene della salute è uno, anzi il primo, dei diritti
fondamentali anche nei confronti dell'autorità pubblica, cui è negato in tal modo il potere di disporre di essa”179. L'affermazione ha subito negli anni successivi una riduzione applicativa in relazione
soprattutto alle esigenze di carattere economico-finanziario180.
177 Legge 23 dicembre 1978 n. 833 “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale”, GU n. 360 del 28-12-1978 – Suppl.
Ordinario.
178 Cassazione civile, Sez. Un., 6 ottobre 1979, n. 5172.
179 C.E. GALLO, Gli utenti del Servizio Sanitario e le loro situazioni soggettive, in Riordinamento del servizio sanitario
nazionale, a cura di F. Roversi Monaco, Bologna, Maggioli Editore, 1990, pag. 159.
180 C.E GALLO, op. cit., in Riordinamento del Servizio Sanitario Nazionale, Bologna, Maggioli Editore, 1990, pag. 161 e seguenti.
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La stessa Corte di Cassazione ha considerato il diritto alla salute quale diritto soggettivo allorquando si tratta di pretendere semplici prestazioni facilmente individuabili e semplice interesse legittimo nei casi in cui si richieda l'erogazione di una prestazione che comporta l'utilizzazione di una struttura
amministrativa che ha potestà discrezionale181. La Corte Costituzionale con sentenza del 26
settembre 1990, n. 455 ha individuato due situazioni giuridiche differenti in relazione al fatto che l'articolo 32 della Costituzione tuteli il diritto alla salute da aggressioni esterne o garantisca al cittadino il diritto a prestazioni. Mentre nel primo caso il diritto alla salute è un diritto tutelabile erga
omnes, nel secondo caso il diritto alla salute è soggetto “alla determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione della relativa tutela da parte del legislatore ordinario”. In questo caso
il diritto a prestazioni positive è tale ma è “condizionato dall'attuazione che il legislatore ordinario
ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alla risorse organizzative e finanziarie di cui dispone”182.
Tuttavia, con sentenza della Corte Costituzionale n. 309 del 1999, si afferma che le esigenze di finanza pubblica non possono assumere un “peso talmente preponderante da comprimere il nucleo
irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana”183.
Fino alla fine degli anni '90 la definizione di una posizione giuridica dell'utente appariva decisiva anche in termini di tutela sostanziale, poiché, mentre la lesione del diritto soggettivo era risarcibile, diversa era la posizione dell'interesse legittimo per il quale, per lungo tempo, non è stato previsto il risarcimento in caso di lesione. È per questo motivo che la qualificazione della posizione soggettiva dell'utente appariva estremamente rilevante.
La sentenza n. 500 del 1999 della Corte di Cassazione Sezioni Unite184 ha rivisto la posizione
storicamente assunta dall’orientamento giurisprudenziale e da precedenti pronunce della stessa
Corte185. I Giudici della Cassazione sancirono, infatti, la risarcibilità dell’interesse legittimo
attraverso una nuova interpretazione dell’art. 2043 del c.c.
La risarcibilità dell’interesse legittimo fino ad allora avveniva esclusivamente attraverso la tecnica dell’affievolimento del diritto soggettivo e successiva riespansione. La nuova lettura dell’art. 2043
181 C.E. GALLO, Gli utenti del Servizio Sanitario e le loro situazioni soggettive, in Riordinamento del servizio sanitario nazionale, a cura di F. Roversi Monaco, Bologna, Maggioli Editore, 1990, pag. 159.
182 Corte Costituzionale, 16 settembre 1990, n. 455, in C.E. GALLO, op. cit.
183 Corte Costituzionale, 16 luglio 1999, n. 309 in GU 21-7-1999, n. 29, I serie speciale.
184 Corte di Cassazione, Sez. Un., sent. n. 500 del 1999.
185 A. CORUBOLO, La risarcibilità degli interessi legittimi: evoluzione e brevi spunti critici anche alla luce di Cass. Sez. I n. 157 del 10 gennaio 2003, in Diritto&Diritti, Rivista giuridica elettronica, 2003.
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c.c., secondo i Giudici della Corte, “ha la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto,
intendendosi come tale il danno arrecato non iure, il danno, cioè, inferto in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo (omissis). Ne consegue che anche la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può essere fonte di responsabilità aquiliana, e, quindi, dar luogo al risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per effetto dell’attività illegittima della Pubblica Amministrazione, l’interesse al bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo”186. Resta ferma la necessità di individuare il
nesso di causalità fra il comportamento ritenuto illegittimo dell’amministrazione ed il danno ingiusto, così come la sussistenza di un’azione colpevole da parte della stessa amministrazione. La sentenza rileva, infine, una diversificazione fra interessi legittimi oppositivi e pretensivi; mentre i primi appaiono sempre risarcibili, i secondi sarebbero risarcibili solo qualora il giudice competente ravvisi la verosimiglianza dell’esito favorevole alle aspettative dell’interessato.
Negli stessi anni e per effetto di quel processo di generale trasformazione che la Pubblica Amministrazione stava vivendo si è affermata l'esigenza che la tutela del cittadino alla pretesa di una prestazione da parte dell'amministrazione pubblica sia affidata anche a momenti di partecipazione. L'art. 9 della l. n. 241/1990 prevede a tal proposito che “qualunque soggetto portatore di interesse
pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento”. Anche
nel d.lgs. n. 502 del 1992 si ritrovano diversi articoli dedicati alla tutela dei diritti dei cittadini e alla loro partecipazione. Queste norme, la prima di carattere generale, la seconda di settore, trovano certamente applicazione nel settore sanitario ed in particolare nella carta dei servizi.
Come abbiamo avuto modo di esaminare diversi sono i contributi sulla qualificazione del diritto alla salute. La problematica attiene principalmente alla qualificazione di tale posizione come diritto soggettivo o come interesse legittimo con le implicazioni che tale distinzione comporta anche in termini di modalità e intensità della tutela.
La natura del diritto alla salute e la sua qualificazione giuridica tocca quindi solo in parte la carta dei servizi che si inserisce chiaramente in un momento successivo e diverso rispetto alla primaria tutela del diritto. A mio avviso non è attraverso questo strumento che il cittadino può trovare piena realizzazione al proprio diritto alla salute. La carta consente ai fruitori del servizio di partecipare, conoscere e richiedere alle Aziende Sanitarie l'effettivo rispetto degli impegni assunti, direttamente o
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tramite le associazioni di tutela, ma è evidente che la stesura del documento si posiziona a valle di un processo decisionale e discrezionale delle Aziende. Processo a cui sono chiamati a partecipare anche gli utenti attraverso le diverse forme di partecipazione previste dal nostro ordinamento e che fungono da base e spinta propulsiva alla realizzazione di una efficace carta dei servizi.
La carta rappresenta, dunque, un patto tra Azienda e cittadino-utente attraverso la cui adozione l'ente si impegna ad erogare quanto enunciato ed il cittadino ha, d'altro canto, il diritto di esigere quanto promesso.
L'introduzione della carta dei servizi nasce con il preciso scopo di rivedere il rapporto tra cittadino e amministrazione soprattutto nel settore dei servizi pubblici, settore in cui le inefficienze dell'amministrazione possono arrecare maggior lesione agli interessi dei cittadini e nel quale i cittadini stessi potevano contare su minori e meno efficaci strumenti di tutela.
È la citata Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri a stabilire come i cittadini debbano essere tutelati nel caso in cui non venissero mantenuti gli impegni di qualità assunti dalle Aziende attraverso la carta dei servizi. Meccanismi di tutela possono essere azionati attraverso le strutture
deputate tra cui gli uffici relazione con il pubblico URP187, la commissione mista conciliativa, il
difensore civico. Oltre alla presentazione di reclami, segnalazioni di disservizi o suggerimenti che possono essere avanzati agli URP, viene in aiuto al cittadino-utente anche il nuovo istituto della class
action pubblica188.
Il d.lgs. n. 198/2009189 ha per la prima volta disciplinato in Italia l’istituto della class action pubblica
che si distingue profondamente dalla quella prevista dall’art. 140 bis del codice del consumo190 per il
fatto che esclude la tutela risarcitoria che rappresenta, al contrario, il primo obiettivo della class action consumeristica.
La class action pubblica appare peculiare anche per quanto attiene la legittimazione, sia attiva che passiva, l’oggetto del giudizio, le condizioni di procedibilità e il tipo di pronuncia che può essere
adottata dal giudice191.
187 Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche”, GU n. 106 del 9-5-2001 – Suppl. Ordinario n. 112, art. 11.
188 F. LOGOLUSO, Tutela del consumatore e azioni collettive di classe: aggiornato al nuovo art. 140 bis del codice del consumo, al d.lgs 4 marzo 2010, n. 28, sulla mediazione civile ed al d. lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, sulla class action pubblica, Roma, Dike, 2010;
A. FABRI, Le azioni collettive nei confronti della pubblica amministrazione nella sistematica delle azioni non individuali, Roma-Napoli, Edizioni Scientifiche, 2011;
C. DEODATO, L’azione collettiva contro la P.A.: per l’efficienza dell’Amministrazione: commento organico al decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, Roma, Nel Diritto, 2010.
189 Decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198 Attuazione dell'articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di
ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, G.U. n. 303 del 31-12-2009.
190 Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003,
n. 229, G.U. n. 235 del 8-10-2005 - Suppl. Ordinario n. 162.
191 M.L. MADDALENA e M. SANTISE, in Rassegna Monotematica di Giurisprudenza, Consiglio di Stato, Ufficio Studi,
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L’art. 1 del d.lgs. 198/2009 prevede espressamente che “Al fine di ripristinare il corretto svolgimento
della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150”.
Vi è dunque l’espressa previsione che si possa agire nei confronti della Pubblica Amministrazione qualora si ravvisi la violazione degli obblighi contenuti nella carta dei servizi.
La norma individua quali soggetti passivi le amministrazioni pubbliche e i concessionari di servizi pubblici mentre sono espressamente escluse le autorità amministrative indipendenti, gli organi giurisdizionali, le assemblee legislative e gli altri organi costituzionali oltre che la Presidenza del Consiglio di Ministri; tassative sono anche le ipotesi in cui è possibile il ricorso alla class action. In sede di pronunciamento del giudizio con sussistenza della lesione il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione delle parti intimate come previsto dall’art. 1, comma 1 bis, del d.lgs 198/2009. Tale dispositivo consente all’amministrazione di evitare la condanna quando la disfunzione o il disservizio siano dovute a carenze strutturali. Il giudice dovrà pertanto verificare se la pretesa del ricorrente richieda un impiego di risorse sproporzionato o obiettivamente non esigibile rispetto alla finalità che si intende perseguire.
Della delimitazione dell’oggetto della class action si è da subito occupata la giurisprudenza
amministrativa con una sentenza del TAR Lazio n. 552, 20 gennaio 2011192, poi confermata dal
Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2011, n. 3512, in cui si afferma che “la mancata adozione delle carte di servizi e degli standard di qualità non impedisce l’immediata applicabilità della norma per la mancata adozione di piani o atti generali non normativi, entro il termine prefissato. Viceversa l’azione collettiva pubblica non può essere ritenuta ammissibile in relazione alla mancata adozione di atti di
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natura normativa, stante l’espressa previsione ostativa in tal senso. La lesione dell’interesse sopraindividuale deve essere vagliata in primo luogo alla luce delle risorse economiche, strumentali e umane concretamente a disposizione della amministrazione e che questo limite non vale di fronte all’obbligo, sancito dalla legge, di procedere all’adozione di atti di pianificazione in quanto il legislatore deve aver valutato al momento in cui ha posto questo obbligo la questione della sussistenza
delle risorse”193.
L’ammissibilità dell’azione passa dunque attraverso la verifica della sussistenza di uno dei seguenti comportamenti tipizzati:
a) la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento
che esclude gli atti a contenuto normativo 194;
b) la violazione generalizzata di termini procedimentali195;
c) la violazione degli obblighi puntualmente definiti da norme di legge o di regolamento, anche a
prescindere dall’adozione dei d.PCM. di cui all’art. 7 del d.lgs. 198/2009196.
Per quanto attiene specificatamente l’argomento di questa trattazione è utile vedere i diversi orientamenti giurisprudenziali.
In un primo tempo veniva ritenuto inammissibile il ricorso alla class action pubblica in mancanza della preventiva emanazione dei decreti attuativi di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 198/2009 anche con riferimento a carte dei servizi già adottate e a standard di performance già definiti.
“È stato osservato da giurisprudenza che il Collegio richiama e condivide (TAR Lazio, Roma, sez. III, 20 gennaio 2011, n. 552) che valorizzando il dato meramente testuale sembrerebbe che l'applicazione dell'intera fonte normativa sia, dallo stesso legislatore, subordinata ad un'ulteriore previsione regolamentare che, seguendo il passo della concreta attività di istruttoria, verifica, valutazione e definizione degli standard qualitativi, determini, se del caso in via progressiva, ossia per parti o blocchi, i tempi della "concreta applicazione" del disposto normativo primario.
La norma è contenuta in una disposizione finale espressamente qualificata "transitoria" ed ha ad oggetto, non già il vigore e l'efficacia delle norme che la precedono, ma la loro "concreta applicazione".
Tale ultima locuzione descrive il processo di implementazione necessario – fatto di parametri, elementi organizzativi, sostenibilità degli impegni, valutazioni di spesa – perché l'astratta
193 Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 giugno 2001, n. 3512 in Rassegna Monotematica di Giurisprudenza, cit.
194 Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 giugno 2011, n. 3512. 195 Tar Lazio, II quater, 6 settembre 2013, n. 88154.
196 TAR Basilicata, Sez. I, n. 478 del 21 settembre 2011; TAR Lazio, Sez. III ter, Sent., 16 settembre 2013, n. 8288; TAR.
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applicabilità delle norme, connotato generale e caratteristico della fonte normativa, sia resa concreta ed effettiva nell'interesse sia dell'amministrazione sia dei soggetti amministrati.
La formula utilizzata dal legislatore descrive cioè una norma incompleta che, avendo individuato in via generale e astratta posizioni giuridiche di nuovo conio, oltre che strumenti azionabili per la relativa tutela, ma non i parametri specifici della condotta lesiva, necessita di una ulteriore previsione normativa, agganciata alla peculiarità e concretezza dell'assetto organizzativo dell'agente ed ai limiti della condotta diligente dal medesimo esigibili, ferme restando le risorse assegnate. L'indiscusso vigore della norma primaria opera, dunque, in questa prima fase, su un piano, propedeutico a quello della concreta operatività, nel quale gli effetti obbligatori sorgono esclusivamente in capo all'Esecutivo ed attengono a tutta l'attività – preliminarmente conoscitiva e successivamente normativa – finalizzata a sostanziare il modello di comportamento diligente esigibile nell'interesse degli amministrati (cd. standard qualitativo)”197. Le prime pronunce
propendevano dunque per una norma generale che senza i decreti attuativi correlati non potesse essere pienamente operativa per la mancanza di specifiche sia a tutela dell'amministrazione che degli amministrati.
Di orientamento diverso appaiono le pronunce del TAR Lazio, Roma, Sez. III ter, 17 febbraio 2014, n. 1872, TAR Lazio, Roma, Sez. III ter, 16 settembre 2013, n. 8288, TAR Toscana, Sez. I, 30 maggio 2012, n. 1045 che hanno ritenuto ammissibile la class action pur in mancanza dei d.P.C.M. attuativi