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4. Responsabilità Sociale d’Impresa: primi passi verso una normativa

4.3. Collegamento tra Reati Ambientali e Strumenti di Responsabilità

4.5.1. Principio di sussidiarietà

La possibilità che vi sia un intervento volontario da parte delle imprese non solleva l’autorità pubblica dal dovere di assumere adeguate politiche di sviluppo e di occupazione, nonché di creare le condizioni economiche, ambientali e sociali per una crescita ed un’imprenditorialità sostenibili. Il rapporto tra i due ambiti di azione non si articola su un piano di alternatività: sono le stesse politiche pubbliche e le cornici normative a predisporre un adeguato contesto per lo sviluppo delle imprese e delle loro iniziative volontarie.

Spetta però all’Unione Europea, allo Stato membro, alle Regioni ovvero agli Enti locali scegliere, sulla base delle proprie competenze, quale margine di intervento lasciare alla Responsabilità Sociale d’Impresa e stabilire dove posizionare il confine tra l’obbligo e il comportamento volontario, tra lo strumento vincolante e la moral suasion. Considerato

che gli strumenti di applicazione di tale responsabilità si qualificano sulla base della loro non vincolatività, la transizione nell’area dell’hard law ne determina inevitabilmente un cambiamento di natura. Spetta, quindi, all’ente pubblico stabilire su quale binario indirizzare i propri obiettivi di politica socio-ambientale, se cioè affidarsi alle tecniche normative tradizionali oppure lasciare che l’innalzamento dello standard di tutela sia il risultato di un processo di sviluppo spontaneo, garantito dalla logica della concorrenza.

Non si dimentichi, tuttavia, come il rapporto tra responsabilità sociale e responsabilità giuridica si articoli sempre su un piano di complementarietà e che quindi uno stesso panorama di interessi possa essere tutelato, contemporaneamente, sia da norme di legge, sia da norme autoregolamentari giuridicamente vincolanti, sia, infine, da norme autoregolamentari non giuridicamente vincolanti.

Se, inoltre, come stabilito nel nostro ordinamento dall’art. 118 Cost., gli enti pubblici territoriali devono favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale, il principio di sussidiarietà potrebbe essere individuato come la fonte delle politiche pubbliche promozionali da parte delle Regioni o dello Stato. Nella Comunicazione della Commissione del 2/7/2002, in cui sono raccolte e sistematizzate le proposte avanzate dai vari soggetti pubblici e privati sul Libro Verde, si attribuisce all’Unione europea il compito di «facilitare la convergenza degli strumenti utilizzati, per assicurare il corretto funzionamento del mercato interno e vigilare affinché siano garantite condizioni eque». Nella Comunicazione, poi, l’intervento dei poteri pubblici viene limitato, in generale, a politiche che promuovono la trasparenza e quindi la credibilità delle pratiche socialmente responsabili, con un richiamo al principio di sussidiarietà quale criterio ordinatore nel riparto delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri248. Si ricordi, a riguardo, come tale principio, sancito dall’art. 5

248 L’azione comunitaria nel campo della responsabilità sociale deve basarsi sui

principi fondamentali fissati nel quadro di accordi internazionali e deve uniformarsi interamente al principio della sussidiarietà (COM 2/7/2002).

TCE, si coordina con il principio di attribuzione nel definire le competenze della Comunità nei settori che non sono di sua esclusiva competenza nonché le modalità per il loro esercizio. Ripercuotendosi, poi, a cascata, all’interno del nostro ordinamento, il principio di sussidiarietà regola il riparto flessibile delle competenze tra i diversi enti pubblici territoriali, trovando riconoscimento, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, nell’art. 118 Cost. nella sua duplice articolazione, verticale e orizzontale.

Prima di analizzare le iniziative politiche che sono state realizzate in Italia, procediamo con una rassegna di quelli che possono essere gli strumenti promozionali a disposizione degli enti locali, coerenti con le indicazioni presenti nel Libro Verde e soprattutto nella Comunicazione della Commissione.

A partire dalla fine degli anni ’90 quasi ogni Stato membro ha promosso campagne di sensibilizzazione, finalizzate ad aumentare la consapevolezza e la conoscenza della collettività sul tema. L’intervento di promozione si è spesso consolidato nell’istituzione di fondazioni e centri di ricerca, nel coinvolgimento delle università, ovvero nella creazione di veri e propri organi deputati al sostegno della RSI all’interno delle strutture di governo249. A partire dagli anni 2000, la

diffusione di queste iniziative si è progressivamente intensificata, fino a giungere ad una situazione in cui i comportamenti socialmente responsabili si sono sviluppati spontaneamente all’interno delle imprese. Il governo ha quindi raccolto, analizzato e confrontato le “buone pratiche”, partendo da un’analisi dell’esperienza diretta degli operatori economici per poi trarne delle Linee guida che attualmente fungono da modello per le imprese che si approcciano a questa tematica e favoriscono la standardizzazione, e quindi la comparabilità,

249 Per esempio, il Federal Council for Sustainable Development in Belgio, il Green Cabinet in Germania, il Minister con delega alla Csr nel Regno Unito, la Technical Advisors Committee of Experts on Csr istituita all’interno del Ministero dell’occupazione e degli affari sociali in Spagna, il Global Ansvar Secretariat in Svezia.

Così in: PERUZZI M., Il ruolo degli enti territoriali nella promozione della

degli strumenti. È quella che viene definita la fase di benchmarking: l’ente pubblico segna il grado di sviluppo della RSI raggiunto nelle imprese e individua uno standard di riferimento, il quale si imposta, tuttavia, necessariamente su un piano di soft law.

Allo stesso tempo, l’intervento del potere pubblico, anziché limitarsi ad una promozione dell’iniziativa del privato e ad una tutela della sua trasparenza, può sostenere direttamente comportamenti socialmente responsabili attraverso un supporto finanziario, incentivi fiscali nonché premi di riconoscimento allo scopo di supplire all’assenza della norma giuridica. La legittimità di queste iniziative finanziarie e fiscali, tuttavia, non può che determinarsi sulla base delle politiche comunitarie che disciplinano gli aiuti di stato e che dispensano dall’obbligo di notifica i cd. «aiuti de minimis», ossia gli aiuti economici concessi da uno Stato a un’impresa, il cui ammontare è da considerare di importanza minore e pertanto compatibile con le regole della libera concorrenza250.

Anticipando, in parte, quella che sarà la nostra analisi delle politiche italiane e del riparto di competenze tra gli enti pubblici territoriali nell’ordinamento interno, è importante richiamare, a proposito della «tutela della concorrenza» e degli aiuti di stato, quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 14 del 2004251. Se, pertanto, la

250 Si veda, sul punto, il Regolamento (Ce) 69/2001 della Commissione, del 12

gennaio 2001, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato Ce agli aiuti di importanza minore («de minimis»).

251 Nella fattispecie, le Regioni Marche, Toscana, Campania, Emilia-Romagna

e Umbria ricorrevano contro alcune disposizioni della legge finanziaria 2002 (legge 28 dicembre 2001, n. 448) che disponevano misure di sostegno a favore di taluni settori produttivi, invadendo la competenza legislativa regionale residuale (industria e formazione professionale) ovvero concorrente (sostegno all’innovazione dei settori produttivi), in contrasto con gli art. 118 e 119 Cost. La questione fondamentale affrontata dalla Corte stava proprio nel capire se lo stato possa disporre di strumenti di intervento diretto sul mercato o debba «limitarsi ad erogare fondi o disporre interventi speciali» in favore degli enti territoriali essendo questi ultimi «gli effettivi titolari di una delle leve più importanti della politica economica». A tal proposito, la Corte ha sottolineato che, nella prospettiva delle norme comunitarie (art. 2; artt. 85-87 Tce), i principi del mercato e della concorrenza «non sono svincolati da un’idea di sviluppo economico-sociale e sarebbe errato affermare che siano estranei alle istituzioni pubbliche compiti di intervento sul mercato. Se è vero che sono incompatibili

dimensione «statica» della «tutela della concorrenza» si realizza nella garanzia e salvaguardia dei principi antitrust, la sua dimensione «dinamica» autorizza «misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali». Ben potrà, quindi, lo Stato disporre interventi in economia qualora la dimensione degli interessi coinvolti presenti una rilevanza macroeconomia e attenga allo sviluppo dell’intero Paese. Spetterà, invece, alle Regioni, in forza della loro potestà legislativa concorrente o residuale, intervenire sulle realtà produttive regionali, in modo tale, comunque, da non creare ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni e da non limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.

Vediamo adesso quali sono le proposte che si sono sviluppate nel contesto italiano.

A riguardo, di fronte a una prolificazione e sovrapposizione di iniziative, pubbliche e private, finalizzate a una raccolta e ad una standardizzazione delle prassi, la difficoltà maggiore è quella di disegnare un corretto sistema di fonti e di competenze: da un lato, infatti, i documenti comunitari di riferimento presentano una valenza meramente politica, dall’altro è la stessa natura di molti strumenti promozionali, come le Linee guida, a collocarsi su un terreno di incerta definizione. Nelle amministrazioni pubbliche italiane, infatti, la produzione normativa “morbida” non avviene sulla base di una delega legislativa circostanziata, poiché non appartiene al rango delle norme secondarie. La sua natura, omogenea a quella delle norme e delle sanzioni proprie della responsabilità sociale, secondo parte della

con il mercato comune gli aiuti pubblici, sotto qualsiasi forma concessi, che falsino o minaccino di falsare la concorrenza, è altrettanto vero che le deroghe ai divieti di aiuti, regolate in principio dall’art. 87, paragrafi 2 e 3, del Trattato Ce, sono a loro volta funzionali alla promozione di un mercato competitivo. Esse sono guardate con favore ed anzi propiziate dalla stessa Comunità quando appaiono orientate ad assecondare lo sviluppo economico e a promuovere la coesione sociale».

dottrina sarebbe da ricondurre al rango delle cd. “norme terziarie”, ossia dichiarazioni dall’intento normativo e quindi volte a influenzare la condotta dei destinatari, dotate di effetti giuridici indiretti ed eventuali, che proprio perché prive di un mandato legislativo sfuggono a un agevole giudizio di appropriatezza, con tutti gli svantaggi che questo comporta in termini di incertezza del diritto e di scarsa accountability del soggetto emanante verso i poteri legislativo e giudiziario, verso le altre amministrazioni e la società civile252.

Di fronte ad una sovrapposizione di regolamentazione soft di diversa origine territoriale e istituzionale (pubblica e privata), l’unico criterio di preferenza che sembra avere la duttilità adeguata a questo tipo di fenomeno è quello della sussidiarietà. È forse questa, infatti, la lente che ci permette oggi di muoverci in un sistema di governance multilivello, in cui le competenze territoriali si integrano e si sovrappongono, in cui le fonti si moltiplicano e si differenziano in norme hard e soft, oltre che in atti legislativi, regolamentari e amministrativi, e in cui i confini tra pubblico e privato sono sempre più tratteggiati253.

Dopo la riforma del Titolo V, con Legge Costituzionale n°3 del 2001, e a seguito della sentenza n. 303/03 della Corte Cost., la distribuzione delle competenze amministrative diventa mobile, centrata sugli interessi, proiettata in un “moto ascendente” che parte dai Comuni, a cui è attribuita competenza generale, sino allo Stato, nella ricerca di un continuo equilibrio tra le esigenze legate all’autonomia, all’efficienza, all’adeguatezza ed alla garanzia di un uniforme godimento dei diritti fondamentali. Tuttavia, non è sempre agevole individuare una precisa competenza a cui ricondurre le iniziative promozionali a favore della RSI: occorre dunque trovare un criterio di coordinamento tra iniziativa

252 LA SPINA A., MAJONE G., Lo Stato Regolatore, il Mulino, Bologna, 2000, p.

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253 CARUSO F., La MIB 50000. Un percorso conoscitivo sulla natura interiore dei mercati, in www.libreriauniversitaria.it, 2004, PERUZZI M., Il ruolo degli enti territoriali nella promozione della responsabilità sociale delle imprese, Lavoro e

statale e regionale, criterio che potrebbe essere quello della sussidiarietà orizzontale.