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Analizzati tutti questi aspetti, in ambito sia di responsabilità sociale che ambientale d’impresa, si rende sempre più evidente una necessità di una disciplina normativa in merito.

Alla luce della recente disciplina del 2016, ora analizzata, emerge, tuttavia, l’esistenza di un conflitto tra il Legislatore Italiano disponibile ad accogliere questa istanza e le imprese, maggiormente intenzionate ad opporsi ad una regolamentazione normativa. Ecco che si incoraggiano, da parte delle imprese, meccanismi di Soft Law, e non di Hard Law, per cui queste possono volontariamente scegliere se adottare questo tipo di approccio responsabile o meno. Allo stesso tempo è possibile rilevare un, seppur minimo, cambio di marcia in tema: è iniziato infatti una sorta di percorso verso la normazione di alcuni aspetti della RSI, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti. In secondo luogo, occorre porre mente ai benefici che potrebbero sicuramente derivare da questo tipo di approccio sia alla società che all’ambiente, ma anche alle stesse imprese: le informazioni di carattere ambientale, sociale o di governance ne sono un esempio, in quanto gli investitori sono maggiormente indotti a rivolgersi ad un’azienda che essi sono in grado di valutare come impresa in grado di creare valore nel lungo termine272. L’integrazione sistematica dell’analisi finanziaria

con quella riguardante le misure di responsabilità sociale e ambientale di impresa e quindi la redazione di un Bilancio di Sostenibilità, poi, nella valutazione degli emittenti consente una miglior analisi dei rischi e delle opportunità di investimento, anche nel quadro delle sfide socio- ambientali emergenti. Questo aspetto è importante soprattutto per gli investitori istituzionali, come fondi pensione, banche, assicurazioni e fondazioni, nel quadro dei doveri fiduciari verso beneficiari e aderenti:

per le imprese e rischi di green washing, L’economia verde della Toscana: il sostegno alla qualificazione ambientale delle imprese, cit., PERUZZI M., Il ruolo degli enti territoriali nella promozione della responsabilità sociale delle imprese, cit.

272 SILVA E., Responsabilità Sociale d’Impresa alla Ribalta, Il Sole 24Ore online, 27

per questa tipologia di investitori, orientati per mandato verso investimenti poco rischiosi con orizzonte di medio o lungo periodo, la valutazione socio-ambientale rappresenta uno strumento di gestione del rischio, sia economico-finanziario, sia reputazionale273.

Con l’imposizione della Responsabilità Sociale, in definitiva, probabilmente tutti gli attori coinvolti ne trarrebbero un beneficio, e forse soprattutto le imprese che nel lungo periodo potrebbero ottenere un maggior guadagno, dovuto a una miglior reputazione e alla conquista di una fetta di mercato maggiore, nonché attirare risorse umane più qualificate.

Un ambito in cui risulterebbe interessante l’esistenza di una normativa specifica è sicuramente rappresentato dai sistemi di gestione ambientale, che includano al loro interno una valutazione sugli effetti la produzione dell’impresa ha sull’ambiente, la salute e la sicurezza, l’obbligo di predisporre dei piani di emergenza per prevenire, mitigare, contenere i gravi danni all’ambiente e alla salute della società e la possibilità di allestire dei meccanismi di allarme collegati direttamente alle autorità competenti. Sarebbe inoltre opportuna un’adeguata normazione quanto alla formazione dei lavoratori in materia di sicurezza ambientale e di prevenzione degli incidenti ambientali, o ancora, infine, norme che regolino un adeguato meccanismo di incentivi per le imprese che adottino strategie per la riduzione di emissioni, per l’uso efficiente di risorse e per un efficiente riciclaggio delle stesse.

Un passo verso la normativa è stato fatto dall’Italia, come abbiamo detto, con il decreto legislativo 254/2016, che prevede la rendicontazione socio-ambientale obbligatoria per alcuni tipi di imprese. Tale esperienza richiama direttamente quella francese. Con la legge sulle Economic Regulations del 2001 (2001-240, Art. 116), infatti, la Francia è diventato il primo paese a richiedere, per una serie di imprese

273 ORSI R., La Direttiva Ue sulla responsabilità sociale: un'opportunità che l'Italia non può perdere, in La Stampa, 27 luglio 2015.

espressamente indicate, il bilancio della triple bottom line, imponendo l’obbligo di fornire determinate informazioni e di rispettare un set di indicatori sociali e ambientali, qualitativi e quantitativi274. L’esperienza

francese, che ha evidentemente sollevato un acceso dibattito sulla possibilità di intervenire con regolazione hard su un’attività di RSI, volontaria per definizione, non trova soluzioni parallele in altri Stati, dove si è scelto di tracciare delle linee guida, ma non si è previsto l’obbligo della rendicontazione (per esempio Austria, Danimarca, Paesi Bassi). Fanno in parte eccezione il Portogallo, che richiede (l. n. 141/85 e decreto legge n. 9/92) alle imprese con più di 100 dipendenti un rapporto annuo sul bilancio sociale (ossia sull’organizzazione delle risorse umane e sulla qualità di vita dei dipendenti) e la Danimarca, la Svezia e i Paesi Bassi che prevedono per le attività più inquinanti una rendicontazione ambientale obbligatoria. Una posizione intermedia è assunta dal Regno Unito, che dopo aver emanato nel 2002 un Libro Bianco sulla modernizzazione della company law, prevede ora un operating and financial review, da affiancare ai report e agli account tradizionali, in cui le imprese indicate sono tenute a presentare, ogni anno, una verifica dei propri rapporti con i dipendenti, i clienti e i fornitori, nonché l’impatto sulla comunità più ampiamente intesa e l’ambiente.

L’Italia è stata una delle prime Nazioni europee a rendere obbligatorio il Bilancio Sociale e ad intervenire normativamente in materia di Responsabilità Sociale, segno, quindi, che essa è ancora in grado di essere all’avanguardia laddove si parli di Ambiente.

274 PERUZZI M., Il ruolo degli enti territoriali nella promozione della responsabilità sociale delle imprese, Lavoro e diritto, Fascicolo 1, inverno 2006

CAPITOLO TERZO L’IMPRESA AGRARIA

SOMMARIO: 1. L’IMPRESA AGRARIA - 2. I RISCHI CONNESSI ALL’IMPRESA AGRARIA - 2.1. Rischi riguardanti i Prodotti. - 2.2. Rischi riguardanti la Sicurezza dei Lavoratori. - 2.3. L’Impatto Ambientale delle attività dell’impresa Agraria. - 3. SOLUZIONI NORMATIVE AI RISCHI CONNESSI ALLE ATTIVITA’ DELLE IMPRESE AGRARIE - 3.1 Sicurezza alimentare. - 3.2. Tutela del lavoratore agricolo. - 3.3. Misure agro-ambientali in tema di impatto ambientale dell’impresa agraria. - 3.3.1. Il fallimento della PAC e prospettive future. - 3.3.2. Relazione tra beni pubblici e Agricoltura. - 4. RESPONSABILITA’ SOCIALE DELL’IMPRESA AGRARIA - 4.1. L’Impresa agraria Multifunzionale. - 4.2. La responsabilità sociale d’impresa come occasione e obiettivo delle politiche comunitarie. - 4.2.1. Responsabilità sociale dell’impresa agraria nell’ottica delle risorse umane. - 4.2.2. Strumenti di responsabilità sociale per il miglioramento del lavoro. - 4.2.3. Il Prodotto dell’Impresa Agraria e la Responsabilità Sociale. - 4.2.3.1. Strumenti di Responsabilità Sociale per un consumo socialmente responsabile. - 4.3. Responsabilità Ambientale: possibile soluzione all’impatto ambientale prodotto dall’impresa agraria. - 4.3.1. Forme di Responsabilità Ambientale dell’Impresa Agraria. - 4.3.2. Strumenti di Responsabilità Ambientale utilizzabili dall’Impresa Agraria.

1. L’Impresa Agraria

L’imprenditore agricolo è disciplinato dall’art. 2135 del Codice Civile, che considera tale colui che esercita un’attività organizzata diretta alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento di animali e attività connesse. L’articolo in oggetto specifica che: “Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.”

L’impresa agraria si occupa, dunque, della coltivazione del fondo con lo scopo di ottenere prodotti dalle piante, da utilizzare per fini alimentari e non (ma sono da considerare nella coltivazione del fondo anche altre finalità che non prevedano l'asportazione dei prodotti). Tradizionalmente nella cultura italiana l’agricoltura è popolarmente riferita allo sfruttamento delle risorse vegetali, mentre lo sfruttamento delle corrispondenti risorse di origine animale, l’allevamento, ne è quasi ritenuto antitetico. Tuttavia risulta ad oggi pienamente condivisibile la tesi elaborata da Carrozza nella sua “Teoria del ciclo biologico”, la quale afferma che l’agricoltura consiste “nello svolgimento di un ciclo biologico concernente l’allevamento di animali o di vegetali, che

appare legato direttamente o indirettamente allo sfruttamento delle forze e delle risorse naturali, e che si risolve economicamente nell’ottenimento di frutti (vegetali o animali) destinabili al consumo diretto, sia come tali, sia previa una o molteplici trasformazioni275”. Sulla scia di queste considerazioni anche

l’allevamento risulta pienamente rientrante nel concetto di “agricoltura”: ai sensi dell’art. 2135 c.c., infatti, l’allevamento, inteso come l'attività di custodire, far crescere ed opportunamente riprodurre animali in cattività, totale o parziale, per ricavarne cibo, pelli, pellicce, lavoro animale e commercio degli stessi, è considerato oggetto dell’impresa agraria.

L’Impresa Agraria si occupa anche della selvicoltura. Nelle scienze forestali la selvicoltura è la disciplina che studia l'impianto, la coltivazione e l'utilizzazione dei boschi. Selvicoltura in senso stretto significa tutto quell'insieme di interventi che vanno dai tagli di rinnovazione ai tagli intercalari i quali permettono la coltivazione del bosco garantendo la sua rinnovabilità; il prelievo legnoso che se ne ricava viene valutato in termini di sostenibilità, come sfruttamento ponderato di una risorsa che viene mantenuta rinnovabile; in questo si differenzia dalla cosiddetta "utilizzazione di rapina" che non considera questi fondamentali aspetti ecologici.

L’Impresa Agraria si occupa anche di alcune attività denominate “attività connesse”, per cui, prima del 2001, si intendevano quelle attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, laddove rientranti nell’esercizio normale dell’agricoltura, e tutte le altre attività accessorie esercitate in connessione con la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l'allevamento del bestiame276.

Dopo la modifica apportata con D.Lgs. 18 maggio 2001 n°228, il nuovo art. 2135 (terzo comma) amplia la categoria di attività agricole per

275 Si veda in merito: CARROZZA A., Lezioni di Diritto Agrario, Giuffrè, Milano,

1988, p. 10.

276 CAMPOBASSO G.F., a cura di CAMPOBASSO M., Manuale di diritto commerciale, settima edizione, UTET Giuridica, Torino, settembre 2017, pp.22-

26, GOLDONI M., Commento all’art 1 del D.Lgs n° 228/2001, Rivista di Diritto Agrario, fasc. 2-3, 2002, p. 214, ROMAGNOLI A., L’Impresa Agraria, cit.p.15

connessione, includendovi anche attività che hanno carattere commerciale oggettivo e che quindi dovrebbero essere attività commerciali ex art. 2195. Tali attività sono: le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da una attività agricola; le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale e l'agriturismo. Al fine di qualificare le attività come connesse è quindi necessaria la contemporanea presenza di due condizioni o requisiti: chi esercita attività connesse deve già essere imprenditore agricolo, ossia svolgere quelle attività agricole previste al primo comma dell'art. 2135, e l'attività connessa deve essere coerente con l'attività essenzialmente agricola277.

Una volta descritto il concetto di Impresa Agraria, si andrà a valutare in che modo la Responsabilità Sociale d’impresa va ad impattare su tali attività.

2. I rischi connessi all’Impresa Agraria