Riannodando i fili del discorso, da un lato i legislatori (comunitario e nazionali) sono certamente animati dall’encomiabile obiettivo di offrire ai consumatori parti deboli del rapporto contrattuale il beneficio di una maggiore trasparenza, l’intensificazione degli
strumenti di tutela e l’ampliamento della gamma di garanzie, grazie all’introduzione di disposizioni inderogabili e di elementi standardizzati, come i modelli rispettivamente per l’informativa e per l’esercizio del diritto di recesso, e il rilevante innalzamento del termine previsto per l’esercizio dello ius poenitendi in caso di inadempimento del professionista agli obblighi informativi di cui i consumatori stessi sono beneficiari, al fine di incrementarne la certezza e la fiducia nei traffici transfrontalieri, attraverso un intervento contenutisticamente piuttosto abbastanza limitato e “a macchia di leopardo”607 e uno strumento normativo che
tuttavia non ha il reale merito di ammantarsi dell’eccessivamente ottimistico titolo di direttiva sui diritti dei consumatori. D’altro canto tutto ciò ha comportato per gli operatori economici presenti sul mercato l’onere di adeguamento delle proprie condizioni di vendita in aderenza alle disposizioni imperative ed un notevole inasprimento delle incombenze informative su di loro gravanti, sia “fisicamente” tra le mura dei locali commerciali ove svolgono la loro attività sia tramite l’impiego di strumenti di comunicazione a distanza (telefono, fax, email, etc.) ovvero al di fuori dei locali commerciali, obblighi che probabilmente i venditori scaricheranno sulle spalle dei consumatori sotto forma del prezzo finale imposto al bene o al servizio.
Peraltro, quanto appena illustrato va a generare il rischio concreto che questo stuolo informativo abnorme ed elefantiaco, sulla scia della direttiva 2008/48/CE sul credito al consumo, molto tecnico e minuzioso, enucleato a mezzo di un linguaggio giuridico piuttosto complesso, provochi l’insorgenza nel consumatore medio di un certo disorientamento e di una buona dose di confusione, ovvero addirittura la noncuranza per difetto di avvedutezza o di tempo, approdandosi pertanto ad un risultato finale esattamente opposto a quello bramato608.Difatti, alla luce di quanto appena evidenziato, dal momento che le garanzie e i
diritti previsti a tutela del consumatore sono realmente esercitabili soltanto se il medesimo procede ad un’attenta e consapevole lettura della citata modulistica, viene forse a difettare
607 S. Mazzamuto, La nuova direttiva sui diritti del consumatore, cit., p. 862.
608 M. Bin, La trasparenza dei prodotti emessi dalle imprese di assicurazione tra principi generali e nuovo
la full effectiveness609 della protezione a suo favore confezionata – nonostante le disarmonie
intestine – a livello legislativo, specie sul piano dei rimedi610 accordatigli, manifestando il
suo semplicismo e la sua inadeguatezza allo scopo la strategia di salvaguardare il consumatore unicamente mediante due braccioli, rappresentati rispettivamente dagli obblighi informativi e dal diritto di recesso. Nella dinamicità frenetica della vita si assiste dunque allo sviluppo della cultura al disinteresse, giungendo al paradosso di ottenere l’effetto opposto rispetto a quello del messaggio di educazione del consumatore e di salvaguardia di quei diritti a suo vantaggio predisposti in seno al codice del consumo, a conferma del fatto che investire la parte di un eccessivo quantitativo di informazioni o di informazioni corrette e coerenti ma troppo tecniche rappresenti il miglior metodo per disinformare611. Peraltro, in genere di fatto la piena conoscenza e consapevolezza
dell’operazione contrattuale che si sta concludendo, soprattutto in termini di valutazione della convenienza dell’affare, è non solo e non tanto l’esito della panoplia delle informazioni elargite dalla controparte prima della stipulazione, bensì frutto dell’esperienza
609 Si veda M.C. Paglietti, La tutela civile dei diritti dei consumatori. Studio sull’osmosi dei modelli di giustizia
in Europa, cit., p. 36 ss. Si segnalano inoltre voci della dottrina scettiche circa la reale efficacia degli obblighi precontrattuali di informazione a fungere da valido presidio della consapevolezza del consenso del consumatore, tra le quali J.A. Luzak, Passive Consumers vs. The New Online Disclosure Rules of the Consumer Rights Directive, cit.; C. Leone, Transparency Revisited – on the Role of Information in the Recent Case-Law of the CJEU, in ERCL, 2014, 10, p. 312 ss.; O. Ben-Shahar, C.E. Schneider, More Than You Wanted to Know: The Failure of Mandated Disclosure, Princeton, 2014, p. 229 ss.; O. Bar-Gill, Seduction by Contract, Oxford, 2012, p.280; P. Mankowski, Information and Formal Requirements in EC Private Law, in ERPL, 2005, 6, p. 779.
610 Secondo la definizione enucleata da V. Roppo, Il contratto, cit., p. 678, dicasi rimedio contrattuale nella
sua accezione ampia il mezzo offerto «dalla legge per far emergere il difetto o disturbo che affligge il contratto, e quindi determinare la cancellazione o revisione degli effetti contrattuali», il quale dunque viene ad assumere un’autonoma rilevanza dogmatica «solo se l’attuazione di una tutela giuridica è ricollegata alla libera iniziativa del soggetto che è portatore dell’interesse protetto dall’ordinamento giuridico, ossia se è realizzata mediante l’esercizio di una sua pretesa». Si segnala che la riforma appare eccentrica e disallineata dai coevi modelli europei per il fatto che l’ampio ventaglio dei rimedi predisposti a fronte dell’inadempimento del professionista si accompagna ad un assoluto oblio del risarcimento del danno e al prefigurarsi di una tacitiana ellissi della clausola di buona fede, che scherma la fonte dei doveri di informativa precontrattuale e che al contrario si erge a principio generale del sistema negli artt. I.-1:103 DCFR e art. 2 Annex I CESL. Onde ridurre le incertezze, garantire maggiore uniformità alle discipline nazionali in relazione all’aspetto rimediale ed escludere incompatibilità dell’art. 1337 c.c. con la clausola di armonizzazione massima relativamente ai danni che l’imprenditore potrebbe cagionare al consumatore omettendo le informazioni sullo ius poenitendi, in quanto lo scopo di “un livello di tutela più elevato dei consumatori” non giustifica l’applicazione di una norma nazionale (Cfr. Corte CE, 4 giugno 2009, causa C-285/08, in Danno resp., 2010, 2, p. 131, con nota di M.E. Arbour, Armonizzazione del diritto e prodotti difettosi; in Resp. civ. prev., 2010, p. 1006, con nota di A. Venchiarutti, Applicazione estensiva della direttiva sulla responsabilità dei danni da prodotti difettosi: un nuovo equilibrio tra competenze comunitarie e Internet?; Corte CE, 23 aprile 2009, in cause C-261/07 e C- 299/07, in Foro amm. C.d.s., 2010, p. 1169, con nota di L. Minervini, Tutela dei consumatori e libera concorrenza del nuovo approccio dell’Unione europea: significato ed implicazioni dell’armonizzazione massima; Corte CE, 25 aprile 2002, causa C-52/00, in Resp. civ. prev., 2002, p. 979, con nota di S. Bastianon, Responsabilità del produttore per prodotti difettosi: quale tutela per il consumatore?), sarebbe stato opportuno prevedere expressis verbis la responsabilità risarcitoria del professionista (M.A. Giorgianni, Principi generali sui contratti e tutela dei consumatori in Italia e in Germania, Milano, 2009, p. 232 ss.).
precedentemente maturata dall’acquirente in relazione ad un determinato bene e alle sue caratteristiche distintive.
Quanto poi ai connotati di debolezza, sprovvedutezza e suggestionabilità che da sempre avviluppano la figura del consumatore, plasmando l’equazione tra irrazionalità comportamentale ed inferiorità cognitiva, risulterebbe forse opportuno limarne quanto meno gli spigoli più acuti, perché in genere nella società odierna, stando ai dati forniti dalle statistiche, prima di concludere affari più vantaggiosi sulle online platform mediante un pigro click effettuabile in qualsiasi momento del giorno e della notte, i nuovi consumatori digitali, telematici o virtuali che dir si voglia sono avvezzi a prendere visione dei beni in store e a raffrontare scrupolosamente i prezzi imposti per i medesimi tra le mura delle attività commerciali, assistendosi così ad una compenetrazione tra i canali di offerta offline ed online612, e allo sfocarsi dei contorni di un’icona di consumatore certamente macchiata di
anacronismo.
Non pare corretto sostenere che la minore forza contrattuale del cyberconsumatore derivi dall’indisponibilità di un adeguato bagaglio informativo nella fase prenegoziale, perché in detto contesto il consumatore è al contrario investito da una fitta schiera di informazioni ridondanti e sovrabbondanti, permanendo tuttavia il rischio circa la loro dubbia affidabilità, nonché il problema concernente la loro insuscettibilità di spiegare efficacia probatoria in ipotesi di controversia, in quanto fornite mediante formati volatili ed effimeri613. La debolezza del consumatore è allora piuttosto da rinvenire nell’impenetrabilità
dei meccanismi di funzionamento dell’applicativo software utilizzato dal professionista e nel conseguente disagio tecnologico, nella macroscopica sproporzione tra il valore della transazione commerciale telematica perfezionata istantaneamente con pochi click e tempo ed oneri economici necessari ai fini della risoluzione di un’eventuale controversia col fornitore, a fronte oltretutto della complessità con cui è possibile per il cyberconsumatore precostituirsi una prova valevole in giudizio, ed infine nelle modalità procedimentali di formazione e di conclusione, nel momento vincolante e nei contenuti del contratto, unilateralmente predisposti e imposti dal soggetto forte. Di conseguenza, probabilmente non rappresenta la migliore soluzione allo scopo di riequilibrare le asimmetriche posizioni negoziali delle parti l’obbligo imposto al professionista di elargire al consumatore il descritto stuolo informativo, risultando all’uopo generalmente di maggiore utilità e chiarezza i
612 Aa.Vv., Casi di marketing, a cura di A. Bruni, Milano, 2016, p. XXI. 613 G. Scorza, Il contratto del commercio elettronico, cit., p. 144.
feedback lasciati dagli utenti circa un determinato fornitore, servizio o prodotto, i forum telematici di discussione, le bacheche elettroniche.
Inoltre, l’ampio margine di discrezionalità concesso da parte del legislatore europeo agli Stati membri sia sul versante della determinazione della misura degli obblighi informativi incombenti in capo al professionista sia su quello della predisposizione dell’apparato di sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di recepimento della direttiva in esame, con l’unica precisazione dei caratteri di effettività, proporzionalità e dissuasività che devono connotare dette misure ex art. 24 della direttiva in esame, mina alle fondamenta la concreta chance di perseguire una reale completa armonizzazione, dando la stura al contrario alla frantumazione delle differenti discipline614.
Peraltro, secondo un cristallizzato orientamento della Corte di giustizia615, in ossequio ai
principi di leale collaborazione e di effettività, per aversi corretta trasposizione della normativa di derivazione europea nell’ordinamento interno, i Paesi membri, nella predisposizione delle sanzioni da irrogare in ambito domestico, devono garantire la protezione dei diritti dei consumatori sotto il duplice profilo sostanziale e procedurale, ad opera di un apparato strumentale di stampo civilistico616, per l’appunto effettivo,
proporzionale e dissuasivo, modulando il grado di severità delle sanzioni sulla gravità delle violazioni che vanno a reprimere617, con riserva di sindacato giudiziale in capo alla Corte
stessa sulla congruità delle medesime, che dovranno superare il test di “comparabilità”, i.e. risultare analoghe a quelle prescritte per le violazioni del diritto interno affini per natura ed importanza618. Si coglie qui il limite intrinseco dello strumento direttiva, consistente
nell’obbligo di attuarla nei singoli Stati membri, con il logico corollario della frammentazione tra le varie normative di recepimento, approdandosi così al risultato diametralmente opposto rispetto a quello perseguito ed assistendosi al corto circuito del sistema, mentre forse ad oggi è il regolamento lo strumento di più ampia portata di cui
614 Sul tema si rinvia a M.B.M. Loos, Implementation of CRD (Almost) Completed, Harmonisation Achieved?,
in EuVR, 2014, p. 213; G. De Cristofaro, After Implementing Directive 2011/83/EU in the Member States: Are the National Provisions on Consumer Contracts Really Harmonised? Some Critical Remarks, ibidem, p. 217 ff.
615 Corte UE, 27 marzo 2014, causa C-565/12, LCL Le Crédit Lyonnais SA c. Fesih Kalhan, ined., punti 44 e
45; Corte UE, 13 dicembre 2001, causa C-481/99, cit.; Corte giust. UE, 25 ottobre 2005, causa C-350/03, cit.
616 Non risulta infatti in linea col principio comunitario dell’effetto utile la predisposizione di sole sanzioni
aventi natura penale od amministrativa; cfr. R. Alessi, I doveri di informazione, cit., p. 407; H.-P., Schwintowski, Informationspflichten und effet utile, in Aa.Vv., Informationsplifchten und Vertragsschluss im Acquis communitaire, a cura di R. Schulze, M. Ebers e H.-Ch. Grigoleit, Tübingen, 2003, p. 267.
617 Corte UE, 3maggio 2005, causa C-387/02, Berlusconi e a., in Racc., 2005, p. I-3565, punti 64 e 65; 26
settembre 2013, causa C-418/11, Texdata Software, ined., punto 50.