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Situazione Patrimoniale-Finanziaria Non assoggettati a revisione contabile

CAPITOLO 3: LE FASI PRECEDENTI L’OPERAZIONE DI FUSIONE

1. I SOGGETTI COINVOLT

2.6 Tentativo di IPO

In seguito al fallimento forzato e alla ristrutturazione della casa automobilistica di Detroit da parte del Governo Obama nel 2009, la proprietà della nuova società Chrysler Group LLC fu divisa tra vari soggetti in proporzione a quello che fu il loro impegno nel salvataggio dell’azienda di Detroit. La gestione della società proseguì per i primi anni come previsto dai vari accordi stipulati tra i nuovi soci, tuttavia nel 2011 si creò un dissidio interno tra il Gruppo Fiat e la UAW.

All’interno del “Master Transaction Agreement”, in realtà, furono ricompresi anche altri tipi di accordi come lo “Shareholders Agreement” e l’ “Operating Agreement”: tali documenti garantivano

una serie di opzioni e diritti a ciascuno dei soci, tra cui quello di chiedere la registrazione in vista della possibile offerta in Borsa (IPO).

L’oggetto del contendere fu la quota partecipativa di Chrysler detenuta dal VEBA Trust, il fondo pensionistico del sindacato dei dipendenti dell’auto, la United Auto Workers.

Secondo gli accordi contenuti nel “Master Transaction Agreement”, fu creata una Call Option in

base alla quale Fiat poteva comprare il 3,32% di Chrysler a partire da Luglio del 2012, con la possibilità di ripetere identica operazione ogni 6 mesi fino a raggiungere il 16,6%, quindi per un totale di cinque opzioni di acquisto (ciascuna del 3,32%).

L’intento del fondo VEBA era quello di vendere la sua partecipazione a Fiat (già detentrice del restante 58,5%) in modo da poter monetizzare la sua quota e con il ricavato diversificare i propri investimenti.

La quota che la società di Torino si trovò a negoziare col fondo VEBA non fu, però, del 41,5% ma solo del 24,9%, ovvero la parte non soggetta alla Call Option di Fiat.

Di tale opzione Fiat esercitò due tranche, una a Luglio 2012 e una a Gennaio 2013, per un totale del 6,64% del capitale portando così la sua quota al 65,14%.

riuscirono a trovare un accordo immediato sul prezzo di vendita delle partecipazioni: per cedere l’intera sua quota il fondo pensionistico richiese un pagamento pari ad almeno 5 miliardi di dollari. Dall’altro lato, invece, la società torinese guidata dall’amministratore delegato Sergio Marchionne non era assolutamente disposta a spendere tale cifra per ottenere la totalità delle azioni Chrysler.

Le banche che si occuparono del collocamento iniziale di Chrysler effettuarono una prima valutazione dell’intero gruppo automobilistico, partendo da una base valutativa compresa tra i 9 e i 16 miliardi di dollari. Successivamente stabilirono un valore compreso tra i 10 e gli 11 miliardi di dollari. Infine, l’orientamento degli istituti di credito guidati da J.P.Morgan (Barclays, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Ubs) finì per assegnargli un valore di circa 10 miliardi. Di conseguenza, le banche arrivarono a ipotizzare un valore definitivo per il 41,5% della proprietà di Chrysler intorno ai 4,2 miliardi di dollari. In questo modo, le partecipazioni di Chrysler in mano al fondo VEBA assunsero un valore inferiore di un miliardo rispetto a quanto richiesto dal sindacato.

Basti pensare, infatti, che Fiat offrì 140 milioni di dollari per la prima tranche del 3,32% mentre VEBA richiese 342 milioni: la differenza valutativa fu enorme.

I due soci si trovarono, quindi, di fronte ad una situazione di stallo. A seguito di una diversa interpretazione della formula di calcolo prevista dai contratti, la questione fu portata dal Lingotto di fronte al Tribunale del Delaware.

Fu allora che, in assenza di un’intesa, VEBA tentò di vendere una parte della propria quota (il 16,6% del 24,9% che poteva collocare) sul mercato attraverso l’emissione di un IPO (Initial Public

Offering).83

L’IPO rappresenta un’offerta al pubblico dei titoli di una società che intende quotarsi per la prima volta su un mercato regolamentato. Questo è ciò che il fondo pensionistico voleva mettere in atto nel momento in cui non avesse trovato un accordo col Gruppo Fiat.84

La FIAT ottenne il controllo del Gruppo Chrysler il 5 Gennaio 2012 ottenendo una partecipazione al capitale sociale del 58,5%; rilevò il 100% delle azioni il 21 Gennaio 2014. Questo significa che il tentativo di IPO cercato dal fondo VEBA si svolse all’interno di questo lasso di tempo.

Più precisamente nel Settembre 2013 la Chrysler depositò presso la SEC85 (Securities and

Exchange Commission) il documento Form S-1 (Registration Statement) in vista dell’offerta al

pubblico di azioni.86 Fu stabilito che l’offerta sarebbe stata guidata dalla banca J.P.Morgan.

83 La partecipazione detenuta dal VEBA in Chrysler era del 41,5%. Di questa quota il 16,6% era vincolato al contratto d’opzione “VEBA Call Option”; il restante 24,9% poteva essere collocato sul mercato. Di questo 24,9% il fondo pensionistico scelse volontariamente di collocarne esattamente il 16,6%, proprio la stessa percentuale della quota vincolata.

84 Se l’offerta fosse effettivamente partita, la Chrysler sarebbe stata convertita da “Limited Liability Company” (LLC) a “Corporation” e sarebbe stata ribattezzata così Chrysler Group Corporation.

85 E’ l’organismo americano preposto al controllo sui mercati.

86 Dati raccolti dal sito ufficiale www.fcagroup.com: ”Fiat S.p.A. (“Fiat”) prende atto dell’annuncio di Chrysler Group LLC (“Chrysler Group”) della ricezione di una “Registration Demand” formulata dallo UAW Retiree Medical Benefits Trust sensi dello

Il deposito del Form S-1 fu un passo formale importante verso l’offerta in Borsa dei titoli Chrysler87: chiedendo la registrazione in vista della quotazione, il fondo VEBA avvertì di fatto Fiat che se l’offerta fosse rimasta troppo bassa, avrebbe potuto cercare per il resto della partecipazione una valutazione migliore direttamente sul mercato.

L’intento di Sergio Marchionne, che di fatto era amministratore delegato sia del Gruppo Fiat, sia del Gruppo Chrysler, era quello di riuscire a trovare un’intesa col fondo VEBA in modo da evitare l’IPO: la quotazione in Borsa delle azioni appartenenti al fondo pensionistico avrebbe sicuramente allungato i tempi di una fusione tra le due società.

Si deve tener presente, inoltre, che l’IPO prima della fusione tra le due società, in realtà, non sarebbe stata per nessuna delle due parti la soluzione migliore: dal punto di vista di Fiat, l’IPO avrebbe potuto creare un potenziale conflitto di interessi tra l’azionista di maggioranza (la società italiana) e la società di Detroit. Questo è ciò che risultava dal Form S-1 depositato presso la SEC da parte della società Chrysler LLC: “Fiat ha espresso il desiderio di acquistare il 100% del nostro capitale o comunque di creare una struttura di capitale unificata rilevando la quota del VEBA, una parte della quale è oggetto di questa operazione. Il suo completamento impedirà o ritarderà questo obiettivo di Fiat, e la stessa Fiat ha dichiarato che una Chrysler quotata (...) impedirà o ritarderà il conseguimento dei benefici dell’alleanza”.88

Nel momento in cui Chrysler presentò la richiesta formale per accedere all’IPO, Fiat cominciò a riconsiderare i costi e benefici di una ulteriore espansione della sua relazione con la società americana: la società italiana avrebbe preferito comprare l’intera quota subito, senza rischiare rialzi del prezzo e distrazioni dai progetti industriali.

Anche dal punto di vista del fondo VEBA, l’IPO avrebbe sottoposto il fondo a grossi rischi: dato che la quota che intendeva offrire sul mercato non rappresentava la maggioranza della società ma solo il 16,6% e dato che l’offerta di azioni avveniva in aperta polemica tra i due soci, questo avrebbe potuto determinare una risposta del mercato molto bassa. Per il sindacato era fondamentale riuscire a monetizzare la propria quota per diversificare gli investimenti e garantire il pagamento delle prestazioni ai propri assistiti.

“Shareholders Agreement” del 10 giugno 2009, sottoscritto tra Fiat North America LLC (“FNA”), VEBA, e VEBA Holdcos, e Chrysler Group e le altre parti ivi citate. La “Registration Demand” richiede la registrazione ai sensi del “Securities Act” del 1933 e successive modifiche (“Securities Act”) di 270.769,6 Class A Membership Interests in Chrysler Group attualmente detenuti da VEBA, pari a circa il 16,6% del capitale di Chrysler Group”.

87 Dati raccolti dal sito ufficiale www.fcagroup.com: “FIAT NORTH AMERICA LLC rispetterà gli impegni di collaborare con Chrysler e VEBA ai fini della registrazione previsti dal Chrysler Group LLC “Operating Agreement”. Non è possibile assicurare che un “Registration Statement” sarà depositato presso la Securities and Exchange Commission, né che, se depositato, verrà effettuata un’offerta, né in quali tempi essa potrà essere effettuata. I titoli che saranno oggetto di tale eventuale offerta non possono essere venduti né possono essere accettate offerte d’acquisto prima del momento in cui il Registration Statement sia divenuto efficace ai sensi del “Securities Act”. Tale offerta verrà effettuata esclusivamente mediante la pubblicazione di un prospetto di offerta”. 88 Estratto rilevato da un comunicato emesso dalla società Chrysler Group LLC. Dato raccolto dal sito ufficiale www.chrysler.com

A partire dal 5 Gennaio 2012 (anno in cui Fiat ottenne il controllo di Chrysler con il 58,5% delle azioni) fino al 21 Gennaio 2014, (anno in cui Fiat ottenne il controllo totale con il 100% delle azioni), la Fiat dovette scontrarsi ripetutamente col sindacato americano finchè entrambe le parti non si resero conto che di fatto la collocazione delle azioni sul mercato non rispecchiava l’interesse di nessuna delle parti: ecco perché entrambe riuscirono a trovare un accordo nei primi giorni del Gennaio 2014.

L’accordo definitivo fu stipulato il 21 del medesimo mese, quando Marchionne offrì al sindacato americano un pagamento miliardario per il restante 41,5% concordato in 3.650 milioni di dollari. Di fronte a tale intesa la UAW, in accordo con la società italiana, decise di ritirare in via definitiva l’azione legale che aveva intrapreso di fronte al tribunale del Delaware per ottenere un prezzo delle azioni più elevato, annullando di fatto l’Offerta Pubblica Iniziale.

E’ importante notare come il prezzo complessivo di 3,65 miliardi di dollari è inferiore ai 4,2 ipotizzati dalle banche e ai 5 che furono richiesti dal fondo assistenziale del sindacato nella trattativa. Fiat spese tra azioni e cash un totale di 2,9 miliardi di dollari ai quali si aggiungono gli 800 di cash pagati dall’inizio dell’alleanza. In tutto il Lingotto spese meno di 4 miliardi per ottenere il 100% di un’azienda che nel 1998 i tedeschi di Daimler pagarono 36 miliardi di dollari.