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Gli abusi sessuali in famiglia

La c.d. violenza domestica, cioè la violenza che si manifesta nell'ambito dei rapporti parentali o più strettamente familiari, si presenta per lo più come fattispecie speciale o di specie rispetto a quella generale di c.d. violenza di genere, intendendosi quest'ultima la violenza dettata da motivi legati al genere, in particolare femminile, della vittima.

P. Gerbino, L’abuso sessuale dei minori nella storia, in Rassegna Italiana di Criminologia, 1, 2004,

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Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, questo tipo di violenza soprattutto se contro le donne, rappresenterebbe la più pervasiva e meno riconosciuta forma di violazione dei diritti fondamentali della persona.

Nel dibattito attuale, sia l’espressione c.d. violenza di genere sia quella di c.d. violenza domestica possono così essere assunte in un'accezione ampia, tale da ricomprendere anche la violenza che si esplica verso i minori e quella verso gli anziani.

Ciò che accomuna queste vittime, donne, minori, anziani è la loro vulnerabilità.

Ai nostri fini, il concetto di c.d. violenza domestica si presta dunque a delimitare il fenomeno della violenza che coinvolge vittime particolarmente vulnerabili e cioè vittime esposte quali i minori nel contesto della famiglia, e che nell'attuale dibattito internazionale viene considerato un problema sociale.

Come è stato da ultimo osservato, in tema di “famiglia”, forse più che in altri, le scelte del diritto sono dettate, almeno nei contenuti, dalla società di riferimento: i mutamenti di valori, le esigenze di un mondo in perenne trasformazione hanno spesso imposto la ricezione giuridica di quanto nella prassi era già patrimonio condiviso.

Con riferimento al settore penale familiare e soprattutto a quello più specifico relativo ai delitti contro la famiglia del titolo XI, se per un verso la società di riferimento degli anni '30 ha fortemente guidato le scelte di diritto del codice penale, i mutamenti sociali che hanno contrassegnato l'evoluzione sociale moderna e postmoderna in tema di famiglia non hanno potuto ancora intaccare quelle scelte, nonostante una significativa opera di mediazione interpretativa da parte della prassi . 10

Per effetto della mutazione della società e delle modifiche normative degli ultimi anni, si può notare che da un recente passato, nel quale ciò che avveniva fra le mura domestiche godeva di una sorta di immunità di fatto, si è passati ad una maggiore consapevolezza circa gli abusi familiari, spesso diretti a minori e specialmente ove sessualmente connotati.

Tuttavia, con tutta probabilità, piuttosto che un aumento dei casi, siamo in presenza della emersione di condotte da sempre presenti.

Non può tacersi il rischio che almeno una minima parte dei reati denunciati o soltanto segnalati siano dovuti alla presenza di vittime apparenti o simulatrici, rischio forse accresciuto anche dalla non piena consapevolezza da parte del minore delle conseguenze provocate nel “mondo degli adulti”.

Né può negarsi che numerose denunce si manifestino quando la famiglia è in crisi: il che induce a pensare che talvolta si simuli un abuso sessuale mai avvenuto.

Infine, è opportuno notare che a volte si ha la tendenza a ritenere che ogni manifestazione esteriore, fisica o psichica, non perfettamente “allineata” sia dovuta a fenomeni di violenza sessuale, anche per l’importanza e l’allarme sociale che questo problema suscita.

Gli abusi sessuali intra moenia, sono particolarmente dannosi per la vittima “infungibile” vulnerata, perché se tendenzialmente paiono più “artigianali”, in quanto non necessitano di un apparato organizzativo ulteriore (amaramente: basta la famiglia), contano sull'omertà, che consente impunità e possibile ripetitività delle turpi pratiche. Ma non sono solo i minori che, all'interno della famiglia, possono subire violenze di ogni genere; dunque, anche quelle di stampo sessuale.

La circostanza che a commettere un abuso sessuale sia un genitore, non è ormai da considerarsi una cosa rara e di impossibile realizzazione.

La problematica della violenza sessuale infra-muraria suggerisce di approfondire un ulteriore profilo che richiede una soluzione giuridica ponderata, anche in considerazione della circostanza che tale aspetto si presenta con particolare frequenza ed altrettanta evidenza nella prassi.

Il problema è che spesso, se non quasi sempre, la violenza sessuale in famiglia è consentita dal mancato intervento di altri membri della stessa, che in qualche modo “sapevano”.

È evidente, infatti, che ciò che viene commesso all'interno delle mura domestiche possa non essere noto all'esterno del nucleo familiare.

Ma è altrettanto plausibile, e purtroppo frequente, che qualcuno della famiglia, invece, sia a conoscenza delle relazioni lecite ed illecite all’interno delle mura familiari.

Più precisamente, è frequente il caso della violenza sessuale intra-familiare che veda come protagonista attivo un soggetto, solitamente di sesso maschile: il padre, il nonno, lo zio, e, come protagonista omissivo, un altro soggetto, solitamente questo di sesso femminile: la madre, la nonna, la zia, e, vittima un minore: figlio, figlia, nipote.

Di qui, un duplice profilo, umano e giuridico: spesso, per la vittima, non è meno grave del subire direttamente la violenza sessuale, il vedersi negato l'aiuto da parte di un soggetto sul quale il minore poteva e doveva contare; allo stesso tempo, il familiare è anche l'unico soggetto che concretamente è in grado di salvaguardare e proteggere il minore.

Ora, al di là del caso nel quale anche il soggetto che non commette direttamente la violenza sul minore è, a sua volta, vittima della violenza dell'altro membro della famiglia, e che detta violenza sia talmente grave da far entrare in gioco il costringimento fisico o lo stato di necessità determinato dall'altrui minaccia, si pone il problema della valutazione giuridica della condotta omissiva.

Al riguardo, ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c., il genitore assume nei confronti dei figli obblighi di assistenza e di protezione, pertanto, il genitore esercente la potestà sui figli minori (generalmente, la madre) risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all'art. 40 c.p. degli atti di violenza sessuale compiuti, solitamente, dal padre o da un convivente, sui figli allorquando sussistano le condizioni rappresentate:

a) dalla conoscenza o conoscibilità dell'evento;

b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa incombente sul “garante”; c) dalla possibilità oggettiva di impedire l’evento.

Nella giurisprudenza di merito si è affermato che possono essere chiamati a rispondere

ex art. 40 c.p., per i fatti commessi in danno dei nipoti, la nonna o gli zii cui gli stessi

siano temporaneamente affidati in assenza dei genitori, come pure gli estranei, conviventi delle madri o amici, che si trovino nella stessa situazione.

Per inquadrare correttamente la questione dal punto di vista giuridico, occorre verificare se i genitori o tutori abbiano o meno l'obbligo giuridico di impedire un evento, nei confronti dei figli minori, assumendo la qualifica di garanti.

Ora, che i genitori abbiano nei confronti dei figli minori, particolari e stringenti obblighi, sembra dato talmente ovvio da apparire “naturalmente” dimostrato.

Dunque, si può sostenere con certezza che il genitore ha l'obbligo giuridico di impedire eventi lesivi o pericolosi ai danni del figlio minore, nei confronti del quale assume la posizione di garante.

Senonché, si è talvolta resa la questione più complessa di quanto le affermazioni di principio lascino supporre.

In tal senso, si è, ad esempio da un lato, affermato che è fuori dubbio che i genitori abbiano l'obbligo di impedire che i figli subiscano eventi lesivi della vita e dell'integrità fisica, dall'altro si è concluso che nella responsabilità della madre per non aver impedito la violenza carnale ai danni della figlia, la posizione di garante del genitore, inclina facilmente ad assumere coloriture di stampo eticizzante.

Ma così facendo sembra quasi che il bene della libertà sessuale sia un bene “minore”, oppure un bene da poter discriminare, nella tutela, proprio per motivi legati alla sua peculiare natura.

La soluzione preferibile sarebbe quella di ritenere possibile la responsabilità penale per omesso impedimento dell'evento del soggetto che aveva l'obbligo giuridico di impedirlo.

Pertanto, come si può ammettere la responsabilità del padre che non impedisce la uccisione del figlio minore da parte di altri parenti, ad analoga conclusione può pervenirsi nell'ipotesi di mancato impedimento della violenza sessuale.

Una parte della giurisprudenza è orientata in tal senso.

In particolare, si è ritenuto che si possa ritenere responsabile di violenza sessuale, la madre che assiste consenziente, pur se non cooperante, all'amplesso fra la propria figlia quattordicenne ed il genero, senza nulla fare per impedirlo, come ne aveva l'obbligo giuridico.

Analogamente, si è deciso che, in base al precetto contenuto nell'art. 147 c.c., per la madre che compartecipi alla consumazione degli atti di libidine o di violenza sessuale in danno dei figli minori ad opera del proprio convivente.

Tuttavia, occorre riconoscere che nella recente giurisprudenza di merito si può cogliere la tendenza ad escludere la responsabilità della madre, sebbene spesso la stessa sia censurata, nella migliore delle ipotesi, come assente, disinteressata, distratta.

Il quadro, a tinte prevalentemente fosche, sin qui tratteggiato non deve, peraltro, trarre in inganno.

La circostanza che la famiglia non sia più una “zona franca” e che il diritto penale si sia così frequentemente occupato di essa e delle condotte illecite commesse al suo interno non significa affatto che la famiglia non vada difesa ed aiutata.

Il diritto penale, purtroppo, è come certa stampa che coltiva le notizie negative, specie quelle di cronaca, e non si occupa di quelle positive.

Occorre invece, da un lato, sviluppare a pieno tutte le potenzialità espressive delle quali le famiglie sono capaci, non limitandone a priori le diverse concretizzazioni e favorendone comunque la formazione ed il mantenimento, ma, al contempo, è necessario tenere alta l'attenzione di tutte le forze in grado di garantire che la famiglia sia un luogo sicuro nel quale sviluppare la propria personalità e le proprie competenze, aperto alla società ed integrato; evitando che le “mura amiche” lo siano solo di chi scarica sui più deboli ed indifesi le proprie frustrazioni, le proprie incapacità, le proprie inclinazioni, i propri desideri più nascosti e segreti.

Solo in questo modo, nel rinnovare la famiglia e nel depurarla da incrostazioni e brutture, nel lavare i panni, quando necessario anche in pubblico, ne conserveremo l'essenza ed il ruolo, che io continuo a ritenere centrale, ed anzi indispensabile, in una società che ha dimenticato la funzione della solidarietà, spinge verso l'individualismo, ragiona in termini egoistici.

È proprio in famiglia che si possono individuare e sviluppare anticorpi e antidoti. Attaccare i vizi ed i difetti della famiglia significa, allora, difenderla e custodirla: ed il diritto penale è proprio teso a delineare i confini e ad indicare i limiti; e dunque, perseguendo chi viola le sue fondamentali regole, a tutelare la famiglia e tutti coloro che la vivono consapevolmente . 11

Capitolo 3.3