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I Sexual offenders nel panorama italiano

Il termine sexual offender o, sex offender, di origine anglosassone, descrive una categoria di individui che hanno commesso un crimine di tipo sessuale, come ad esempio molestie sessuali, stupro o atti di pedofilia, nei confronti di adulti o di bambini, attraverso l’uso della violenza fisica e/o psicologica.

Da un punto di vista clinico, il DSM IV-TR , attualmente il manuale maggiormente in 12 uso in ambito diagnostico, descrive, nella sezione “Disturbi sessuali e dell’Identità di Genere”, una categoria di disturbi sessuali, le parafilie, che includono alcuni disturbi rilevanti per la categorizzazione dei sex offenders.

Il termine clinico parafilia, cioè attaccamento morboso ad un’anomala ricerca della soddisfazione sessuale, è spesso usato anche come sinonimo di deviazione sessuale, in sostituzione del vecchio concetto di perversione sessuale.

Dalla classificazione delle parafilie proposte dal DSM IV-TR sono però state escluse alcune tipologie che comprendono alcuni generi di sex offenders, che sono invece ampiamente descritte nella letteratura scientifica di riferimento, come ad esempio gli autori di reato sessuale nei confronti di un minore (child molesters) o gli autori di reati nei confronti di un adulto (rapists), o infine coloro che commettono atti incestuosi (incest offenders).

In particolare, ai fini della presente tesi di laurea, sono stati presi in considerazione solo i child molesters e gli incest offenders; non sono stati invece presi in esame altri autori di reato, come ad esempio gli stalkers, oppure gli esibizionisti, in quanto rappresentano categorie di soggetti che, nonostante la presenza o meno di eventuali disturbi psichici, presentano delle caratteristiche peculiari che li differenziano dagli autori di reato sessuale precedentemente considerati.

APA, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, IV edizione, Elsevier, 2002.

Considerando la più conosciuta tra le parafilie o per lo meno quella che genera maggiore allarme sociale ad oggi, ovvero la pedofilia, nel DSM IV-TR essa viene descritta come un interesse sessuale persistente, manifestato attraverso pensieri, fantasie, eccitazione e comportamenti sessuali con uno o più bambini prepuberi (generalmente 12 anni o più piccoli).

Il soggetto pedofilo, le cui preferenze sessuali sono in gran parte, o unicamente, dirette verso bambini, deve avere almeno 16 anni.

Il termine pedofilia non è però sinonimo di abuso sessuale nei confronti di minori infatti, alcuni pedofili presentano delle fantasie sessuali riguardanti i bambini, che attuano ad esempio sotto forma di autoerotismo, ma possono non aver mai commesso alcun abuso sessuale nei loro confronti.

Come inoltre rileva Marshall (2006), molti clinici che lavorano da tempo con i sex

offenders, non utilizzano alcuna distinzione tra pedofili e child molesters, soprattutto

durante la fase di valutazione della necessità e della tipologia del trattamento, poiché le evidenze a livello clinico e di ricerca hanno evidenziato come entrambi i gruppi sembrano avere una stessa tipologia di problemi.

Un’ulteriore precisazione va invece fatta parlando di incest offender che, da un punto di vista giuridico è un genitore o parente che intraprende rapporti sessuali o atti di libidine nei confronti di un minore consanguineo e, da un punto di vista clinico, presenta una serie di similitudini, ma anche alcune differenze, rispetto ai child

offenders . 13

Possiamo considerare la pedofilia un crimine solo quando i pedofili “scelgono” lucidamente di molestare i bambini e divengono dei cosiddetti, child sex offender mentre, possiamo parlare di mera psicopatologia (per quanto lucida), senza chiamare in causa la sfera criminale, quando l’attrazione per i bambini non viene trasformata in molestia vera e propria, ma rimane confinata all’interno della sfera delle fantasie sessuali del soggetto, a cui può dare libero sfogo per esempio limitandosi alla consultazione del materiale pedo-pornografico on-line.

F. Veglia ,N. Castellino, L’aggressione sessuale come crimine interpersonale. Un’analisi delle

Non esiste però un confine invalicabile tra queste due dimensioni “dell’essere pedofilo”.

L’unica reale barriera che sembra in grado di definire una sorta di linea di demarcazione significativa è da ricondurre al cosiddetto “assetto morale”, ovvero quella dimensione dell’“Io” che rende inaccettabile per il soggetto, il passaggio all’atto in tale prospettiva.


Secondo le teorie più accreditate, alla base dell’operato criminale della maggior parte dei pedofili ci sarebbe in primis, un profondo sentimento di inadeguatezza nei confronti di un partner sessuale adulto.

Tale vissuto alimenta nei pedofili la convinzione che mai riuscirebbero ad essere all’altezza di relazionarsi adeguatamente con un partner adulto.

Questo confronto infatti, viene percepito come potenzialmente giudicante, ansiogeno e quindi inaccettabile. Un rischio da evitare a tutti i costi.

Incapaci dunque, di intrattenere un rapporto con un partner adulto, scelgono di relazionarsi con i bambini perché tale “scelta” gli consente di dare libero sfogo alle loro pulsioni sessuali senza il rischio di venire giudicati o respinti.

Il primo contatto con la vittima, spesso avviene attraverso dei regali o dei complimenti.

Una volta creata una certa “confidenza” con la stessa, la conversazione passa progressivamente su tematiche di interesse sessuale.

Tale fase ha l’obiettivo principale di permettere alla vittima di “familiarizzare” con questo tipo di argomentazioni, portandola così verso una certa “de-sensibilizzazione”,

conditio sine qua non per poter poi passare all’atto, l’abuso sessuale vero e proprio.

Anche il contatto fisico segue un andamento graduale e progressivo.

La maggior parte dei pedofili sono individui molto “pazienti” e, tale caratteristica, ne aumenta sensibilmente la pericolosità criminale.

Quando i criminali arrivano ad abusare della vittima, quest’ultima, è ormai completamente invischiata nella loro ragnatela fatta di manipolazione psicologica e pressione, anche di tipo violento, al punto, molto spesso, da non riuscire a comprendere i confini “maligni” di ciò che le è stato fatto.

E proprio questo tentativo di confondere le idee alla giovane vittima, è spesso un elemento base della strategia predatoria.

I comportamenti più frequenti messi in atto da questa tipologia di offenders, sono rappresentati dal toccare e/o mostrare i genitali mentre, la penetrazione vera e propria, e il contatto di tipo orale, appaiono meno presenti.

Uno degli aspetti principali del lavoro del criminologo, è rappresentato dal tentare di analizzare e ricostruire, ciò che avviene nella mente di un soggetto, che ha commesso un determinato crimine.

Inizia così una sorta di “viaggio” all’interno dei processi di pensiero, in grado di innescare il comportamento predatorio. E nel caso del pedofilo, le tappe fondamentali di questo “viaggio nell’oscurità” possono essere così brevemente riassunte:

a) in primo luogo abbiamo la normale pulsione sessuale, avvertita da ciascun essere umano una volta raggiunta la maturità sessuale;

b) l’ “Io” organizza a livello intra-psichico tale energia pulsionale e la orienta in base alle fantasie sessuali: è a questo punto che il soggetto si rende conto di essere pedofilo, perché le sue fantasie sessuali riguardano i bambini;

c) una volta divenuto consapevole del proprio orientamento sessuale il soggetto, valuta i pro ed i contro di un eventuale passaggio all’atto (ossia l’abuso di un bambino in carne ed ossa), attraverso quello che gli psicologi chiamiamo processo di significazione (o di attribuzione di significato alla realtà), ed anticipa mentalmente le conseguenze della propria azione criminale prendendo in considerazione alcuni dei fattori rilevanti all’interno del cosiddetto “criminal decision making” tra cui:

I) la paura di venire scoperto;

II) la stima dei rischi di cattura ovvero, le probabilità di farla franca; III) la paura della sanzione penale e sociale;

IV) la eventuale compassione per vittima; V) la paura dei sensi di colpa;

d) a questo punto il soggetto, sulla base delle valutazioni fatte nella fase precedente, deciderà se pianificare il passaggio all’atto vero e proprio;

e) arriva così la decisione, di abusare di un bambino in carne ed ossa oppure, mantenere il tutto solo a livello di fantasie sessuali custodite gelosamente a livello intra-psichico o, cercare una via di mezzo, contattando la vittima via internet per mezzo dei social networks, ed avere rapporti a distanza; possibilità che solo negli ultimi anni è divenuta possibile grazie appunto alle nuove tecnologie e l’evoluzione del Web.

Quest’ultima fase, conclude il circuito criminale ed è rappresentata dalla messa in atto di un comportamento d’abuso nei confronti di una vittima reale.

Sulla base di tale “viaggio per tappe progressive” risulta piuttosto chiaro il concetto di responsabilità.

Il soggetto, infatti, nella maggioranza dei casi, decide di diventare un predatore di bambini lucidamente, dopo un complesso percorso di pensiero.

Egli potrebbe scegliere di interrompere tale circuito in qualsiasi momento, ma troppo spesso decide di non farlo.

In altre parole, non ci troviamo davanti ad un soggetto che agisce in preda ad un “raptus irrefrenabile”, siamo bensì di fronte ad un soggetto che pensa, riflette lucidamente, prendendo in considerazione i pro ed i contro, legati all’esecuzione del comportamento criminale ed alla soddisfazione della sua pulsione perversa.

E quando il pensiero elaborato, lo porta a propende tragicamente verso il “piatto più sfavorevole” (rappresentato dal passaggio all’atto), egli si metterà alla ricerca della sua prossima vittima, aiutato nella selezione di questa, per mezzo dell’utilizzo dei social

networks.

Possiamo distinguere tra i criminali sessuali il "violentatore di minori" dal "pedofilo" in senso stretto.

Il primo ha con la vittima un rapporto improntato esclusivamente alla violenza, e la peculiarità di tale figura sta nell'essere presente principalmente negli strati sociali più bassi e degradati.

A sua volta, nell'ambito dei violentatori di minori si individuano tre principali stereotipi:

a) Primariamente si enuclea l'aggressore per rabbia: questi agisce, principalmente, spinto dall'intento di scaricare frustrazioni a propria volta ricevute, nel proprio vissuto remoto o quotidiano. Il minore violentato, per costui, altro non è che un feticcio o un simulacro, surrogatorio, nel proprio immaginario, dei veri soggetti che al delinquente hanno provocato umiliazioni o frustrazioni;

b) Il secondo stereotipo è costituito dall’aggressore che aggredisce per esprimere potere: anche tale soggetto agisce mosso da frustrazioni ricevute e da un più o meno latente complesso di inferiorità. Tuttavia, rispetto al primo, la sua aggressività è più sfumata e solitamente ricorre alla forza solo ove il minore-oggetto non soggiaccia spontaneamente alle sue richieste;

c) La terza figura di violentatore è costituita dall'aggressore sadico: costui, normalmente, soggiace ad una vera e propria parafilia a connotazione sadica. È il più pericoloso e violento tra le figure emarginate: normalmente usa seviziare il minore oggetto di violenza, sino, in alcuni casi, a provocarne persino la morte.

d) Abbiamo poi il pedofilo in senso stretto: costui, normalmente, non è solito usare violenza alle vittime, ma cerca bensì di arrivare all'atto sessuale dopo un, talora anche lungo, corteggiamento, instaurando spesso col minore un rapporto anche affettivo; ricalca la figura classica del cosiddetto pederasta, come da tempi storici nominato nella comune vulgata (per quanto si facesse riferimento esclusivamente all’omosessuale). Proprio a causa del suo approccio di tipo "morbido" al minore, della sua ambiguità e della sua usuale capacità di defilarsi, sovente, sotto le mentite spoglie della persona apparentemente "normale", tale stereotipo criminologico, proprio in quanto più difficilmente riconoscibile, assurge a fenomeno connotato da maggiore pericolosità e rischio di minore controllo da parte dei genitori del minore, ed, in generale, di coloro che ordinariamente si occupano dello stesso. Un'ulteriore differenza, rispetto al "violentatore", è rappresentata dal fatto che il "pedofilo in senso stretto" non è prerogativa delle classi più a rischio, ma,

al contrario, può riscontrarsi in ogni ceto sociale: dal sottoproletariato all'alta borghesia, passando per le classi intermedie. Anche tale fattore ne rimarca la pericolosità, a causa della difficile riconducibilità ad un segmento sociale in particolare. Al medesimo autore si deve una seconda importante classificazione: tra il pedofilo "ossessionato" e quello “regredito”. L'interesse sessuale del primo è rivolto primariamente ai bambini, sic et simpliciter; quanto al secondo, può parlarsi di un "interesse sessuale di ritorno”. Dall'analisi di tale soggetto, infatti, solitamente si ricava un pregresso interesse verso il partner adulto, che a seguito di frustrazioni, difficoltà, o, comunque, incapacità a vivere serenamente la propria sessualità, viene depistato sul minore, con quello che, in termini segnatamente psicologici, viene definito come “spostamento”.

Alcuni autori rimangono ancorati all'idea che il pedofilo sia generalmente una persona sessualmente frustrata, non sposata, con problemi di coppia e proveniente necessariamente da classi emarginate. C'è chi addirittura ha teorizzato l'ereditarietà della tendenza alla pedofilia.

In realtà, ricerche più approfondite hanno avuto a sfatare una lunga serie di luoghi comuni, tuttora presenti nell'opinione corrente.

Tali studi hanno stabilito che non è detto che il pedofilo sia perlopiù di età avanzata; anzi, si è notato che solitamente il pedofilo è di età inferiore ai 35 anni.

Non è detto poi che il pedofilo ami aggredire vittime sconosciute.

Si è anche potuto constatare che vi sono tra i pedofili molti individui sposati o comunque con rapporti stabili e soddisfacenti con persone dell'altro sesso.

Ciò a smentire quanti, come già esposto (ed in particolare Volter), riconducevano tout

court la pedofilia ad una continuata frustrazione sessuale.

Falso è, ancora, il pregiudizio che il pedofilo sia ordinariamente un subnormale. Quanto al fenomeno della pedofilia a carattere omosessuale, i pareri in dottrina sono discordi.

Tuttavia, diversi autori, a mezzo di studi approfonditi, hanno rilevato che la vergogna dei minori maschi abusati a riferire le violenze subìte può avere una parte non

indifferente nel ridurre la percentuale esaminata di episodi di pedofilia a carattere omosessuale riferiti e che, ad o oggi, anche in relazione alla ricerca nelle scuole effettuata in questa tesi di laurea, si può dire che la pedofilia è rivolta ad entrambi i sessi in misura più o meno paritaria.

Quando si parla di pedofilia inoltre, non si può omettere di fare cenno alla dolorosa tematica dell'incesto, perché, notoriamente, estremamente numerosi sono gli episodi rimarchevoli che si svolgono all'interno delle mura domestiche, e che purtroppo non di rado vengono sottaciuti.

In criminologia esiste una distinzione tra "padre tirannico" e "padre inibito" (ovviamente riferendosi a padri pedofili).

Il primo considera res propria l'intero assetto familiare; esercita il proprio potere assoluto e dittatoriale sia sulla moglie, che sui figli, disinteressandosi assolutamente delle conseguenze disastrose, a livello psicologico e affettivo, che provoca sui medesimi il proprio comportamento. Rappresenta, in buona sostanza, lo stereotipo del c.d. padre padrone, a voler adottare una locuzione, in verità, sin troppo abusata.

Il padre inibito è, al contrario, generalmente una figura debole, spesso succube impotente della moglie, non di rado sposata per mero interesse e quindi in grado di dettare legge. Anche con riferimento a tale figura, così come abbiamo più volte notato nella presente trattazione, scattano meccanismi "compensativi", talchè le inibizioni e le frustrazioni subìte si polarizzano, all'estremo contrario, in un perverso interesse sessuale verso i figli minori.

Anche la madre-moglie assume, sovente, comportamenti fuorvianti, che, più o meno consapevolmente, facilitano l’incesto.

Vi è primariamente, in tale figura, una tendenza ricorrente all'omertà e al silenzio, non di rado inconsapevolmente, laddove la donna giunge a negare, persino a se medesima l'evidenza dei fatti.

Talora, i minori vengono strumentalmente offerti in pasto, più o meno consapevolmente, al coniuge, pur di lenire le proprie paure.

Non è raro il caso in cui la madre-moglie tutto sappia e si renda complice nel vero senso della parola.

Il ménage à trois che si viene a creare, può, in tali casi, essere rotto solo da un episodio eclatante e clamoroso, che faccia "esplodere" i delicati equilibri venutisi a creare: la gravidanza della minore abusata, o l'improvvisa ribellione della medesima, o una grave crisi familiare sono alcuni degli episodi dirompenti.

Quanto alla minore-vittima di sesso femminile, si è notata, in numerosi casi, la presenza di una c.d. corazza caratteriale, che nasconde, invece, una personalità debole e immatura, e, ancora, in altri casi, il desiderio della bambina di porsi in aperto antagonismo con la madre, col recondito desiderio di soppiantarla agli occhi del padre . 14

Capitolo 3.4