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Tutela del minore e responsabilità del fornitore di servizi internet

Senza voler replicare in questa sede la disamina delle singole fattispecie configurabili in materia di tutela del minore in rapporto alla prestazione/fruizione di servizi di telecomunicazioni, è tuttavia opportuno porre alcune questioni di principio che afferiscono innanzi tutto ai tipi di reati che possono essere commessi a danno di questi soggetti.

Analizziamo le due modalità di aggressione che si riferiscono a due diversi aspetti della tutela accordata dall'ordinamento alla persona minore.

Il primo aspetto riguarda l'esposizione del minore a contenuti inadatti per il suo sviluppo psicofisico.

Il secondo è la commissione di reati con l'ausilio di sistemi informatici e telematici che vanno dall'adescamento, alla violenza sessuale, allo sfruttamento della prostituzione minorile.

Fin dagli albori della diffusione di questo mezzo di comunicazione la asserita rilevante quantità di contenuti illegali reperibili tramite servizi internet e la facilità con la quale i minori possono essere adescati da malintenzionati, ha provocato richieste di censura generalizzata ed ha innescato pericolose derive nel legislatore e negli interpreti.

Anche nel caso specifico delle comunità on-line e alla luce della premessa tecnica svolta in precedenza, è dunque necessario fare chiarezza sulle diverse responsabilità ipoteticamente configurabili in capo al fornitore di accesso/servizi.

La norma di riferimento è sicuramente l'art. 17 del D. Lgs. n. 70 del 2003 che - recependo la direttiva 31/00/CE - stabilisce l'assenza, a carico del fornitore stesso, di un obbligo generale di sorveglianza.

In pratica i diversi Host - le società che creano i contenitori dove gli utenti possono caricare qualsiasi files, come Facebook oppure Google (per YouTube) - non sono in alcun modo responsabili per il contenuto presente all’interno delle loro piattaforme. In altri termini non sussiste una posizione giuridica di garanzia che li rende automaticamente responsabili del comportamento degli utenti.

L'introduzione nella L. n. 269 del 1998 degli artt. 14ter e 14quater disposta dalla L. n. 38 del 2006, ha di fatto derogato a questo principio perché impone al fornitore obblighi precisi di segnalazione alle autorità della presenza di contenuti o servizi illegali, nonché di filtraggio dei siti indicati in una apposita lista nera, la c.d. black list. È pur vero che le norme in questione non stabiliscono sanzioni penali a carico del fornitore di accesso/servizi del suo legale rappresentante, dal momento che la violazione degli obblighi di cui alle norme segnalate è punita con sanzioni amministrative.

Ma è altrettanto vero che se il fornitore non è più terzo ex lege rispetto all'utente che fruisce del servizio, aumentando sicuramente - ad esempio - gli spazi per la configurabilità di ipotesi di concorso nel reato commesso dall’utente cliente. Né potrebbe avere efficacia scriminante o esimente un'eventuale regolamentazione contrattuale volta a trasferire in via esclusiva sul cliente l'assunzione di responsabilità per la violazione delle norme a tutela del minore.

Se questo ragionamento fosse corretto, allora il rispetto della ratio normativa e della lettera della Legge imporrebbero al fornitore di progettare i servizi di comunità on line in modo da prevenire in radice la possibilità che il minore possa essere vittima di atti illeciti.

Ciò significa, in termini pratici, l’adozione di criteri d’identificazione forte per verificare che l'accesso alle risorse telematiche sia eseguito solo da persone di maggiore età (con tutte le ipotizzabili conseguenze in termini di responsabilità penale). Va anche detto, tuttavia, che non avendo il minore capacità di agire, non potrebbe stipulare in proprio contratti per la fruizione di servizi internet o per l'approvazione di regolamenti di utilizzo e, ancora più grave, il legislatore, dimostrando di conoscere internet nel modo giusto, non si rende conto che, la maggior parte degli host che si

utilizzano in Italia (Facebook, YouTube, Instagram, Google solo per citarne alcuni), sono in realtà - per mezzo della collocazione dei loro server - all’estero e pertanto, risponderanno delle normative presenti nei rispettivi paesi.

Dunque non si potrebbe configurare una qualche forma di responsabilità, anche penale, a carico del fornitore di servizi che non adotta sistemi di verifica dell'età di chi accede alle sue infrastrutture telematiche.

Tale obbligo graverebbe, semmai, sul cliente che, avendo il controllo pieno sul terminale utilizzato per l'accesso ai servizi potrebbe, e, dovrebbe, impedire "a monte" che il minore acceda ovvero acceda non sorvegliato a contenuti e servizi potenzialmente pericolosi.

Quanto sopra non toglie che nel progettare e regolamentare sistemi di comunità on-line il fornitore dovrebbe in ogni caso tenere a mente quanto stabilito dalla Corte Costituzionale che afferma «che la misura di illiceità dell'osceno, e, quindi, il limite

della sua stessa punibilità a norma dell'art. 528 c.p., sia dato dalla capacità offensiva di questo verso altri, considerata in relazione alle modalità di espressione ed alle circostanze in cui l'osceno è manifestato, onde, per esempio, tale capacità non può riscontrarsi nelle ipotesi in cui l'accesso alle immagini o alle rappresentazioni pornografiche non sia indiscriminatamente aperto al pubblico, ma sia riservato soltanto alle persone adulte che ne facciano richiesta» . 64

Il ruolo e le responsabilità dei fornitori di servizi internet dunque, sono particolarmente delicati quando si traducono nella gestione di una comunità on-line perché costoro diventano di fatto intermediari per l'instaurazione di comunicazioni dirette e non controllate fra più soggetti.

L'involuzione normativa che vuole ridurre l'ampiezza del principio di neutralità del fornitore di servizi trova dunque in questa sede un forte alleato ma, alla luce delle tendenze normative richiamate in precedenza, questo si tradurrebbe de jure condendo nell'introduzione, a carico degli operatori, di forme di responsabilità oggettiva o di

penetranti obblighi di controllo e prevenzione che sfocerebbero in vere e proprie attività censorie. E allora la cura sarebbe peggiore del male . 65

A. Monti, Tutela del minore, community on-line e responsabilità penale del fornitore di servizi

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Capitolo 11