• Non ci sono risultati.

Art 600quater c.p Detenzione di materiale pornografico

La decisione legislativa di sanzionare persino la mera detenzione di materiale pornografico ha suscitato in passato riserve critiche sotto il profilo della sua compatibilità con i principi di fondo di un diritto penale di orientamento liberale. Se il legislatore è stato a ciò indotto dalla preoccupazione politico-criminale di contrastare a tutto campo lo sfruttamento sessuale dei minori, dissuadendo anche quanti si collocano dal lato della domanda, è tuttavia incontestabile questa obiezione: chi si limita a detenere per uso personale immagini pornografiche prodotte da altri realizza una condotta priva di incidenza offensiva, diretta o indiretta, sul bene giuridico protetto, dal momento che lo sfruttamento sessuale del minore è già avvenuto ad opera di altri soggetti e si è, di conseguenza, già avverato quel pregiudizio anche potenziale, al normale processo di sviluppo del minore che il legislatore intende scongiurare.

In contrasto con l'idea liberale secondo cui la Legge penale può avere effetto come scopo sono la protezione dei beni giuridici rispetto a condotte che effettivamente li minacciano, ecco che l'incriminazione finisce dunque, in questo caso, col poter assumere le due discutibili funzioni seguenti: una valenza moralistica, nel senso che quel che si censura in fondo una forma di voyerismo contrastante con la morale dominante; o, una funzione, molto in diretta, di ostacolo alla circolazione di pornografia minorile.

Rilievi in larga parte analoghi valgono per l'incriminazione del mero spettatore.

In entrambi i casi, sanzionando fatti come il detenere o l'assistere, il legislatore ha insomma voluto reprimere condotte che, sebbene in sé prive di diretta incidenza sul bene minorile oggetto di tutela, appaiono moralmente censurabili e presentano nel contempo l'inconveniente di poter contribuire ad alimentare il mercato della pornografia.

Lecito dunque dubitare che, in un ordinamento democratico-costituzionale quale è il nostro, tutto ciò basti a legittimare il ricorso alla sanzione penale.

All’art. 600quater c.p. è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a 1549 euro il fatto di chi si procura o detiene materiale pornografico prodotto con l’utilizzo di minori degli anni diciotto.

Siamo di fronte ad una fattispecie sussidiaria che espressamente ricorre solo fuori dalle ipotesi previste dall’art. 600ter c.p., volta dunque a colpire l’utilizzatore finale del materiale e naturalmente, la fattispecie ha come presupposto, che l’agente non sia stato precedentemente coinvolto nelle condotte sanzionate dal precedente art del codice penale.

La condotta è duplice e alternativa, potendo il fatto essere commesso “procurandosi” il materiale così come detenendolo.

Inoltre, è stato appurato che la disponibilità può essere materiale (come nel caso di un

cd-rom) oppure virtuale (come nel caso di files conservati nel computer) ma senza

disponibilità, come nel caso di mera consultazione online, non si ha la fattispecie di reato.

La giurisprudenza non pare invece poter dare una risposta al problema della definizione delle due condotte “procurarsi” e “detenere” il materiale.

La stessa giurisprudenza ci dice che, chi si procura, inevitabilmente detiene, magari anche solo per breve tempo il materiale . 51

Tale ultima condotta ha peraltro sostituito la precedente, in vigore fin al 2006, di “disposizione” del materiale, ritenuta troppo lasciva, tanto da poter ricomprendere anche le condotte di mera consultazione on-line del materiale pornografico.

Procurarsi vuol dire prendere autonomamente l'iniziativa allo scopo di poter disporre di materiale pornografico.

La condotta di procurarsi integra un reato istantaneo con effetti permanenti, mentre quella di detenere, un reato permanente la cui consumazione viene a coincidere con la cessazione della detenzione . 52

Sent. Cass., Sez. III, 09.10.2008, n. 43189.

La condotta indicata come detenere include ogni forma di disponibilità o possesso di fatto di oggetti a carattere pornografico. L'impiego del verbo in parola, introdotto dalla mini riforma del 2006 in luogo del precedente “disporre”, comporta che il reato esuli in tutte le ipotesi in cui il soggetto si limiti a consultare materiale pornografico in possesso di altri, o a prenderne visione via internet: il concetto di detenzione infatti implica che il materiale sia realmente pervenuto nella disponibilità autonoma dell’agente attraverso l'attività di downloading.

Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui il materiale entra nella disponibilità concreta dell’agente, quale può essere anche la semplice attività di downloading, salvo che si provi poi successivamente che non vi era la possibilità di conoscere l'entità del materiale scaricato, non avendo utilizzato parole chiave atte a recepire materiale pedo- pornografico.

Quando il materiale procurato o detenuto è di ingente quantità, la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi.

L'impiego legislativo dell'avverbio “consapevolmente”, induce a ritenere insufficiente, ai fini della punibilità, il dolo eventuale; naturalmente la disposizione è da leggere congiuntamente alla norma che disciplina l'ignoranza dell'età della persona offesa, art. 609sexies c.p., non potendola invocare salvo che si tratti di ignoranza inevitabile. Il dolo è generico, consiste infatti nella volontà di detenere, accompagnata dalla consapevolezza che i materiali posseduti hanno carattere pedo-pornografico e sono stati realizzati utilizzando minorenni.

La questione, è facile intuire, attiene al più generale problema dell'accertamento del dolo; certamente una vicenda non nuova nell'ambito del dibattito scientifico.

Solitamente, per accertare il dolo dell’autore di un reato, si parte dall'esame del tipo di fatto incriminato per accertare gli elementi che rientrano nella sfera psicologica allo scopo di stabilire se l'azione sia penalmente rilevante; da un altro punto di vista si propone anche di capovolgere questo procedimento nel senso che si ritiene più esatto determinare in anticipo un concetto di dolo attraverso il quale si possa poi stabilire quali elementi si debbano ritenere ricompresi nell'ambito dell'intenzionalità e quali viceversa ne debbano restare fuori.

Dei due metodi il più corretto è il primo, che riconosce come la determinazione del dolo possa essere fatta solo attraverso l'interpretazione della norma incriminatrice del tipo di fatto. Il secondo costituisce soltanto un bell'esempio di inversion methode. Per quanto concerne l'accertamento del dolo, la giurisprudenza si orienta, seppur non senza ondeggiamenti, nel senso di valutare gli elementi esteriori e, in particolare, quelle caratteristiche della condotta che, alla luce di affidabili massime di esperienza, risultino rivelatrici dello scopo perseguito dall’agente.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che, l'accertamento del dolo, deve consistere nella considerazione e nella valutazione delle circostanze e delle modalità della condotta, che evidenziano la cosciente volontà dell'agente e sono indicative dell'esistenza di una rappresentazione del fatto.

È l'analisi dell'intero fatto che deve manifestare la volontà dell'agente, e non si può anteporre la ricerca del dolo alla disamina dell'azione; quando si sostiene che la conoscenza dell'intenzione e, quindi, del dolo dell'agente, deve precedere e non seguire la valutazione che concerne la rilevanza degli elementi della fattispecie oggettiva, c'è il rischio di andare incontro a letture fuorvianti del dato storico.

Nello stesso ordine di idee si sostiene che in tema di dolo, la prova della volontà di commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze che abbiano connotato l'azione e delle quali deve essere verificata la oggettiva idoneità a cagionare l'evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione.

Ciò che viene in risalto è la valorizzazione degli elementi obiettivi del fatto e delle concrete manifestazioni della condotta . 53

Ancorché la Corte di Cassazione faccia apparentemente riferimento alla mera visione di immagini pedo-pornografiche tramite siti internet, in realtà dimostra di richiedere, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600quater c.p., non la sola consultazione di quei siti, ma anche che l’imputato c.d. scarichi (attività di downloading) il materiale visionato sul proprio computer, ritenendo poi irrilevante il modo in cui quel materiale, una volta scaricato, venga salvato ed utilizzato dal detentore.

Ciò che conta, infatti, è che le immagini pedo-pornografiche rimangano nella disponibilità del reo, potendo questi accedervi liberamente per consultarle e visionarle, anche solo per poco tempo.

Una volta che il materiale pornografico visionato su internet sia stato scaricato e memorizzato sul computer, quindi, la condotta tipica del reato di cui all'art. 600quater c.p. è integrata e permane finché i files che contengano quel materiale non vengano definitivamente cancellati, ossia vengano eliminati in modo tale da non poter essere riattivati se non tramite un nuovo accesso ad internet.

Considerato che è pacificamente ammessa, in dottrina e in giurisprudenza, la configurabilità della fattispecie di cui all'art. 600quater c.p. nella condotta dell'imputato che scarica da internet e salva nella memoria del computer immagini pedo-pornografiche, ancorché vengano successivamente cancellate, un particolare problema in tema di detenzione virtuale si è posto con riferimento alle ipotesi dei c.d.

temporary internet files.

Si tratta di casi in cui l'utente di internet visita un sito contenente materiale pornografico infantile con l'intento di prendere visione delle immagini vietate, astenendosi però dall'adoperarsi per attivare quei sistemi di salvataggio telematici che consentono di "scaricare" sul proprio terminale i files illeciti.

Tuttavia, come le indagini peritali spesso dimostrano, il semplice accesso a questi siti è in grado di determinare, con modalità di volta in volta eterogenee, il successivo automatico innesco di alcuni comandi elettronici che, in via autonoma, cagionano l'apprensione del materiale pedo-pornografico attraverso la sua registrazione sul disco fisso del computer dell’agente.

Esistono, infatti, dei comandi informatici in forza dei quali le immagini, anche solo visualizzate sul monitor per un ristretto arco temporale, restano immagazzinate nella cartella denominata, per l'appunto, dei temporary internet files.

La suprema Corte ha rilevato in una recente sentenza che, l'assunto secondo il quale nella cartella anzidetta le immagini pornografiche erano finite all'insaputa del prevenuto, non escludeva di per sé la volontà di disporre del materiale pornografico ricevuto casualmente.

Tale conclusione è stata avvalorata dalla circostanza che la cartella su cui erano salvate le immagini pornografiche era una normale cartella di sistema, dove i files possono essere salvati solo dall’utente.

Essa si differenzia, cioè, dalla cartella temporary internet files, ove effettivamente possono finire i dati provenienti dalla navigazione in internet in via temporanea, anche senza coscienza di ciò da parte dell’agente.

Secondo la suprema Corte, insomma, la volontà di detenzione risulta integrata dal rinvenimento di files pornografici scaricati e salvati nel computer dell'imputato, benché successivamente lo stesso cancelli una parte di essi . 54

Capitolo 10

Informatica e pedofilia, alcune precisazioni