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Art 609bis c.p Violenza sessuale

La fattispecie descritta nell’art. 609bis c.p. si articola in due ipotesi di violenza sessuale: la prima è contenuta nel primo comma e consiste nella violenza sessuale per costrizione, le cui modalità esecutive sono la costrizione, la minaccia e l’abuso di autorità; la seconda è descritta nel secondo comma, e consiste nella violenza sessuale per induzione, le cui modalità esecutive sono l’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa e della sostituzione di persona.

Malgrado lo spostamento della disciplina dei reati sessuali nella sezione relativa ai reati contro la persona, la determinazione del bene giuridico oggetto di tutela del nuovo reato di violenza sessuale non è del tutto pacifica; infatti, la novella del 1996, ha incluso i reati sessuali, senza distinzione di sorta, nella generica e residuale categoria dei delitti contro la libertà personale, a differenza di quanto era originariamente previsto dal codice, il cui Capo I del Titolo IX era intitolato “Dei delitti contro la libertà sessuale”.

In relazione alla fattispecie c.d. per costrizione (I comma), è difficile disconoscere che l’oggetto della tutela sia costituito dalla libertà sessuale dell’individuo, diritto fondamentale della persona umana, che si traduce in positivo, nel diritto di ciascuno ad esplicare liberamente le proprie personali inclinazioni sessuali e, in negativo, nel diritto di impedire che il proprio corpo possa essere, senza previo consenso, strumentalizzato da altri a fini di soddisfacimento erotico . 30

Per ciò che riguarda la violenza sessuale c.d. per induzione (II comma), si pone il problema se il bene protetto sia la libertà sessuale o se invece non sia la c.d. intangibilità sessuale, secondo quanto sostenuto dalla dottrina con riferimento alle

ipotesi abrogate di violenza presunta di cui al comma secondo dell’abrogato art. 519 c.p..

Ragioni di coerenza sistematica e di voluntas legis fanno propendere per la prima soluzione ; la libertà sessuale è dunque il bene tutelato dalla norma, quale diritto 31 inviolabile ed imprescindibile dell’uomo.

La condotta di costrizione mediante abuso di autorità inoltre pone un serio problema interpretativo.

Essenzialmente sono due i nodi interpretativi da sciogliere; innanzitutto se il concetto di autorità a cui si fa riferimento debba avere un fondamento giuridico ovvero se sia sufficiente un mero rapporto di subordinazione psicologica fra agente e vittima.

In secondo luogo, come individuare il confine fra la costrizione della vittima ottenuta mediante minaccia e la costrizione ottenuta appunto, con abuso di autorità.

Il primo nodo sembra sciolto dalla giurisprudenza, che predilige una lettura molto ampia della formula codicistica, tale da ricomprendere qualsiasi ipotesi in cui di fatto, fra vittima e agente sussista un rapporto di soggezione, anche in assenza di qualsiasi rapporto giuridico . 32

Per quanto riguarda il secondo aspetto problematico, una parte della dottrina, sostiene che l’ipotesi in discorso ricorrerebbe in tutti i casi in cui l’abuso avvenga senza violenza o senza minaccia ma poi non riesce a trovare degli esempi significativi da far rientrare in queste ipotesi criminose.

L’ipotesi di induzione mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, trova frequente applicazione in giurisprudenza.

Ricorre tale ipotesi quando l’agente riesca a convincere il soggetto passivo a compiere l’atto sessuale approfittando di un particolare stato di minorazione fisica o psichica della vittima . Il soggetto passivo in questo caso presta il proprio consenso all’atto, 33 ancorché viziato.

G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale Parte speciale, I delitti contro la persona, Vol. II, tomo primo,

31

IV edizione, Zanichelli, Torino, 2013. Sent. Cass., Sez. III, 22.01.2008.

32

Sent. Cass., Sez. IV, 17.09.2008, n. 40795 - Sent. Cass., Sez. III, 20.09.2007, n. 38261.

Serve inoltre che l’agente abusi ovvero, strumentalizzi dolosamente le condizioni di minorazione in cui versa la vittima, la vera novità rispetto alla disciplina previgente, art. 519 c.p. ora abrogato, per la quale la violenza carnale era presunta per il solo fatto che la vittima fosse malata di mente, perché assicura anche ai soggetti di inferiorità psichica una sfera di estrinsecazione della loro individualità anche sotto il profilo sessuale, purché manifestata in un clima di assoluta libertà . 34

Ciò che in passato si verificava più raramente ovvero, l’ipotesi al numero due del comma due dell’articolo, (l’induzione a compiere o subire atti sessuali traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona), è oggi un’ipotesi molto comune soprattutto per l’utilizzo della rete internet ed i social

networks che, per mezzo di profili falsi, permettono ai titolari di detti accounts di

contattare e/o scambiare foto o video di nudo o di atti sessuali con minori degli anni diciotto.

La prassi applicativa vede nella fattispecie in esame, in particolare nell’ipotesi di cui al comma uno, di consumazione della violenza, un reato d’evento a forma libera, per la cui consumazione è sufficiente che il soggetto passivo sia in qualunque modo costretto senza il suo consenso a compiere o subire atti sessuali.

A tali esiti interpretativi la giurisprudenza è arrivata attraverso l’elaborazione di una nozione sempre più lata e lontana dal significato letterale dei concetti di violenza e costrizione.

Dato incontrovertibile è che l’elemento della violenza tende sempre più a “spiritualizzarsi”, se non a essere addirittura espunto dal fatto tipico della fattispecie: sono stati infatti ricondotti alla fattispecie di violenza sessuale, fatti in cui l’agente aveva approfittato della situazione di angoscia provocata dall’aver instaurato un clima di violenza . 35

Ai fini della configurabilità o meno del reato in questione dunque, la giurisprudenza è venuta incontro all’interprete ritenendo esistenti episodi di violenza non solo quando

Sent. Cass., Sez. III, 12.02.2009, n. 15910.

questa si manifesti nella violenza fisica o in quella morale, ma, accontentandosi che la vittima abbia compiuto o subìto l’atto sessuale contro la propria volontà.

Emerge oggi dalla prassi giudiziaria che, gli elementi che i giudici ricercano per stabilire se un fatto sia sussumibile nella fattispecie criminale di violenza sessuale in realtà sono due:

a. il compimento di atti sessuali sul soggetto passivo; b. l’assenza del consenso del soggetto passivo.

Risultano di fatto, quasi ininfluenti gli altri elementi pure previsti dal legislatore (la condotta violenta, minacciosa, abusiva o la costrizione).

All’ultimo comma poi, il legislatore ha previsto una circostanza attenuante per i casi di minore gravità (pena diminuita in misura non eccedente i due terzi).

Si intendono i criteri oggettivi e soggettivi di cui al comma uno dell’art. 133 c.p. quelli a cui il giudice deve far riferimento per accertare i fatti di minore gravità . 36

Soggetto attivo del reato può essere chiunque, senza riguardo ovviamente a distinzione di sesso sia in ordine ai soggetti attivi che passivi.

Sono dunque suscettibili di ricadere nell’alveo applicativo della fattispecie, anche condotte omosessuali, indipendentemente dai requisiti fisici del soggetto attivo.

I reati sessuali presentano un c.d. numero oscuro assai elevato per cui si sono tradizionalmente distinte le rispettive caratteristiche criminologiche della criminalità sessuale sommersa e della criminalità sessuale nota, la quale rappresenta solo la punta dell’iceberg del fenomeno “violenza sessuale”.

La fattispecie obiettiva della violenza sessuale è stata costruita utilizzando un elemento di novità rispetto al passato: il fatto di reato consiste infatti nel compimento di atti sessuali.

Con questa espressione il legislatore ha voluto unificare i due reati di violenza carnale e di atti di libidine violenta precedentemente previsti dal codice, evidenziando che in relazione alla libertà sessuale non fa differenza la qualità dell’atto commesso.

Tutto ciò che attiene alla sfera sessuale ed è contrario alla volontà del soggetto, deve comunque considerarsi offensivo dell’interesse protetto.

Sent. Cass., Sez. III, 05.03.2008. - Sent. Cass., Sez. III, 12.10.2007.

Secondo un indirizzo interpretativo, gli atti sessuali si identificherebbero anche con gli atti di libidine, comprendendone l’intera gamma.

Gli atti di libidine dovrebbero essere considerati la categoria base degli atti sessuali, tra cui far rientrare tutte le manifestazioni di aggressività sessuale, incluse ovviamente tutte le forme di congiunzione carnale, e quindi anche quelle compenetrazioni con qualsiasi parte del corpo che abbia l’attitudine a causare un equivalente del coito, sia anale che orale.

Un differente punto di vista suggerisce di ricostruire la nozione di atti sessuali in modo più restrittivo di quella comunemente accolta di atti di libidine; vi sarebbero escluse le condotte che integrano vere e proprie molestie sessuali.

Le molestie sessuali segnerebbero dunque la soglia minima di rilevanza degli atti sessuali al di sotto della quale mancherebbe la tipicità.

In diversi commenti la dottrina ha lasciato intendere che la nozione di atti sessuali sia troppo generica e per la quale non si rinvenirebbe nemmeno una univoca determinazione neppure sul piano del linguaggio comune.

Questa carenza descrittiva finirebbe così per ripercuotersi sulla determinazione del fatto tipico.

Sicuramente si può affermare che la nozione di atto sessuale configura un elemento normativo extra-giuridico all’interno della struttura del reato, per la cui determinazione è necessario far riferimento alle scienze antropologiche e sociologiche: difficile non condividere l’assunto secondo cui è in base alla cultura ed ai costumi di un popolo che si configura ciò che è sessualmente rilevante.

Al termine sesso non dovrebbe essere attribuito il significato troppo restrittivo di zone genitali, ma comprensivo anche di tutte le altre parti del corpo che la scienza medica, psicologica ed antropologica solitamente considera come zone erogene.

Se così è, occorre che l’aggressione abbia ad oggetto una zona erogena del corpo della vittima.

Una simile ricostruzione però, sembra non essere esaustiva perché lascia scoperte tutte le situazioni in cui il comportamento del soggetto attivo della violenza è denso

univocamente di carica erotica ma si rivolge a parti del corpo che non possono essere considerate erogene.

Per una migliore interpretazione di atti sessuali, sarebbe necessario attribuire una corretta collocazione agli impulsi e alle intenzioni soggettive dell’autore del fatto: è giusto chiedersi se non debba venire in evidenza, in una valutazione complessiva del fatto oggetto del giudizio, anche la potenziale suscettibilità erotica del soggetto attivo, assieme all’oggettiva natura sessuale dell’atto in sé considerato.

Il requisito della costrizione, di cui si parla nel primo comma, sta a indicare che il fatto deve avvenire contro la volontà del soggetto.

Presupposto della costrizione fisica è dunque il dissenso del soggetto passivo del rapporto sessuale.

Il dissenso deve perdurare per tutto il tempo della violenza ma, può anche seguire ad un iniziale consenso, come spesso accade nel caso di minori che vengono costretti alla violenza, i quali vengono indotti a provare quell’esperienza e che, quando poi decidono di fermarsi, non possono che sottomettersi al volere del pedofilo.

La giurisprudenza ha specificato poi, qualora ve ne fosse stato bisogno, che la violenza non veniva meno se la vittima avesse smesso di resistere allo scopo di porre fine ad una situazione angosciosa ed insopportabile.

La seconda modalità di costrizione è data dalla minaccia o violenza morale, che viene intesa come la manifestazione del proposito di cagionare un danno o di determinare una situazione di pericolo, qualora il minacciato non acconsenta alla congiunzione carnale.

Naturalmente l’idoneità della minaccia a coartare la volontà della vittima deve essere valutata in relazione alle circostanze di tempo, di luogo e fisiche.

L’abuso di autorità costituisce la terza modalità di costrizione dl soggetto passivo. La nuova fattispecie (art. 600bis c.p.), incrimina tutte le ipotesi di esercizio di una qualsiasi forma di autorità sulla vittima, e non contiene un’espressa elencazione dei soggetti passivi: ricomprende tutti coloro che si trovano in uno stato di soggezione nei confronti di qualsiasi autorità.

A sua volta il concetto di autorità va riferito a qualsiasi posizione di superiorità o di preminenza, come può essere per esempio quella di un insegnante nei confronti di un suo studente.

La seconda fattispecie di violenza è quella dell’induzione (abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica e all’inganno mediante sostituzione di persona).

Il legislatore ha dunque richiesto, ai fini della punibilità dell’atto che l’atto sessuale sia stato compiuto abusando di tali condizioni al momento del fatto, e che a seguito di tale abuso, i soggetti siano stati indotti a presentare un consenso o comunque a subire, senza opporre resistenza, gli atti sessuali.

L’abuso in questo senso consiste nell’approfittamento delle condizioni del soggetto passivo.

L’induzione, a sua volta, potrà consistere in un comportamento sia di ordine materiale- fisico, sia verbale e non richiede necessariamente un vero e proprio inganno.

Infine, è punita la condotta di chi compie atti sessuali con inganno, sostituendosi ad altra persona.

La condotta incriminata consiste nel compiere atti sessuali mediante lo scambio di persona che deve avvenire mediante inganno, intesa come fraudolenta induzione in errore.

La fattispecie, assai singolare, ha subìto una profonda evoluzione ed oggi, grazie ai falsi profili sui social networks è di grande attualità perché balza agli onori della cronaca sempre più spesso.

Il dolo è generico, ed è quindi indifferente il fine per cui l’aggressore si voglia congiungere carnalmente con la vittima: è necessaria tuttavia la coscienza e volontà di costringere il soggetto passivo mediante l’uso di violenza o di minaccia a congiunzione carnale.

Nel caso di abuso di autorità occorre la coscienza e volontà di compiere atti sessuali abusando della propria posizione di autorità.

Una circostanza attenuante speciale è prevista nell’ipotesi del terzo comma per i casi di minore gravità, con diminuzione di pena in misura non eccedente i due terzi.

La disposizione desta perplessità non solo per il suo carattere indefinito e generico, ma soprattutto per la sua incongruità rispetto alle medesime finalità generali di tutela perseguite dallo stesso legislatore, che rischiano di essere fortemente frustrate dato che esiste la possibilità che all’attenuante in esame siano ricondotte tutte le condotte che, sotto la vecchia disciplina, si sarebbero fatte rientrare nella figura degli atti di libidine violenti, ma con trattamento sanzionatorio più mite rispetto quello precedentemente previsto dall’abrogato art. 521 c.p..

Se così fosse, la distinzione tra violenza carnale ed atti di libidine violenti rimarrebbe, per paradosso, ancora il principale criterio applicativo della nuova disciplina.

Sono previste inoltre pene accessorie che incidono sull’esercizio della potestà genitoriale o della tutela, ove il reato sia commesso dal genitore o dal tutore in danno del soggetto sul quale si esercita la potestà o la tutela . 37

G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale Parte speciale, I delitti contro la persona, cit. pag. 79.

Capitolo 7