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L’“ordine” di esibizione di esibizione nel diritto di accesso.

2. Le azioni di accertamento.

2.4 L’“ordine” di esibizione di esibizione nel diritto di accesso.

Com’è noto l’art. 25, della legge 7 agosto 1990, n. 241 prevede un rito speciale accelerato «contro le determinazioni amministrative concernenti l'accesso», .

L’accelerazione rispetto alle forme e ai tempi del processo ordinario è data dalla prevsione di terìmpi rapidi (30 giorni a fronte dei consueti 60) per la proposizione del ricorso, nonché nella previsione di un termine ultimo (30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso) per la conclusione del processo. Analoghi termini sono previsti poi per la proposizione dell’appello e per la conclusione del relativo processo.

Ma la novità di maggiore rilievo introdotta dalla L. 241/90 in tema di accesso, attiene senz’altro alla previsione del potere in capo al giudice amministrativo di adottare una sentenza di condanna nei confronti dell’amministrazione che abbia illegittimamente negato l’accesso alla documentazione amministrativa.

In tal senso l’art. 25, ult. comma, L. 241/90, prevede che il giudice amministrativo “sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti.”

Particolarmente controverso è l’oggetto del rito avverso le determinazioni dell’amministrazione in materia di accesso.

La soluzione muta, com’è evidente, a seconda della ricostruzione cui si intenda aderire in ordine alla natura giuridica del diritto di accesso: ove infatti si inquadri il diritto di accesso tra i diritti soggettivi, la previsione di un potere di condanna nei confronti della p.a. avrebbe carattere meramente ricognitivo, essendo espressamente prevista dalla legge Tar la possibilità per il g.a. di adottare sentenze di condanna nelle materie di giurisdizione esclusiva.

Diversamente invece ove si attribuisca natura di interesse legittimo al diritto di accesso, in questo caso la previsione un potere di condanna dell’amministrazione all’adozione di un comportamento specifico, costituirebbe un elemento di rottura dello schema tradizionale del processo amministrativo incentrato sul modello impugnatorio. Com’è noto sul punto la giurisprudenza si è assestata su due posizioni contrapposte. La prima fatta propria dalla nota decisione dell’Adunanza plenaria del consiglio di stato n.

16/99 e dalla Suprema Corte di Cassazione271, afferma che nonostante il dato testuale, la posizione giuridica di chi chiede l’ostensione dei provvedimenti amministrativi vada rettamente intesa come posizione di interesse legittimo suscettibile di soddisfazione solo in seguito all’esercizio di una potestà valutativa discrezionale riservata all’amministrazione; la seconda, viceversa, concordemente al dato letterale, propende per il riconoscimento in capo al richiedente l’accesso di una posizione di diritto soggettivo272.

Il dibattito in ordine alla natura giuridica del diritto di accesso è tornato al centro di rinnovata attenzione a seguito dell’entrata in vigore delle leggi 15 e 80 2005 che hanno apportato significative modifiche alla disciplina generale sul procedimento in genere e sull’accesso in particolare.

Per i fini che qui ci occupano assumono particolare rilevanza le modifiche apportate all’art. 22 c. 2 L. 241 nella parte in cui qualifica il diritto di accesso come principio generale dell’attività amministrativa attinente ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, c.2, lett. m) Cost. e nella parte in cui all’art. 25, c. 5 ha qualificato espressamente la giurisdizione amministrativa in materia di accesso come “esclusiva”.

La questione com’è noto è stata fatta oggetto delle recenti pronunce dell’Ad. Plenaria del Consiglio di Stato, nn. 6 e 7 del 2006, con le quali il massimo consesso di giustizia amministrativa chiamato a decisdere in ordine alla natura dewl tyermine previsto dall’art. 25 L. 241/90 per l’instaurazione del giudizio in materia di accesso ha ritenuto non utile ai fini della identificazione della disciplina applicabile al giudizio avverso le determinazioni concernenti l’accesso, prendere posizione in ordine alla natura della posizione soggettiva coinvolta.

Il diritto di accesso, secondo la riferita posizione, più che fornire un utilità finale all’istante, risulta caratterizzato per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale in quanto tali strumentali alla tutela dell’interesse finale.

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Cfr. <<La pretesa di accesso (mediante esame ed estrazione di copie) ai documenti amministrativi esistenti presso le amministrazioni statali (comprese le aziende autonome), gli enti pubblici (compresi quelli locali) ed i concessionari di pubblici servizi, pur trovando diretto fondamento nella legge (art. 22 ss. l. 7 agosto 1990 n. 241), è soggetta ad un apprezzamento da parte della P.A. (che nelle ipotesi previste dall'art. 24 può, con provvedimento motivato, rifiutare, differire o limitare l'esercizio dell'accesso) e costituisce perciò oggetto di una posizione soggettiva avente consistenza di interesse legittimo e tutelabile esclusivamente davanti al T.A.R. con il rimedio previsto dall'art. 25 della stessa legge>> Cass. civ., sez. un., 27/05/1994, n.5216, in Mass. Giur. It., 1994.

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La qualificazione in termini di diritto soggettivo è stata a più riprese ribadita i giurisprudenza: cfr. tra le tante Cons. stato, sez. IV, 27 agosto 1998, n. 1137, in Foro amm., 1997, 1638, ove lo si qualifica come autonomo diritto soggettivocall’informazione e se ne fa conseguire la devoluzione in see contenziosa alla giurisdizione esclusiva del g.a.

Secondo il Consesso di giustizia amministrativa peraltro la natura strumentale dell’accesso si riflette sul carattere strumentale dell’azione che deve essere idonea a garantire al tempo stesso la tutela dell’interesse e la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni dei controinteressati.

Ne consegue che nell’ambito di un giudizio a struttura impugantoria qual é quello descritto dall’art. 25 L. 241/90, il termine per la proposizione del ricorso deve ritenersi previsto a pena di decadenza. Dal riconoscimento del carattere decadenziale del termine per l’impugnativa discende che la mancata impugnazione del diniego entro il predetto termine non consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del nuovo provvedimento, dovendosi riconoscere piuttosto a quest’ultimo valore di mero atto confermativo del precedente diniego come tale non legittimante all’impugnativa se non a pena di un aggiramento del termine. In quest’ottica peraltro la reiterazione dell’istanza e l’impugnativa autonoma dell’eventuale ulteriore provvedimento di diniego potrà avvenire solo in presenza difatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell’originaria istanza.

In senso critico si è messo in rilievo che la previsione di una pronuncia che ordini all’amministrazione l’esibizione del documento non appare conciliabile con la pretesa natura impugnatoria del giudizio avverso il diniego di accesso, ma al contrario sembra più confacente alla ricostruzione di detto giudizio in termini di processo sul rapporto ossia di un processo idoneo a sfociare in una statuizione sulla spettanza del bene della vita controverso, senza rinviare ad una riedizione dell’esercizio del potere273.

Ed invero nel giudizio in materia di accesso infatti l'autorità giurisdizionale sembra “disinteressarsi” del provvedimento di diniego, per procedere ad un accertamento diretto della fondatezza della pretesa e della sussistenza dei presupposti dell'accesso.

La qualificazione del giudizio in materia di accesso come giudizio sul rapporto lascia irrisolte però alcune questioni interpretative.

Innanzitutto v’è da chiedersi infatti cosa accada nel caso in cui il ricorso venga proposto da un soggetto diverso dal richiedente, il quale si dolga della determinazione che accoglie la istanza di accesso. In tal caso, il giudice che accolga il ricorso non potrebbe ordinare l'ostensione dell'atto. Dovrebbe ammettersi, in coerenza con la premessa fatta in ordine alla natura del giudizio, che il giudice possa emettere in queste ipotesi un “ordine di non esibizione”. Tale soluzione è però osteggiata dalla

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giurisprudenza prevalente la quale, fedele al principio della tipicità dei poteri giurisdizionali, nega tale evenienza274.

Secondo la giurisprudenza prevalente il soggetto danneggiato dall’accoglimento dell’istanza di accesso, potrebbe solo instaurare un normale giudizio di impugnazione avverso la determinazione amministrativa, cui è collegato il consueto effetto conformativo.

Il che vuol dire che il soggetto danneggiato dall’atto di accesso dovrà subire tutti i limiti della tutela impugnatoria relativi ai tempi del processo, nonchè all’oggetto e agli effetti del giudicato.

Diversamente ove si ammetta che anche il soggetto danneggiato dall’accoglimento dell’istanza di accesso possa accedere al rito accelerato di cui all’art. 25 L. 241/90, in questo caso il giudizio da lui instaurato al pari di quello instaurato dal soggetto titolare del diritto di accesso, avrà ad oggetto l’intero rapporto intercorrente con l’amministrazione, con la conseguenza che la pronuncia del giudice non sarà limitata alla mera declaratoria dell’illegittimità della statuizione sull’accesso e del conseguente annullamento della stessa, ma potrà spingersi fino a censurare la fondatezza della pretesa sostanziale vantata dalla parte.

Il giudice amministrativo potrebbe pertanto adottare una pronuncia di condanna alla “non ostensione” dell’atto oggetto dell’istanza di accesso, specularmente alla pronuncia con la quale, ai sensi dell’art. 25, ult. comma, L. 241/90, ordina l’ostensione dello stesso.

Secondariamente, resta da chiarire se il ricorso avverso la determinazione in materia di accesso vada comunque accolto con l’ordine di esibizione (o con l’ordine di non esibizione, ove si ritenga di aderire alla tesi favorevole all’estensione del rito speciale anche all’impugnativa dell’atto di accoglimento dell’istanza di accesso), quando risulti insussistente la ragione posta a base del diniego, ovvero se – in sede giurisdizionale – possa rilevare una diversa ragione ostativa non rilevata dall’atto.

Se si concorda con la ricostruzione del giudizio in materia di accesso come processo sul rapporto la soluzione dovrebbe ritenersi obbligata. Non si comprende infatti come possa il giudice emettere una sentenza di condanna nei confronti dell’amministarzione ad un facere specifico qual’è quello all’ostensione (o alla non ostensione) dell’atto richiesto senza prima avere accertato la fondatezza della pretesa del ricorrente, ossia senza avere prima avere accertato l’esistenza di ulteriori ragioni,

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che l’amministrazione avrà l’onere di eccepire in giudizio, diverse da quelle poste alla base della motivazione del provvedimento eventualmente ostative all’accoglimento dell’istanza.

Il che com’ è evidente presuppone risolta in senso positivo le questioni di carattere generale relative alla possibilità per la p.a. di integrare la motivazione in corso di giudizio, nonché di proporre eccezioni in senso proprio nel processo amministrativo. Di entrambe le questioni si è trattato nel capitolo secondo al quale si fa rinvio.

2.5 L’accertamento “in negativo” della fondatezza della pretesa nel regime

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