• Non ci sono risultati.

Sindacato sulla pretesa sostanziale e tutela dei terzi: l’intervento “jussu judicis”.

Una volta ammesso che il giudice amministrativo possa accedere pienamente tanto al fatto, quanto ai motivi di diritto sottesi all’emanazione dell’atto impugnato, si pone un ulteriore e grave problema ricostruttivo con riferimento alla necessità, che di fronte alla maggiore ampiezza ed estensione del sindacato giudiziale, si pervenga ad un’analoga evoluzione delle forme di tutela dei controinteressati rispetto agli effetti del provvedimento la cui emanazione si assume come dovuta e viene pretesa in giudizio.173

Secondo l’impostazione tradizionale i controinteressati nel giudizio amministrativo sono quei soggetti che traggono vantaggio dall’atto che il ricorrente afferma invece produrre una lesione nella propria sfera giuridica174.

Nell’ottica tradizionale pertanto rivestono la qualità di controinteressati e, quindi, sono legittimati passivi, i titolari di un interesse analogo e contrario a quello che legittima la proposizione del ricorso giurisdizionale purchè, in ogni caso, siano individuati o, comunque, facilmente individuabili dal provvedimento impugnato.

I terzi controinteressati nello schema processuale della vocatio iudicis sono parti necessarie del processo alle quali pertanto il ricorso deve essere notificato ai fini della sua ammissibilità.

La giurisprudenza costante ha però, mitigando il rigore dell’art. 36 T. U. 1054 del 1924, consentendo che nel termine di decadenza il ricorso possa essere notificato ad uno solo dei cntrointeressati, salvo l’integrazione successiva nei confronti di tutti gli altri (arg. Ex art. 15, reg. proc. N. 642 del 1907).

Sempre secondo l’impostazione tradizionale, inoltre, non vi sarebbero controinteressati in senso proprio nei ricorsi contro gli atti di diniego e nei ricorsi contro il silenzio dell’amministrazione.175

L’assunto si fonda sulla considerazione secondo la quale il provvedimento di diniego (ovvero il mero silenzio) non attribuisce alcuna posizione favorevole, e, anzi

173

Sul punto si veda in particolare Corletto, La tutela dell’interesse al provvedimento, in Dir. proc. Amm., 2001, p. 932 e ss. e A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione, vol. II, cit., p. 31.

174

Per tutti cfr. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, op. cit., 617.

175

non innova in nulla la situazione esistente, ma si limita, semmai, ad evitare un pregiudizio a terzi.176

A tutti coloro che vantino un interesse sostanziale alla controversia pur non rivestendo la qualità di controinteressato in senso proprio, la giurisprudenza riconosce una tutela che si estrinseca nella possibilità di proporre intervento volontario ad opponendum177 ovvero di proporre appello avverso la decisione di primo grado, ferma restando la possibilità di impugnare il provvedimento che l’amministrazione abbia adottato in esecuzione del giudicato.

In ogni caso la posizione processuale del terzo titolare di interessi sostanziali coinvolti nella controversia appare danneggiata.

Nel primo caso, il soggetto interveniente o ricorrente in appello viene a perdere inevitabilmente un grado di giudizio, risultando soggetto all’efficacia della decisione di secondo grado allorché questa sia passata in giudicato178.

Nel secondo caso, invero, è del tutto evidente che altra è la situazione di colui che ottiene la possibilità di partecipare alla formazione della decisione giurisdizionale ed altra (e meno favorevole) è invece quella in cui si trova chi deve sostenere l’illegittimità di un provvedimento che la pubblica amministrazione ha emanato in attuazione del giudicato.179

Al fine di garantire una più adeguata tutela giurisdizionale ai terzi, in coerenza con i principi costituzionali, si impone pertanto una rimeditazione della nozione di controinteressato nel processo amministrativo.180

L’individuazione delle parti del giudizio dovrà avvenire pertanto non più (o meglio: non solo) in relazione all’atto impugnato e alla relativa questione di legittimità dedotta, quanto piuttosto, in relazione all’assetto sostanziale degli interessi pubblici e privati oggetto della controversia.

176

Sul tema v. D. Corletto, La tutela dell’interesse a provvedimento e i terzi, op. cit. 932; A. Travi, L’opposizione di terzo nel processo amministrativo, in foro it., 1997, III, 25 e ss; M. Tiberii, La tutela del terzo al bivio tra il rimedio dell’appello e/o dell’opposizione: una questione (non solo) di competenza, in Dir. proc. Amm., 1998, 495 ss.

177

Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 8 maggio 1996, n. 2, e cons. Stato, Ad. PLena, 24 luglio 1997, n. 15.

178

Conseguenza questa la cui particolare gravità è stata sottolineata in dottrina, tra gli altri, da E. Cannada Bartoli, Vicende dell’opposizione di terzo, in Giur. It. 1998, III, col. 1955; da G. Olivieri, L’opposizione di terzo nel processo amministrativo. Oggetto ed effetti, in Dir. proc. Amm., 1997, p. 40 e ss.

179

In termini D. Corletto, Opposizione di trzo, cit., p. 570.

180

Così F. Merusi, Il contraddittorio nel processo amministrativo, in dir. proc., amm, 1985, cit. p.10, secondo il quale “una rimeditazione sull’applicazione del principio del contraddittorio si rende … non più a lungo eludibile, perché prima o poi dovranno trarsi le conseguenze dal fatto che la nostra, come altre Costituzionali, ha fatto del principio del contraddittorio la magna charta di ogni processo e perciò anche del processo amministrativo”.

Ciò in attuazione del principio costituzionale dell’audiatur et altera pars nei confronti di tutti di soggetti portatori di interessi in potenziale conflitto con quello fatto valere con il ricorso giurisdizionale181.

Conseguentemente, dovranno ritenersi a tutti gli effetti parti legittime e necessarie tutti coloro che, pur non essendo agevolmente individuabili dall’atto impugnato, subirebbero una lesione diretta in conseguenza degli effetti prodotti da un eventuale sentenza accoglimento del ricorso (c.d. controinteressati occulti), ovvero coloro che risultino titolari di una posizione sostanziale di interesse qualificato alla sua conservazione, o comunque a tutti coloro che pur non rivestendo la qualifica di controinteressato al momento dell’impugnazione, siano divenuti interessati a seguito degli sviluppi del procedimento amministrativo avvenuti durante la pendenza del processo (c.d. controinteressati successivi).182

In assenza di indicazioni normative, resta da chiarire con quali modalità possa pervenirsi a tale risultato.

Le soluzioni prospettabile sono essenzialmente due: la prima è quella di imporre un più ampio onere probatorio in capo al ricorrente, la seconda consiste nel potenziamento dei poteri officiosi di chiamata in causa del terzo ex art. 107 c.p.c.

Entrambe le strade appaiono percorribili.

In considerazione della reale estensione della lite, infatti, ben potrà dirsi che un onere di notificazione del ricorso, a pena della sua inammissibilità, debba senz’altro riconoscersi in capo al ricorrente almeno in tutti quei casi in cui ci si trovi in presenza di un conflitto di interessi che sia, secondo la regola generale, agevolmente individuabile dal tenore dell’atto impugnato, ovvero oggettivamente risultante da una situazione sostanziale nella quale la pretesa appaia fin dall’inizio contrapposta ad una contro pretesa altrui (si pensi al ricorso avverso gli atti negativi ovvero contro gli atti di diniego).

181

In argomento, può rinviarsi per tutti, al classico scritto di F. Benvenuti, Contraddittorio (dir. amm.), voce dell’Enc. Dir., vol. IX, Milano, 1961, p. 741, ove viene affrontato “il problema della estensione del contraddittorio” alla luce “sia della speciale natura che della speciale struttura del processo amministrativo”. Ampi svolgimenti sul punto sono poi presenti negli studi monografici di L. Migliorini, IL contraddittorio nel processo amministrativo, Rimini, 1984, p. 71 ss; F. Pugliese, Nozione di contro interessato e modelli di processo amministrativo, Napoli, 1989, p. 161; F. Merusi, Il contraddittorio nel processo amministrativo, cit. p. 10.

182

La giurisprudenza amministrativa prevalente ritiene, invece, che l’esistenza o meno di contro interessati vada verificata al momento dell’introduzione del giudizio e non costituisce onere per vil ricorrente quello di seguire le ulteriori vicende del procedimento amministrativo: così tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 24 maggio 1996, n. 592, in Foro amm. 1996, p. 1553.

Al di fuori di queste più evidenti ipotesi tuttavia, non può ritenersi possibile la precostituzione di un più ampio onere di ricerca di potenziali contro interessati da imporre in capo al ricorrente a pena di inammissibilità.

Infatti l’estensione dell’obbligo di notifica oltre i limiti suddetti finirebbe inevitabilmente con il privare, di fatto, il ricorrente del proprio diritto alla difesa giurisdizionale.183

Né potrebbe costringersi il ricorrente ad operare valutazioni soggettive dell’interesse altrui, che nel dubbio, non avrebbero altro effetto che quello di moltiplicare notificazioni in modo tanto ampio quanto vago ed in definitiva, nella maggior parte dei casi, del tutto inutile.

Si pensi a titolo esemplificativo al ricorso avverso il diniego di permesso di costruire, in questo caso sarebbe ragionevole individuare a priori e in ogni caso il vicino come contro interessato?

Certo ogni vicino sarebbe legittimato ad impugnare il permesso una volta che questo sia stato concesso in esecuzione del giudicato, ma tale legittimazione resta legata ad una valutazione soggettiva del proprio interesse, non ancorato di per sé a dati oggettivi.

Analoghe riflessioni potrebbero estendersi a tutte le ipotesi di ricorso avverso provvedimenti di diniego.

E’ pertanto alla seconda alternativa sopra prospettata, ossia al ruolo e ai poteri officiosi del giudice ex art. 107 c.p.c. – da intendersi come norma generale e di principio in materia184 – che va affidato il compito di soddisfare l’esigenza, del tutto condivisibile, di consentire ai soggetti portatori di interessi di far sentire la loro voce già in sede di giudizio.

Com’è noto la giurisprudenza tradizionale ha escluso che nel processo amministrativo possano trovare ingresso le figure di intervento coatto previste dal codice di rito e segnatamente dell’intervento su istanza di parte e su ordine del giudice, di cui, rispettivamente agli artt. 106 e 107 c.p.c.185

183

Osserva esattamente E. Sticchi Damiani, Le parti necessarie nel processo amministrativo, Milano, 1988, p. 199 che se occorre certamente “soddisfare l’esigenza costituzionale della pienezza del contraddittorio, è necessario consentire altresì di salvaguardare in concreto il diritto, altrettanto costituzionale, all’accesso alla tutela giurisdizionale, che pure deve essere tenuto presente dalla legge processuale amministrativa e che verrebbe di fatto vanificato ipotizzando a carico del ricorrente l’onere (gravosissimo, se non diabolicum) di provvedere egli alla chiamata in causa di tutti gli

184

Sul punto E. Sticchi Damiani, Le parti necessarie nel processo amministrativo, cit., p. 195, secondo cui “lo strumento della chiamata iussu iudicis dei contro interessati … rientra nelle normali tecniche che qualsiasi giudice, quello ordinario come quello amministrativo, ha a disposizione per giungere a deliberare con piena cognizione sull’oggetto della controversia”.

185

Le ragioni poste a fondamento dell’orientamento più restrittivo sono rinvenibili essenzialmente nella pretesa inutilità di tali strumenti processuali nel giudizio amministrativo incentrato sulla tutela demolitoria avverso un atto amministrativo e nella pretesa inconciliabilità dell’intervento coatto con le caratteristiche strutturali del processo impugnatorio.

In questo senso rileverebbe l’assenza tra le norme che regolano il processo amministrativo di un espresso richiamo alla disciplina dell’intervento prevista dal codice di rito (com’è noto l’art. 37 del reg. di proc. Del 1907 prevede solo l’intervento volontario nel processo amministrativo).

Né potrebbe essere ricondotto all’intervento coatto, l’ordine del giudice di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i cotrointeressati, dato che questi non sono terzi (come invece gli intervenienti), bensì contraddittori necessari.

A favore della praticabilità di tale rimedio sembra invece orientata una parte della giurisprudenza 186.

Secondo questo indirizzo, il ricorso alla chiamata in causa del terzo ex art. 107 c.p.c., norma quest’ultima non derogata da norme speciali, deve ritenersi consentito tutte le volte in cui ciò risponda ad un’esigenza di giustizia sostanziale, ad una completa soddisfazione del principio dell’integrità del contraddittorio e di un’economia dei giudizi.

Nell’ottica di un processo orientato a sindacare la fondatezza (o l’infondatezza) della pretesa sostanziale avanzata dal ricorrente l’intervento in giudizio su istanza di parte o su ordine del giudice trova un ulteriore ragione giustificativa nell’esigenza di tutela dello stesso ricorrente, consentendogli di “vincolare” il terzo al giudicato per lui eventualmente favorevole, impedendogli iniziative successive quali l’impugnazione dell’atto amministrativo emanato dalla p.a. in esecuzione del giudicato o l’opposizione di terzo contro la sentenza.

Si pone a questo punto l’ulteriore problema di individuare i termini e le modalità con i quali le parti debbano introdurre un’eventuale chiamata in giudizio del terzo.

Per l’intervento jussu juducis non vi sono difficoltà a ritenere che il g.a. possa disporlo in qualunque momento del giudizio, salvo ad interrogarsi sulla sorte del processo in ipotesi in caso di mancata ottemperanza delle parti al suo ordine.

Più problematica appare l’evenienza di una chiamata ad istanza di parte.

186

Cons. stato, sez. IV, 11 febbraio 1998, n. 258; Tar Marche, 20 luglio 1976, n. 172 con nota adesiva di A. Romano, L’intervento “iussu iudicis” nel giudizio amministrativo, in Giur. Merito, 1977, III, 940 ss.

Come è stato osservato187, esigenze di celere, ordinato e razionale svolgimento del processo impongono che essa sia proposta entro un termine perentorio nelle prime battute del processo (così come avviene nel processo civile) e che sia autorizzata dal giudice previa valutazione, anche nel contraddittorio delle parti, della sussistenza delle condizioni per lo svolgimento del simultaneus processus.

Potrebbe quindi individuarsi nel ricorso incidentale lo strumento di introduzione della richiesta al giudice di chiamata del terzo, da realizzarsi – dopo l’autorizzazione del giudice – attraverso la notifica al terzo di apposito ricorso.

Comune alla chiamata ad istanza di parte e jussu judicis è, infine, la problematica relativa all’individuazione dell’organo – collegio o Presidente (o suo delegato) abilitato ad adottare l’autorizzazione /ordine per effettuate la chiamata del terzo.

Entrambe le soluzioni sono state prospettate come possibili.

In favore della competenza collegiale muovono essenzialmente esigenze di garanzia connesse alla delicatezza delle valutazioni da compiersi, in favore della competenza monocratica, viceversa, l’esigenza di garantire la concentrazione del processo, sia in fase di decisione sull’istanza di chiamata del terzo, che in fase di svolgimento dell’istruttoria.188

187

S. Veneziano, Ampliamento dell’oggetto del giudizio risarcitorio,: domanda riconvenzionale e chiamata in giudizio del terzo, op. cit.

188

Cap. IV

La fase decisoria ed il soddisfacimento dell’interesse sostanziale.

1. Aspetti generali della questione: le azioni proponibili innanzi al giudice

Outline

Documenti correlati