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Introduzione al tema: i “limiti oggettivi” del giudicato amministrativo nella dottrina e nella giurisprudenza tradizionali.

Secondo un tradizionale insegnamento322 il principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile, ossia rende incontrovertibili non solo le questioni che furono discusse e risolte, ma anche quelle che avrebbero potuto essere discusse, ma non lo furono323, avrebbe una portata diversa a seconda che venga riferito al processo civile o a quello amministrativo.

L’assunto si fonda sulla concezione del processo amministrativo come giudizio incentrato sul’atto e più precisamente sui profili di invalidità fatti valere nel ricorso.

In coerenza con tale ricostruzione dell’oggetto del processo il giudicato non investirà l’intero rapporto giuridico controverso, né il provvedimento impugnato nella sua interezza, bensì i singoli vizi denunciati dal ricorrente.

Con l’ulteriore conseguenza che la decisone di rigetto non preclude (almeno in astratto) al ricorrente la possibilità di far valere in un nuovo giudizio un motivo di illegittimità non proposto nel primo ricorso324, mentre dal punto di vista della pubblica amministrazione il giudicato si forma esclusivamente sul presupposto che in concreto è stato posto a fondamento dell’atto impugnato.

Cosicchè, annullato un atto amministrativo in accoglimento di uno dei motivi di ricorso, l’amministrazione può legittimamente emanare un nuovo atto del medesimo contenuto, purchè sia emendato dal vizio accertato dal giudice: e questo tanto nel caso in cui si ratti di un vizio meramente formale, quanto nel caso in cui si ratti di un vizio di natura sostanziale325.

Si tratta di un orientamento a ben vedere più attento a garantire il dinamismo dell’attività amministrativa che le reali esigenze di tutela del cittadino, se solo si

322

A. M. Sandulli, Il giudizio innanzi al Consiglio di Stato, Padova 1963, p. 53 e ss.

323

E. T. Liebman, Giudicato (Diritto processuale civile), voce in Enc. Giur. Trec., VIII, 1988.

324

A. M. Sandulli, Il giudizio, op. cit., p.55, nota 1.

325

consideri che nel sistema previgente alla recente riforma del 2005, in tema di vizi formali, il più formale e marginale dei vizi era destinato a travolgere l’atto.

Il che se da una parte sembrava rafforzare la posizione del privato assicurandogli comunque una vittoria immediata, dall’altra sembrava circoscrivere oltremodo l’efficacia del giudicato, impedendo quella cognizione piena del rapporto controverso che sola potrebbe veramente vincolare l’amministrazione nella fase successiva alla sentenza326.

La posizione del privato ricorrente è anzi aggravata da un indirizzo giurisprudenziale che tende a ridurre ancor più l’ambito di tutela del ricorrente.

Secondo un certo indirizzo infatti il giudicato amministrativo produrrebbe effetti differenti seconda che si tratti di giudicato di accoglimento o di rigetto.

Mentre nel primo caso varrebbero le tradizionali limitazioni del giudicato di annullamento in relazione ai vizi dedotti, nel secondo caso, il giudicato di rigetto sarebbe idoneo invece a coprire il dedotto e il deducibile.

La tesi trova fondamento nella considerazione che, a differenza di quanto accade nel processo civile, in cui il giudicato incide direttamente sul rapporto, nel processo amministrativo gli effetti della decisione restano circoscritti al provvedimento impugnato che, almeno secondo la tesi più tradizionale, rappresenta la res in judicium deducta; sicché rigettato il ricorso, la validità del provvedimento resta confermata in modo assoluto, restando preclusa una nuova contestazione avente ad oggetto lo stesso atto.

La tesi com’è evidente dà luogo ad una duplice direttrice nello sviluppo della teoria del giudicato: la prima, riferita al giudicato di rigetto, obbliga il ricorrente a dedurre in giudizio tutti i possibili motivi, a pena di inammissibilità in un eventuale nuovo giudizio,; la seconda riferita al giudicato di accoglimento, consente alla pubblica amministrazione di rinnovare, di fatto, l’atto annullato adottando un nuovo atto di identico contenuto rispetto a quello annullato ma emendato del vizio accertato dal giudicato.

In entrambe le ipotesi al ricorrente è riservata una posizione nettamente svantaggiata rispetto a quella dell’amministrazione in violazione dei principi costituzionali di parità delle parti e di effettività della tutela.

326

Per tali ragioni il suddetto indirizzo è stato osteggiato dalla dottrina più avvertita la quale non ha mancato altresì di rilevarne il contrasto con i principi basilari in materia di identificazione dell’azione.

Si è fatto rilevare in questo senso che anche per le sentenze di rigetto non può non valere il criterio che identifica l’azione sulla scorta della causa petendi, oltre che dei soggetti e del petitum; ne consegue che anche nel caso di rigetto si avrà identità di azione, e dunque preclusione processuale, solo nel caso in cui la nuova impugnativa venga fondata su censure di identico tenore rispetto a quelle poste a fondamento del ricorso originario327.

In ogni caso, anche a voler prescindere dagli eccessi della giurisprudenza, la nozione di giudicato amministrativo elaborata dalla dottrina tradizionale, appare ben lontana dalla corrispondente nozione civilistica del giudicato come “affermazione indiscutibile d’una volontà concreta della legge, che riconosce o disconosce un bene della vita a una delle parti”328.

Scopo del giudicato è infatti quello di dare certezza ai diritti rendendo incontrovertibile e immutabile l’accertamento contenuto nel giudicato329: immutabilità che riguarda tanto il procedimento di cui determina la fine (cosa giudicata in senso formale), che il rapporto controverso (cosa giudicata in senso sostanziale)330.

Naturalmente ogni discorso sul giudicato amministrativo deve tener conto delle peculiarità della sentenza amministrativa, tra cui prima tra tutte quella di intervenire su una “realtà in movimento” quale è l’attività amministrativa e l’esercizio della discrezionalità che ad essa normalmente si correla.

Sotto questo profilo come si è visto la ricostruzione operata dalla dottrina e dalla giurisprudenza tradizionali si mostra insoddisfacente, risolvendosi l’efficacia del giudicato amministrativo, nell’effetto “minimo” di precludere all’amministrazione la rinnovazione dell’atto affetto dai medesimi vizi che affliggevano il provvedimento annullato.

I tentativi operati dall’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale successiva, pur seguendo percorsi differenti come si dirà nelle pagine che seguono, appaiono in realtà

327

Guicciardi, La giustizia amministrativa, III, Padova, 1954, 283; A. Romano, La pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958, p. ; A. M. Sandulli, Il giudizio, cit., p. 417 ss.

328

Così G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, II ed., Napoli, 1935, p. 342.

329

Sul punto, Liebman, Manuale, op. cit., p. 259

330

Per la concezione unitaria del giudicato v. ancora Liebman, Manuale, op. cit.m, 267, secondo il quale “la distinzione tra cosa giudicata formale e sostanziale perde in buona parte la sua importanza” essendo “l’una e l’altra null’altro che immutabilità, i due suoi volti, il primo rivolto verso l’esterno, in quanto dà forma definitiva all’efficacia della sentenza e si pone come unica e non più discutibile configurazione che il diritto ha dato al rapporto o stato giuridico su cui il giudice ha pronunciato”.

muovere da una comune esigenza: quella di garantire al ricorrente vittorioso una tutela efficace nei confronti dell’attività amministrativa successiva al giudicato. Com’è evidente i problemi di maggiore spessore si pongono con riguardo agli interessi pretensivi per i quali il giudicato di annullamento si pone di per sé come povero di contenuti rispetto al successivo esercizio del potere.

Ma a ben vedere la questione si pone, anche se in termini necessariamente diversi e meno gravi, per gli interessi oppositivi, tutte le volte in cui al giudicato di annullamento sopravvivano spazi di discrezionalità che consentono all’amministrazione di reiterare il provvedimento lesivo.

2. Le principali critiche alla concezione tradizionale del giudicato amministrativo. Il

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