1. Gli strumenti probatori tipici del processo amministrativo consentono al g.a di sindacare la fondatezza della pretesa?
1.3 I limiti dell’istruzione probatoria nel giudizio di legittimità: la prova testimoniale.
Per la giurisdizione di legittimità valgono i soli mezzi istruttori indicati dall’art. 44, comma 1 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 : “Se la sezione, a cui è stato rimesso il ricorso riconosce che l’istruzione dell’affare è incompleta, o che i fatti affermati nell’atto o provvedimento impugnato sono in contraddizione con i documenti, può richiedere all’amministrazione interessata nuovi schiarimenti o documenti: ovvero ordinare all’amministrazione medesima di fare nuove verificazioni, autorizzando le parti ad assistervi ed anche a produrre determinati documenti, ovvero disporre consulenza tecnica.”
Da una prima lettura della disposizione citata è dato desumere che ancora oggi, e malgrado il rilevante intervento novellatore del 2000, la fase istruttoria nel processo amministrativo sia concentrata sulla prova documentale.
Resta invece il problema della prova in ordine a quei fatti o circostanze che non possono essere provate con l’utilizzo dei tradizionali strumenti istruttori previsti nel giudizio di legittimità (integrazioni documentali e chiarimenti da parte della p.a.) e per i quali si renderebbe necessario il ricorso alle prove c.d costituende (giuramento, confessione e testimonianza).
Un discorso a parte meritano le c.d. prove critiche o indiziarie o per presunzioni discendenti dalla dimostrazione di fatti secondari.149
Malgrado l’assenza di un chiaro richiamo alle norme civilistiche, l’ammissibilità di tale tipo di prove nel processo amministrativo deve ritenersi pacifica.
Il ricorso alla prova indiretta sembrerebbe anzi naturale in tutte le ipotesi in cui il ricorrente si trovi di fronte a poteri discrezionali della p.a. e debba provare il fatto principale costituito dall’inadempimento del dovere funzionale di provvedere favorevolmente a seguito di una legittima e ragionevole applicazione dei principi posti dall’ordinamento sull’esercizio di tali poteri.
E’ quanto avviene d’altra parte nel giudizio di annullamento tutte le volte in cui si faccia valere il vizio dell’eccesso di potere, in questo caso saranno le prove
149
Per tutti Proto Pisani, Appunti sulle prove civili, cit., col. 53, che ricorda come “la c.d. prova critica o indiziaria o per presunzioni di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. si ha allorché la conoscenza del fatto principiale ignoto è desunta da uno o più fatti secondari (fonti di presunzione) in base ad un ragionamento logico deduttivo ulteriore rispetto a quello sulla cui base è stata acquisita la conoscenza del fatto secondario”.
documentali precostituite (nel procedimento) ad integrare i fatti secondari dai quali far discendere per via di un ragionamento critico-indiziario, la prova dell’esistenza o meno del fatto principale ed il relativo convincimento del giudice.
Delle c.d. prove legali e del limite alla loro assunzione nel processo amministrativo si è già detto in precedenza, in questa sede occorre dunque focalizzare l’attenzione sulla prova testimoniale.
La testimonianza o prova testimoniale è quella narrazione dei fatti della causa al giudice compiuta nel corso del processo (c.d. prova costituenda) e con determinate forme, da soggetti che non sono parti nel processo stesso (ed anzi sono estranei agli interessi in contesa).150
L’attendibilità della prova è data proprio dal provenire le dichiarazioni da soggetti terzi imparziali151, l’imparzialità del teste è ciò che vale a distinguere, sotto diverso profilo, la testimonianza dalla confessione e dal giuramento.
A differenza della confessione e del giuramento il legislatore non attribuisce alla testimonianza il valore di prova legale, lasciando al giudice la più ampia libertà di apprezzamento della prova.
Non si pone pertanto alcun ostacolo all’ammissione del mezzo di prova nel giudizio amministrativo sotto il profilo del rispetto del principio di libera determinazione del giudice.
Tuttavia la giurisprudenza ha mostrato tradizionalmente un atteggiamento di chiusura, e ciò, come si è visto, anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva nelle quali per effetto del rinvio operato dall’art. 35 d.lgs. 80/98 ai mezzi istruttori previsti dal codice di rito la piena operatività della prova testimoniale dovrebbe invece ritenersi pacifica.
In realtà la giurisprudenza amministrativa si è mostrata restia ad ammettere la prova testimoniale in tutte le controversie in cui si vertesse in tema di interessi legittimi, tanto in sede di giurisdizione esclusiva che in sede di legittimità.152
A sostegno di tale posizione si fa rilevare che l’art. 44 T.U. Cons. Stato, anche nel testo novellato dalla L. 205/00, continua tacere circa la possibilità, ammessa dall’art. 35 D.lgs. 80/98 per la sola giurisdizione esclusiva del g.a., di utilizzare nel processo amministrativo le prove esperibili nel processo civile.
150
Sulla prova testimoniale in generale, v. Andreoli, Prova testimoniale (dir. proc. Civ.) in Novissimo Dig. It., XIV, Torino, 1967, p. 329 e ss. e del Taruffo, Prova testimonial (dir. proc. Civ.), in Enc. Del diritto, XXXVII, Milano, 1988, p. 729 e ss. e Dittrich, I limiti soggettivi della prova testimoniale, Milano, 2000.
151
Mandrioli, Diritto processuale civile, op. cit. 267.
152
Sotto il profilo storico - sistematico si tende a valorizzare quanto affermato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 251/89 con la quale la Consulta ha confermato la legittimità del sistema di istruzione processuale vigente nella giurisdizione generale di legittimità, ritenuto dalla Corte “sufficientemente articolato per soddisfare le esigenze proprie dei giudizi di annullamento di atti amministrativi impugnati per motivi di legittimità”.
In genere la ritrosia del g.a. ad ammettere nelle controversie vertenti in tema di interessi legittimi la prova testimoniale trae fondamento dalla concezione tradizionale del processo amministrativo imperniata sulla verifica estrinseca della legittimità del provvedimento impugnato, verifica non necessitante, almeno di regola, di essere supportata da fatti diversi da quelli acquisiti nel corso della procedura e risultanti dalla produzione documentale.
Si afferma così che al risultato pratico cui mira l’assunzione della prova testimoniale può pervenirsi nel giudizio amministrativo attraverso il ricorso allo strumento, che da sempre rientra nella disponibilità del g.a., della richiesta di chiarimenti alla pubblica amministrazione.153
Un ulteriore argomento in favore della pretesa inutilità della prova testimoniale nel processo amministrativo è stato tratto dalla scarsa applicazione che dello strumento probatorio è stata fatta nelle stesse materie di giurisdizione esclusiva per le quali è espressamente prevista.
In senso favorevole all’ammissibilità del mezzo istruttorio anche nelle controversie vertenti in tema di interessi legittimi sono state poste invece argomentazioni di diverso tenore.154
Innanzitutto il più ampio diritto alla prova appare imposto dal rispetto dei principi comunitari in tema di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive fondate sul diritto comunitario e sollecitato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che in più occasioni ha giudicato lesivo dell’art. 6, par. CEDU il fatto che sia stato negato il diritto alla prova testimoniale in tutte le ipotesi in cui la
153
In generale, sui contenuti di tale mezzo istruttorio, può operarsi un rinvio alle opere di Migliorini, L’istruzione nel processo amministrativo di legittimità, Padova, 1977, p. 15 ss. e C. E. Gallo, La prova nel processo amministrativo, op. cit., p. 145 e ss.; G. Corso, Istruttoria nel processo amministrativo (voce), op. cit.
154
prova del fatto allegato non può essere fornita facendo ricorso ad altri mezzi istruttori.155
Secondariamente, il principio del giusto processo consacrato dal nuovo art. 111 Cost. in uno con gli att. 24, 103 e 113 Cost. in tema di effettività della tutela giurisdizionale nei confronti della p.a., osta ad una preclusione astratta che escluda in senso assoluto l’esperibilità di prove in ipotesi necessarie.
In terzo luogo non appaiono dirimenti le argomentazioni svolte dal giudice costituzionale nella citata decisione del 1989, fedeli ad una concezione non più attuale del processo amministrativo, come è dato evincere dal prosieguo della motivazione laddove si legge come sia “di norma nel dominio dell’amministrazione la possibilità di fornire la prova di certi fatti, se, ai fini della decisione occorra verificare la veridicità dei fatti posti a fondamento dell’atto e le conseguenze del mancato assolvimento di questo, spettando al giudice…di trarre il proprio convincimento dal comportamento dell’amministrazione che non sia stata in grado di dimostrare quanto affermato”.
E’ chiaro, infatti, che se un simile capovolgimento delle regole sull’onere della prova poteva, forse, ancora giustificarsi nella logica del processo di mero annullamento dell’atto impugnato, questo non avrebbe potuto in alcun modo ammettersi ove riproposto con riferimento ai giudizi di accertamento e di condanna.
Opportunamente, pertanto, è intervenuto il legislatore ammettendo espressamente la possibilità di utilizzare lo strumento probatorio in questione almeno nelle materie di giurisdizione esclusiva nelle quali possono più di frequente instaurarsi giudizi del genere predetto.
Né maggiormente fondata appare l’eccezione fondata sulla assimilazione tra prova testimoniale e il mezzo istruttorio della richiesta di chiarimenti alla p.a.
Ciò per una duplice ragione.
Innanzitutto la richiesta di chiarimenti è strettamente ancorata ai documenti prodotti in giudizio: essa viene fatta quando, nonostante l’avvenuto deposito, permane un contrasto fra le rappresentazioni dei fatti prospettate dalle parti, che non è risolubile allo stato degli atti.156
Secondariamente, e tale aspetto appare degno di maggior rilievo, la richiesta di chiarimenti a differenza della testimonianza è rivolta ad un soggetto, la p.a., che non è terzo rispetto alle parti in causa.
155
Corte eur. Dir. uomo, sent. Dombo Beheer B. V. – Paesi Bassi, 27 novembre 1993, n. 74, in Giur. It., 1996, I, 1, p. 153 e ss, con nota di Tonolli, Il legale rappresentante di enti.
156
Di qui l’erroneità delle ricostruzioni che tendono ad assimilare la richiesta di chiarimenti a quel particolare mezzo istruttorio proprio del processo costituito dalla richiesta di informazioni alla p.a. (art. 213 c.p.c.): in questo caso infatti, l’amministrazione è terza rispetto alle parti, a differenza del processo amministrativo in cui, di regola, è parte resistente.
Ne discende la diversa efficacia probatoria dei due strumenti: proprio perché i chiarimenti provengono da una delle parti in causa che tendenzialmente tenderà a formularli in modo a sé vantaggioso, minore sarà l’attendibilità, e dunque la forza probatoria, di questi ultimi rispetto alle dichiarazioni rese in sede testimoniale.
Non sembra pertanto che, anche sotto il profilo sistematico, osti alcuna peculiarità dell’ordinamento processuale amministrativo alla definitiva introduzione della prova testimoniale nell’ordinamento processuale amministrativo, anche nei giudizi di legittimità.
Per contro le limitazioni all’assunzione del mezzo di prova testimoniale potranno ricavarsi, “per quanto è possibile” (così recita l’art. 29 del regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato) dai principi e dalle regole contenute nel codice di rito.157
Tra i principi e le regole che disciplinano l’assunzione della prova testimoniale nel processo civile vengono in rilievo in particolare le disposizioni che prevedono i c.d. limiti oggettivi e soggettivi 158 della prova testimoniale.
La disciplina dei limiti oggettivi alla prova testimoniale è invece ricavabile dal diritto sostanziale e, segnatamente dagli artt. 2721 e ss. c.c. che escludono il ricorso alla prova testimoniale per i contratti e, con alcune eccezioni espressamente previste dal legislatore, i patti aggiunti o contrari al contenuto di documenti.
si profili.
I limiti soggettivi alla prova testimoniale sono invece ricavabili essenzialmente dagli artt. 246 e 249 c.p.c. i quali sanciscono, rispettivamente le ipotesi di incapacità di testimoniare e i casi in cui il testimone ha facoltà di astenersi dal testimoniare
157
Com’è noto, l’art. 29 del regolamento di procedura innanzi al Consiglio di stato, rinvia quanto alle modalità di assunzione dei mezzi di prova (ivi compresa la prova testimoniale espressamente prevista solo per il giudizio di merito), alle disposizioni contenute nel codice di rito.
158
(disposizione quest’ultima che rinvia per l’individuazione concreta dei casi di astensione agli artt. 200-202 c.p.p.).159
Particolarmente discussa in dottrina160 è la possibilità del pubblico dipendente di astenersi dal dovere di testimoniare facendo valere il segreto di ufficio sui fatti sui quali è chiamato a deporre.
In linea di principio l’esistenza di un segreto d‘ufficio rientra in una delle ipotesi nelle quali l’art. 202 c.p.p. richiamato dall’art. 249 c.p.c. prevede l’obbligo di astensione. Tuttavia la questione va rivista alla luce della novella dell’art. 15 D.P.R. n. 3/1957 attuata dall’art. 28 L. 241/90, secondo cui l’impiegato continua ad essere tenuto al segreto d’ufficio circa le informazioni e le notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, “al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto d’accesso”.
A seguito della citata riforma - che a ben vedere è riflesso di un più ampio capovolgimento del rapporto tra trasparenza e riservatezza nell’attività amministrativa - può quindi ritenersi che il pubblico impiegato chiamato testimoniare nel processo amministrativo non possa più invocare alcuna facoltà o alcun obbligo di astensione nei casi in cui trova applicazione il diritto di acceso.
L’astensione resta invece doverosa nelle ipotesi in cui la notizia o l’informazione riguarda il contenuto di un documento che sia sottratto al diritto di accesso161.
Parte della dottrina ha ravvisato nella possibilità di deferire al responsabile del procedimento la prova testimoniale un importante strumento per consentire l’emersione in giudizio di tutti i motivi di diritto che hanno condotto alla negazione della pretesa sostanziale avanzata dal ricorrente.162
159
Accanto a tali fattispecie in verità il codice contemplava un’altra categoria di limitazioni per i soggetti cui era fatto divieto di testimoniare in ragione dei particolari vincoli di parentela o di affiliazione che lega il testimone rispetto a taluna delle parti del giudizio. La previsione, contenuta nell’art. 247 c.p.c. è stat dichiarata costituzionalmente illegittima perché ritenuta contrastante con il diritto alla difesa giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost.
160
B. Valensise, Brevi osservazioni nel sistema delle prove nel “nuovo” processo amministrativo e sul rapporto tra prova testimoniale ed il segreto d’ufficio dei dipendenti pubblici, in Dir. proc. Amm., 2001, 1008 ss.
161
In questo senso G. Corso, Istruttoria, op. cit.
162
Cfr. A Police, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, Padova 2000, p. 52-53. secondo l’A. l’escussione in qualità di testimone del responsabile del procedimento potrebbe consentire al giudice di operare “un controllo effettivo e sostanziale dei motivi per i quali un provvedimento è stato adottato … non limitato a quanto di essi viene esposto nella motivazione dell’atto impugnato”. Nello stesso senso pure M. Sica, Prova testimoniale e processo amministrativo, cit., p. 908, che aderisce alla tesi testé esposta ritenendo che la testimonianza del responsabile del procedimento “dovrebbe essere di regola insostituibile essendo la persona che più di ogni altra conosce i fatti”.
La tesi, per quanto suggestiva, non manca di destare perplessità: appare quanto meno dubbio che il responsabile del procedimento e il dipendente pubblico in genere possano considerarsi “terzi” rispetto agli interessi in contesa.
Assume rilievo sul punto il costante orientamento della giurisprudenza civile che in tema di rappresentanza tende a negare la legittimazione a deporre come testimone al rappresentante, sia pure legale, organico o volontario.163
163
Cfr. Cass. 17 luglio 1998, n. 7028; Trib. Bologna 18 ottobre 1974, in Giur. It., 1976, I, 2, 300; Cass. 19 aprile 1980, n. 2580; in dottrina v. A Ciappi, in riv. dir. proc., 1988, n.273, a commento critico di Pret. Bologna 24 aprile 1985, che si era pronunciato in senso contrario, con riguardo, tuttavia all’ipotesi più specifica della rappresentanza nel processo del lavoro ai sensi dell’art. 420, comma 2 c.p.c.
1.4 L’accesso al fatto e la consulenza tecnica d’ufficio: rapporti con il sindacato