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La prassi dell’assorbimento dei motivi.

3. La corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

3.1 La prassi dell’assorbimento dei motivi.

La nozione di assorbimento accomuna fenomeni in realtà molto differenti tra loro il cui elemento distintivo è rappresentato in ogni caso da una mancata pronuncia relativa ad un punto della controversia.

Si suole distinguere così tra assorbimento in senso proprio che ricorre tutte le volte in cui tra le questioni proposte intercorra un particolare nesso logico in virtù del quale la soluzione data all’una (sia essa una questione principale o assorbente) preclude o rende superfluo l’esame delle altre.

Si pensi ad es. alle ipotesi in cui in cui una domanda (condizionata) sia proposta sotto condizione che un’altra sia accolta (principale), ovvero all’ipotesi in cui una domanda (subordinata) sia proposta per l’evenienza che l’altra sia respinta.

L’assorbimento in senso proprio può discendere altresì dalle caratteristiche intrinseche delle questioni proposte, si pensi ai motivi di ricorso che prospettando un profilo di illegittimità più radicale “assorbano” i motivi che configurino illegittimità meno incisive.

In entrambe le ipotesi l’assorbimento dei motivi e la conseguente mancata pronuncia su una parte della domanda non dà luogo ad alcuna violazione della regola della coincidenza tra il chiesto e il pronunciato, costituendo al contrario, in alcuni casi, applicazione del principio medesimo.

Diversa è invece l’incidenza sul principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato del c.d. assorbimento improprio dei motivi, intendendo per tale la prassi giurisprudenziale, fondata su ragioni di economia processuale, secondo la quale una volta accolto il ricorso per un motivo, il giudice è esonerato dallo scendere all’esame delle altre doglianze prospettate.

Nella pratica del processo amministrativo il ricorso all'assorbimento avviene in situazioni differenti, e difficilmente assimilabili dal punto di vista teorico: a) innanzitutto si può avere assorbimento tra diverse questioni ugualmente di rito (nel senso che il giudice, risolta in senso ostativo all'esame del merito una questione pregiudiziale, omette di pronunciare sulle altre);

b) in secondo luogo, ed assai di frequente, si ricorre alla pratica dell'assorbimento nei rapporti tra questioni di rito e merito della controversia (così che il giudice, ritenuto il

ricorso infondato nel merito, si astiene dall’esame delle eccezioni litis ingressum impedientes);

c) infine l'assorbimento può interessare alcuni motivi di ricorso (per cui, ritenuto fondato uno di questi, il giudice annulla l'atto impugnato senza esaminare gli ulteriori profili di illegittimità denunciati).

Prescindendo dall’esame delle prime due ipotesi, sembra opportuno, ai fini della presente disamina, restringere il campo d'indagine a quest’ultima fattispecie.

La questione relativa alla compatibilità della prassi dell’assorbimento dei motivi di ricorso con il principio della domanda è strettamente connessa alla diversa questione relativa alla individuazione della domanda nel processo amministrativo.

In sostanza si discute se con il ricorso al giudice amministrativo siano esercitate tante azioni quanti sono i vizi motivi dedotti (con la conseguenza che altrettanti saranno i capi della domanda corrispondenti), ovvero se l’azione resti unica (così che unica sarà anche la domanda) anche in presenza di una molteplicità di doglianze.

Se si ritiene unica l’azione esercitata e la correlativa domanda112 restino unitarie malgrado la prospettazione di diversi motivi di ricorso, questi ultimi costituiscono solo singoli punti di cognizione all’interno della stessa domanda e poiché il dovere di pronuncia del giudice è riferito esclusivamente alla domanda, ne discende che l’organo giudicante potrà liberamente scegliere in ordine ai motivi da esaminare e all’iter da seguire per giungere ad una pronuncia che esaurisca la richiesta di annullamento.

Ne consegue che il mancato esame di alcuni dei profili di illegittimità dedotti non comporterà in ogni caso omissione di pronuncia anche quando avvenga nelle forme dell’assorbimento improprio.

112

In questo senso v. Andreani, Forma del ricorso ed esercizio dell'azione nel giudizio amministrativo, in questa Rivista, 1983, 243 e ss., spec. 258; la presenza di una pluralità di azioni esercitate nell'unico processo è sostenuta anche da Gleijeses, Profili sostanziali del processo amministrativo, Napoli, 1962, 155-158, spec. nelle note 27 e 28, dove si contesta apertamente l'opinione opposta. Lo stesso A., tuttavia, propone una ricostruzione della nozione di causa petendi che si discosta da quella tradizionale, d'impostazione chiovendiana, e viene ad essere individuata non direttamente nel singolo motivo, ma nella affermata lesione di una situazione soggettiva sostanziale, alla quale, peraltro, il vizio è indissolubilmente connesso; in termini non dissimili, più di recente, cfr. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, 248-249; sul punto v. anche Sandulli, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963, 54-55, nonché 57, nota 1; La Valle, Il vincolo del giudice amministrativo ai motivi di parte, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, 84 e ss.

Al contrario affermando la corrispondenza motivo di ricorso/diritto/azione/domanda113, l’assorbimento improprio, quando non sia riconducibile ad una statuizione implicita, comporta una omissione di pronuncia su un punto autonomo della controversia.

Conclusioni non dissimili possono essere raggiunte muovendo dalle posizioni che caratterizzano la tesi intermedia (Nigro) tendente a raggruppare i motivi di ricorso in capi di domanda a seconda degli effetti (pieni, semipieni e vincolanti) che sono idonei a determinare a carico dell’amministrazione nel caso del loro accoglimento114. Sicchè, secondo tale ultima ricostruzione, l’assorbimento dei motivi potrebbe avvenire solo tra motivi riconducibili allo stesso capo della domanda.115

Altra dottrina (Casetta)116 tende a identificare ogni singolo motivo di gravame con un autonomo capo della domanda con la conseguenza di ammettere l’assorbimento dei motivi soltanto nell’ambito dello stesso capo di domanda, ossia con riferimento ai punti di cognizione che vi confluiscono.

Alla tesi della pluralità di azioni sembra aver aderito anche la giurisprudenza tradizionale117, malgrado non siano molte le pronunce che prendono espressa posizione sul punto.

113

Nel senso dell’unicità dell’azione sembra doversi intendere, tra gli altri, anche l'opinione di F. Satta, Giustizia amministrativa, Padova, 1988, 207, il quale, dalla constatazione che nel processo amministrativo sono generalmente prospettati più vizi, anche con il medesimo motivo, deduce che «questi vizi non sono in realtà figure autonome, che trovino effettivo riscontro sul piano del giudizio, ma sono soltanto aspetti di un unico vizio ...: è il vizio di legittimità, cioè l'ingiustizia della valutazione discrezionale che, non denunciabile come tale, può essere espressa solo in termini di difformità del provvedimento rispetto ad una serie di principi e criteri di correttezza giuridica e razionalità di condotta e di giudizio, cui l'amministrazione deve adeguarsi».

114

In tal senso Nigro, L'appello, cit., 436 e ss., spec. 437: «La domanda di annullamento con pluralità di motivi che pur muove dall'affermazione di un solo diritto all'annullamento, si scinde così in tanti capi, quante sono le dimensioni di vincolo - e quindi i tipi di vantaggio - che i diversi motivi possono produrre attraverso l'annullamento».

115

Cfr. Nigro, L’appello, cit., p. 33 il quale ritiene che la tesi della pluralità dei diritti di impugnazione ciascuno correlato ad un motivo di ricorso non riesce a spiegare “il fenomeno dell’assorbimento innanzitutto; in secondo luogo il fatto che che non ogni motivo di ricorso dà luogo ad un distinto capo di domanda (…); infine, lo stesso istituto dei motivi aggiunti”. In senso analogo Piras, Interesse legittimo, iI, cit., p. 255-256.

116

Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2008, 791.

117

Così, espressamente, Cons. Stato, sez. V, 16 marzo 1987, n. 203, in Cons. St., 1987, I, 344; Cons. Stato, sez. V, 16 settembre 1993, n. 903, in Giur. it., 1994, III, 1, 504 con nota di Cannada Bartoli, Soccombenza parziale del ricorrente e appellabilità della sentenza. Diversa opinione è invece espressa in una non recente decisione: v. Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 1978, n. 408, in Cons. St., 1978, I, 623, dove si afferma che la domanda che rileva ai sensi dell'art. 112 c.p.c. sarebbe unicamente la domanda di annullamento dell'atto, indipendentemente dai vizi-motivo che la caratterizzano.

A parere di chi scrive la prassi giurisprudenziale dell’assorbimento (improprio) dei motivi andrebbe rimeditata oltre che per i citati profili di incompatibilità con il principio della domanda, in ragione di due ulteriori ordini di considerazioni.

Innanzitutto essa sembra inconcilabile con la natura del giudicato amministrativo di annullamento la cui caratteristica è quella di incidere su una realtà in movimento quale è l’azione amministrativa nel suo divenire. Ne discende che tanto più ampi saranno i profili cognitori e decisori del giudice amministrativo, tanto più incisivo sarà il conseguente effetto del giudicato sull’attività amministrativa susseguente.

Secondariamente la prassi dell’assorbimento dei motivi non appare conciliabile con la possibilità di chiedere tanto in sede di giurisdizione esclusiva, che di legittimità, la tutela risarcitoria.

Infatti presupposto costantemente affermato dalla giurisprudenza per l’ammissibilità dell’assorbimento è quello che dall’eventuale accoglimento della censura assorbita non possa derivare alcun vantaggio al ricorrente, evenienza questa che oggi dovrà essere vagliata anche sotto il profilo risarcitorio.118

118

In questo senso sembra orientata la più recente giurisprudenza cfr. Cons. Stato, sez.VI, 20 novembre 2007-25 gennaio 2008, n. 213.

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