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LA TUTELA DELL'IDENTITÀ DELL'AGENTE UNDERCOVER Le difficoltà relative alla testimonianza dell'agente infiltrato, che per ora

LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

PROFILI PROCESSUALI DELLA FIGURA

B) LA TUTELA DELL'IDENTITÀ DELL'AGENTE UNDERCOVER Le difficoltà relative alla testimonianza dell'agente infiltrato, che per ora

abbiamo solo delineato a grandi linee, fanno emergere una problematica parallela alla quale non si è potuto dare soluzione positiva sino a quando è dovuto intervenire il legislatore, con uno specifico intervento normativo, con cui ha provato a dirimere una volta per tutte la questione: infatti, con l'aumento delle forme di criminalità avverso le quali possono utilizzarsi strumenti d'indagine non convenzionali, si è avvertita con intensità sempre maggiore l'esigenza di tutelare nel giudizio l'identità dell'agente sotto copertura.

Detto questo, per quanto attiene alla fase investigativa, il comma 5 dell'art. 9 L. 146/2006 prevede che per l'esecuzione delle operazioni possa essere autorizzata l'utilizzazione di documenti di copertura: con questo discorso la norma intende «assicurare la necessaria segretezza circa le effettive generalità dei soggetti che operino sotto copertura, ponendoli al riparo da intuibili pericoli nell'espletamento di siffatte e delicate attribuzioni»187; le maggiori perplessità, come ben si può intuire, vengono a palesarsi nel 187 A. Cisterna, Attività sotto copertura, arriva lo statuto, in Guida dir. 2006 n. 17,

momento processuale, in ragione della necessità di esaminare l'agente infiltrato e i suoi ausiliari. Il legislatore, infatti, si era inizialmente preoccupato esclusivamente del momento investigativo, trascurando che l'agente di polizia giudiziaria nonché i privati che abbiano collaborato all'attività, dovranno poi essere sentiti in dibattimento, con lo sgradevole obbligo di rivelare le proprie generalità autentiche188; al riguardo, sono stati sollevati notevoli dubbi circa la possibilità che gli ufficiali di polizia e gli ausiliari potessero far ricorso all'identità di copertura ogniqualvolta, cessata l'operazione, fossero chiamati a deporre in sede dibattimentale o di incidente probatorio in quanto la versione originaria del comma 5 art. 9 L. 146/2006 consentiva l'utilizzazione dei documenti di copertura all'interno della sola fase investigativa189.

Alcuni autori, assecondando la ratio della disposizione, aveva sostenuto che la locuzione poteva essere intesa in senso finalistico, ossia legittimante l'utilizzo delle false generalità «al fine di creare una immutatio veri per tutto il tempo in cui l'operazione è destinata a spiegare i propri effetti, ivi inclusa la fase della successiva deposizione dibattimentale»190. Le esigenze connesse ad una simile estensione dibattimentale della copertura investigativa erano così pressanti da giustificare una deroga al disposto dell'art. 497 comma 2 c.p.p, ovvero nella possibilità di consentire di declinare le proprie generalità a favore dell'identità fittiziamente utilizzata nell'operazione: una tale soluzione si riteneva pertanto che permettesse di non rendere inutile la disciplina sanzionatoria del comma 10 dell'art. 9 L. 146/2006 che prevede la reclusione da 2 a 6 anni per chiunque, in costanza di svolgimento delle operazioni sotto copertura, indebitamente riveli ovvero divulghi i nomi degli ufficiali o agenti della polizia giudiziaria impegnati nelle operazioni.

In realtà, in mancanza di una espressa previsione legislativa, la possibilità di sentire i soggetti protagonisti delle indagini con la loro identità “di copertura” sembrava doversi escludere poiché una norma di carattere eccezionale all'interno del sistema codicistico non può, in nessun caso, essere desunta da esigenze processuali correlate: la soluzione è scaturita dal recente intervento 188 L. Filippi, D.L. 374/2001 Profili processuali, in Dir. Pen. Proc. 2002, 166

189 G. Barrocu, op. cit. pag. 114 190 A. Cisterna, op. cit. pag. 83

legislativo che, per mezzo dell'art. 3 L. 136/2010, ha introdotto il comma 2- bis all'art. 497 c.p.p; la norma, che ad una prima lettura può sembrare di importanza secondaria o relativa, ha in realtà un impatto enorme su tutta la disciplina processuale: infatti, da un lato «rome il muro codicistico»191 permettendo all'attività sotto copertura di insediarsi nella normativa ordinaria confermando così la volontà legislativa di considerare questo strumento probatorio quale mezzo tipico anche se riservato a reati nominalmente selezionati, dall'altro, introduce nel nostro sistema una forma di testimonianza anonima.

La disposizione si limita a prevedere che «gli ufficiali di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, gli ausiliari, nonché le persone interposte, chiamate a deporre, in ogni stato e grado del procedimento, in ordine alle attività svolte sotto copertura ai sensi dell'art. 9 legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni, invitati a fornire le proprie generalità, indicano quelle di copertura utilizzate nelle attività medesime»192, la sua brevità rende lampante il vulnus legislativo in merito

alle certezze processuali fino ad ora consolidate. Da più parti era stato sollevato il problema della tutela dell'identità degli infiltrati, ma allo stesso tempo era comunque possibile trascurare gli aspetti concernenti il coordinamento di una simile previsione con i principi costituzionali relativi al diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. e all'art. 111 Cost. commi 3 e 4, dove è richiesto, nel corso dell'esame del teste a carico, la conoscenza dell'identità del soggetto da parte della difesa e del giudice, in modo tale da rendere possibile il compimento di eventuali accertamenti sull'attendibilità del soggetto esaminato.

Per quanto attiene all'equità dello svolgimento giurisdizionale, la norma in questione presta il fianco a diversi rilievi critici: posto che sicuramente il pubblico ministero, parte pubblica nella fase processuale, conosce la reale identità del testimone già nella fase embrionale e di svolgimento dell'azione undercover in quanto capo delle indagini193, nulla viene detto in merito alla

191 G. Barrocu, op. cit. pag. 115

192 Cod. proc. Pen. Art. 497 comma 2-bis

193 L. Filippi, op. cit., pag. 166, il quale afferma che è ovvio che il pubblico ministero, al quale spetterà anche vigilare sulla riservatezza del suo ufficio, già conosca il nominativo dell'ufficiale, in quanto, a mente del comma 4 dell'art. 9 L.

conoscibilità del nominativo del teste né da parte del giudice dotato di competenza funzionale né da parte dell'avvocato difensore, in quanto entrambi non hanno accesso al fascicolo delle indagini, in cui è contenuto il reale nominativo degli operatori sotto copertura. Di converso, la disposizione in questione ha il merito di aver risolto il problema interpretativo relativo all'utilizzabilità della videoconferenza degli agenti sotto copertura194; di fatto, nella sua formulazione originaria, non tutte le operazioni sotto copertura erano disposte per la repressione delle fattispecie di reato indicate nell'art. 147-bis c.p.p, ma, se consideriamo che l'art. 51 comma 3-bis c.p.p si riferisce a tutti i delitti relativi alla tratt di persone e riduzione in schiavitù, ai delitti di criminalità organizzata di stampo mafioso, al sequestro di persone a scopo di estorsione ed al traffico di stupefacenti, e che l'art. 407 comma 2 let. A richiama i delitti di associazione terroristica ed eversione dell'ordinamento costituzionale, nella previsione dell'art. 147-bis c.p.p vi rientrano la gran parte dei reati per cui è possibile attivare operazioni undercover.

Inoltre, per le ipotesi che potevano rimanere escluse da questa previsione, era possibile comunque fare ricorso a quanto stabilisce l'ultimo comma dell'art. 147-bis disp. Att. c.p.p, che, con una disposizione residuale, prevede la possibilità di utilizzare la videoconferenza a richiesta di parte quando venga ordinata la nuova assunzione di un soggetto o vi siano gravi difficoltà ad assicurare la comparizione dello stesso.

Il legislatore, con l'art. 8 comma 4 della L. 136/2010, è intervenuto direttamente sulla rubrica – oggi modificata in “esame degli agenti sotto copertura, delle persone che collaborano con la giustizia e degli imputati in reato connesso” – e sul testo dell'articolo contenuto nelle dispozioni di attuazione del codice di procedura penale: è stato, infatti, introdotto il comma

146/2006, quando gli viene trasmessa comunicazione dell'inizio dell'operazione, se necessario o se richiesto, gli viene trasmesso anche il nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria incaricato dell'operazione

194 M. Bordieri, L'impiego della videoconferenza nella cooperazione giudiziaria fra stati, in Cass. Pen. 2003, 1112

1-bis195 ed al comma 3 la lettera c-bis196 dell'art. 147-bis disp. Att. c.p.p, e ciò, pertanto, ha fatto sì che si sia ottenuta una tutela completa dell'identità e dei connotati fisici di tutti i soggetti, anche privati, che siano stati impiegati nelle operazioni undercover: dalla modifica all'art. 115 disp. att., in virtù della quale le annotazioni degli atti di polizia giudiziaria contengono le generalità di copertura utilizzate dagli operatori nel corso delle attività simulate, alla modifica dell'art. 147-bis disp. Att., secondo cui la deposizione in dibattimento degli agenti segreti viene eseguita con le cautele necessarie alla tutela ed alla riservatezza della persona sottoposta ad esame e, inoltre, salvo che il giudice ritenga assolutamente necessaria la presenza della persona da esaminare, l'esame a distanza dei dichiaranti con sistemi di videoconferenza197.

C) LE DICHIARAZIONI RESE DALL'INDAGATO ALL'AGENTE

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