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LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

PROFILI PROCESSUALI DELLA FIGURA

D) IL DIVIETO EX ART 63 C.P.P

Il legislatore ha inteso affiancare al divieto di testimonianza, riportato nella lettera dell'art. 62 c.p.p, un'ulteriore prescrizione a difesa del principio sancito dal brocardo latino 'nemo tenetur se deterge': infatti è ritenuto da molti come l'art. 63 c.p.p offra una tutela anticipata del diritto al silenzio operante in sede di interrogatorio e, più in generale, del diritto di difesa di chi ancora non rivesta una qualsiasi delle qualifiche processuali219.

Alcuni autori220, in particolare, hanno sottolineato come la disposizione abbia una portata inferiore rispetto al divieto ricavabile dall'art. 62 c.p.p poiché dovrebbe riferirsi alle sole dichiarazioni rese in sede di esame davanti alla polizia giudiziaria o all'autorità giudiziaria da persona che doveva essere sentita fin dall'inizio in qualità di imputato o di indagato: l'applicazione di questa interpretazione anche relativamente ad operazioni sotto copertura fa sì che «alle dichiarazioni rese all'agente di polizia giudiziaria che funga da simulato acquirente di sostanze stupefacenti non può trovare applicazione il limite di utilizzabilità previsto dal comma 2 dell'art. 63 c.p.p, poiché non si tratta di dichiarazioni rese nel corso di un esame o di assunzione di 219 R.E. Kostoris, sub art. 63 c.p.p, in Commento al nuovo codice di procedura

penale, coordinato da M. Chiavario, vol. 1 Milano 1989, 320 220 v. R. Minna- A. Sutera Sardo, op. cit., 141

informazioni in senso proprio e tali dichiarazioni non costituiscono la rappresentazione di eventi già accaduti o la descrizione di una precedente condotta delittuosa, ma, inserendosi in un contesto commissivo, realizzano la stessa condotta materiale»221. Seguendo l'interpretazione della Suprema corte l'utilizzo del termine 'esame' dovrebbe ricondurre necessariamente la prescrizione all'interno delle dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria in sede di assunzione di informazioni (ex art. 362 c.p.p) o di sommarie informazioni (ex art. 351 c.p.p) da chi viene sentito come persona che può riferire circostanze utili ai fini delle indagini: e, soprattutto, dovrebbe trattarsi di dichiarazioni rese in pendenza di un procedimento, perciò dotate di particolari requisiti formali circa la qualità dei soggetti che vi possono procedere ed alla loro documentazione. Da ciò deriva che, non essendo nota la qualità di chi riceve le dichiarazioni, queste non possono essere ricondotte ad un atto tipico del procedimento quale l'assunzione di informazioni o sommarie informazioni da persona che può riferire circostanze utili ai fini delle indagini: così l'applicazione dell'art. 63 c.p.p sarebbe impedita dall'impossibilità di riportare la fattispecie all'interno della disciplina dell'art. 351 c.p.p, rientrando invece nei casi di acquisizione di elementi di prova previsti dalle diverse ipotesi legislative.

Altri autori222, invece, hanno presentato una ricostruzione volta a non ritenere applicabile il divieto in oggetto a coloro che siano stati già colpiti da indizi di colpevolezza, esprimendo in modo esplicito quelle che sono le reali preoccupazioni alla base di tale interpretazioni: infatti, applicando il divieto non avremmo per le dichiarazioni in esami spazi che esulino dalle determinazioni finalizzate al prosieguo delle indagini, rimanendo gli spazi di utilizzazione delle dichiarazioni vincolati all'impulso investigativo, senza che vi sia la possibilità di un residuo apporto processuale. Va sottolineato come, una parte della dottrina, avallata da un orientamento della Suprema corte223, si

221 Cass. 28 aprile 1997, cit., 3017

222 G. Ruta, brevi note in materia di dichiarazioni auto indizianti rilasciate

all'infiltrato funzionario di polizia, in Giur. it. 2000, 385; R. Cantone, Tipologia dei dichiaranti e nuove interpretazioni costituzionali dell'art. 208 c.p.p. Cenni sulla deposizione degli agenti infiltrati, in Arch. Nuova proc. Pen. 2004, 256

223 Cass. 31 marzo 1998, in Cass. Pen. 2000, 965 con nota di P. Gaeta, Dichiarazioni di indagato provocate da agenti infiltrati: la libertà di autodeterminazione quale canono di utilizzabilità, ivi, 2002, 968

sia sempre opposta ad una tale ricostruzione interpretativa; la dottrina in questione prende le mossa da un particolare intervento della Corte di Cassazione224, la quale, nel far proprio l'orientamento giurisprudenziale sino a quel momento minoritario, ha risolto il dibattito circa l'art. 63 c.p.p precisando come le dichiarazioni della persona che fin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato o imputato sono inutilizzabili, anche nei cofronti di terzi: così facendo si è voluto recepire ed irrobustire l'impianto di garanzie in favore dell'indagato soprattutto in ambiti dove maggiori sono i rischi di lesione del diritto al silenzio225. La particolarità di questo mutamento di indirizzo da parte dei giudici di legittimità trova la sua motivazione in argomentazioni estremamente tecniche: in un passaggio la corte sostiene che “non sia consentito alla polizia giudiziaria, in un sistema rigorosamente ispirato al principio di legalità, scostarsi dalle previsioni legislative per compiere atti atipici i quali, permettendo di conseguire risultati identici o analoghi a quelli conseguibili con atti tipici, eludano tuttavia le garanzie difensive dettate dalla legge per questi ultimi. Siffatta elusione indubbiamente si verifica quando l'operatore di polizia giudiziaria, non palesandosi come tale, mira ad ottenere dalla persona già colpita da indizi di colpevolezza alcune dichiarazioni che possano servire come prova di essa e della relativa responsabilità; ne consegue che di tali dichiarazioni non può tenersi conto non solo nei confronti di chi le ha rilasciate, ma anche nei confronti degli indagati per il medesimo fatto ovvero per fatti connessi o collegati”226: è evidente come la Corte, in questo passaggio, si riferisca al modello di ricezione di dichiarazioni dall'indagato come un atto a contenuto narrativo dettagliatamente disciplinato in ragione del principio di autodeterminazione dell'imputato. Ogniqualvolta le dichiarazioni dell'indagato vengano rilasciate ad agenti infiltrati si realizza un aggiramento implicito delle norme attraverso l'imposizione di un ruolo attivo nella ricostruzione della fattispecie penale proprio al soggetto che subisce il procedimento227; difatti, in queste circostanze la dissimulazione dell'effettiva

224 Cass. Pen. 9 ottobre 1999, in Cass. Pen. 1997, 2428 225 G. Barrocu, op. cit., 148

226 Cass. 31 marzo 1998, 965

227 P. Gaeta, op. cit., 973, in proposito osserva come si abbia una manipolazione dell'ordine logico in quanto il narrato è acquisito prescindendo dalla previa

qualifica del destinatario delle dichiarazioni altera inevitabilmente la capacità di valutazione e determinazione dell'indagato, suscitando nello stesso “falsi motivi a parlare”228.

Nel confrontare la normativa generale con quella che si vorrebbe ricavare dalla particolare disciplina in materia di operazioni sotto copertura, si evince che, qualora mal interpretate, le norme possono giungere a stravolgere il sistema processuale a partire dai suoi principi cardine: otterremmo cioè il deteriore risultato di privare l'indagato della garanzia della presenza del proprio difensore, nonché degli avvertimenti contenuti al comma 3 art. 64 c.p.p, proprio in una circostanza in cui la presenza di questo risulterebbe fondamentale per non pregiudicare le sue prerogative.

In definitiva, l'interpretazione che rende inapplicabile il disposto dell'art. 63 c.p.p alle dichiarazioni rilasciate ad agenti infiltrati va decisamente criticata229: infatti, se è vero che lo strumento investigativo di rottura, rappresentato dall'operazione sotto copertura, nasce per soddisfare esigenze di ricerca della prova in circostanze di fatto in cui risulta particolarmente complesso rinvenirle, è anche vero che non può giungere sino a rendere vane le garanzie fondamentali del sistema processual-penalistico italiano; in altre parole significa affermare l'inefficacia della ricerca di soluzioni alternative agli ordinari strumenti di indagine di un sistema accusatorio-garantista, quando in realtà l'unico obiettivo è il ritorno a logiche nettamente inquisitorie: l'imputato è depositario di una verità tanto preziosa da apparire irrinunciabile.

E) LA TESTIMONIANZA ANONIMA: punto di svolta o nodo

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