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LA POSIZIONE PROCESSUALE DELL'AGENTE SOTTO COPERTURA: TESTE O COIMPUTATO?

LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

PROFILI PROCESSUALI DELLA FIGURA

A) LA POSIZIONE PROCESSUALE DELL'AGENTE SOTTO COPERTURA: TESTE O COIMPUTATO?

Nel dibattito circa le operazioni sotto copertura, da sempre, la dottrina e la giurisprudenza hanno messo in evidenza la particolare problematica della possibile qualifica processuale da dare all'agente sotto copertura, ovvero il problema, per quest'ultimo, di poter rendere una vera e propria testimonianza sui fatti e le dichiarazioni apprese o di essere sentito come persona in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini: posto che la compatibilità con la qualifica di testimone sia strettamente legata all'esistenza di un obbligo per il pubblico ministero di procedere all'automatica iscrizione nominale dell'ufficiale responsabile dell'operazione nel registro delle notizie di reato, pur in presenza della causa di giustificazione speciale.

Per cercare una soluzione a questo annoso tema, oggetto di innumerevoli dibattiti dottrinali, bisogna partire da un primo dato che considerava la mera inosservanza da parte degli ufficiali incaricati della procedura prevista dalle singole normative speciali come un'eventuale fonte di responsabilità disciplinare, che non ha conseguenze sulla loro capacità di rendere una testimonianza173 secondo le regole previste per questo tipo di prova. Questo primo dato di fatto sta a significare che i presupposti procedurali indicati nelle diverse norme speciali – quali, ad esempio, il difetto di immediata comunicazione all'autorità giudiziaria – non influiscono in modo diretto sull'operatività della causa di giustificazione speciale: seguendo questa interpretazione si tende a non assoggettare la scriminante in questione a rigorosi limiti, così da evitare pericoli all'incolumità degli agenti nonché alla stessa genuinità delle indagini. L'unico difetto di questa interpretazione è da sempre stata la forte resistenza che ha subito da parte della giurisprudenza, quasi in maniera esasperata, a tal punto che il legislatore è dovuto intervenire 173 Cass. 30 agosto 1993, in Giur. it. 1994, II, 836; Cass. 10 aprile 1995, in Cass. Pen.

direttamente sul testo della norma stessa: infatti l'art. 8 della L. 136/2010 ha introdotto il comma 1-bis all'art. 9 della L. 146/2006 secondo cui la causa di giustificazione speciale si applica agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria quando l'attività undercover sia condotta in attuazione di operazioni autorizzate e documentate come prescritto dallo stesso articolo: è stato così reso esplicito che il rispetto della procedura – tanto della preventiva autorizzazione quanto delle successive comunicazioni – costituisca il requisito indispensabile per l'applicazione della scriminante speciale ex comma 1 art. 9 L. 146/2006. Ora il punto da analizzare attentamente è che il tema non deve essere affrontato esclusivamente nell'ottica patologica del mancato rispetto delle norme procedurali, in quanto, piuttosto, è necessario chiedersi se l'inquadramento di detta causa di giustificazione speciale all'interno delle ordinarie regole codicistiche, ispirate come sappiamo al principio di obbligatorietà dell'azione penale, possa configurare un'incompatibilità fisiologica dell'agente undercover a rendere testimonianza174: al fine di comprendere a pieno la questione, bisogna premettere che, qualora l'agente sia stato formalmente indagato per il reato di concorso nell'attività illecita a norma degli artt. 61, 197 e 210 c.p.p – seguendo l'interpretazione posta in essere dalla giurisprudenza costituzionale175 – non potrà essere sentito come testimone nel corso del procedimento, anche laddove la relativa posizione fosse stata definita con provvedimento di archiviazione: a proposito di questa considerazione è opportuno ricordare come, nel silenzio della legge, si siano formati tre diversi 174 v. G. Barrocu, op. cit. pag. 103

175 v. C. cost. 4 marzo 1992 n. 108, in Cass. Pen. 1992, 1471, la Corte afferma che

«la norma di garanzia contenuta nell'art. 197, comma 1 lett. a) c.p.p. deve essere applicata alla persona sottoposta alle indagini preliminari così come essa viene applicata all'imputato; vale a dire che il combinato disposto di tal norma con l'art. 61, comma 1, vieta l'assunzione come testimone delle persone sottoposte alle indagini preliminari anche se nei loro confronti sia stato pronunciato decreto di archiviazione. Tale conseguenza è assolutamente coerente al sistema, dato che la ratio su cui si fonda l'esclusione dall'ufficio di testimone dell'imputato nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, quella cioè del rispetto del principio secondo cui nemo tenetur se detegere (in quanto l'obbligo di rispondere secondo verità potrebbe comportare il rischio di revoca della sentenza ai sensi dell'art. 434), vale anche per la persona sottoposta alle indagini preliminari nei cui confronti sia stato pronunciato decreto di archiviazione, essendo prevista per questa la possibilità di riapertura delle indagini (art. 414 c.p.p.)»

orientamenti giurisprudenziali: il primo considera i soggetti la cui posizione processuale sia stata definita con decreto di archiviazione come testimoni comuni, interpretando l'art. 197 c.p.p in base al canone “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”176; il secondo, non tenendo in debito conto l'eventualità che

il decreto di archiviazione potrebbe essere revocato in qualsiasi momento, ha equiparato tali sogetti agli imputati giudicati con sentenza irrevocabile così da inserirli nel novero dei testimoni assistiti177. Infine, il terzo ed ultimo orientamento equipara i soggetti in questione agli imputati con procedimento pendente, ritenendo perciò che essi siano incompatibili se indagati per concorso nel medesimo reato, e che debbano essere assistiti dal difensore se abbiano reso dichiarazioni concernenti l'altrui responsabilità e siano indagati connessi teleologicamente o collegati178; per completezza espositva è opportuno ricordare come, grazioe ad un recente intervento della Corte Costituzionale, il coimputato prosciolto con formula piena (es. per non aver commesso il fatto), chiamato a rendere dichiarazioni in un procedimento contro il coimputato o l'imputato connesso o collegato, non deve essere sentito più come testimone assistito, ex art. 197-bis comma 3 c.p.p, né le sue dichiarazioni devono essere necessariamente accompagnate da altri elementi di prova ex art. 197-bis comma 6179.

Terminato questo breve excursus dottrinale in caso di agente indagato per il reato di concorso nell'attività illecita, diventa necessario ed estremamente importante inquadrare la posizione dell'ufficiale di polizia che abbia agito nel rispetto della procedura indicata nella normavita speciale ovvero di quegli agenti che, pur non avendo osservato questa procedura, si trovino nella condizione che permette di applicare la causa di giustificazione ex art. 51 c.p; sul punto vengono in gioco due ideologie ben marcate: il garantismo opposto al recupero del sapere investigativo.

Partendo dalla seconda ideologia, proprio per evitare che si disperdano i risultati delle indagini, l'ufficiale di polizia che procede legittimamente ad una qualsiasi delle attività che rientrano, a vario titolo, fra quelle che la legge 176 v. Trib. Fermo, 11 febbraio 2003, in Arch. Nuova Proc. Pen. 2003, 145

177 Cass. 1 febbraio 2005, in CED n. 231851

178 v. C. Conti, Questioni controverse in tema di prova dichiarativa a quattro anni dalla legge 63/2000, in Cass. Pen. 2005, 663

autorizza sarebbe insuscettibile di essere sottoposto ad indagini preliminari180: sarebbe solo il pubblico ministero a dover valutare la condotta dell'agente e, qualora essa risulti coperta dalla causa di giustificazione ex art. 51 c.p, questi non procederebbe all'iscrizione nominale dell'agente stesso nel registro delle notizie di reato così da rendere superfluo un formale provvedimento di archiviazione; quindi sarebbe proprio la liceità della condotta, determinata dalla accertata presenza della scriminante, ad escludere la sussistenza della notitia criminis che imponga al pubblico ministero di procedere all'iscrizione ex art. 335 c.p.p181. Dal punto processuale questa interpretazione comporta che, se non si procede penalmente contro l'infiltrato, nessun ostacolo normativo sussiste in ordine alla possibilità di sentirlo come persona informata sui fatti od esaminarlo come testimone nel procedimento penale instaurato a seguiro dell'operazione simulata182.

Nel suo complesso, questa impostazione dotttrinale – ancorché avvalorata da un intervento della giurisprudenza di legittimità183 – presta il fianco ad alcune e diverse critiche: anzitutto sarebbe inconcepibile che al termine di una complessa attività undercover, finalizzata all'acquisizione di elementi probatori, le prove decisive presentate in dibattimento dal pubblico ministero abbiano ad oggetto la sola testimonianza dell'agente, è plausibile che egli fornisca prove dotate di un maggior grado di oggettività e terzietà rispetto ad una sua testimonianza sui fatti: perciò le sue dichiarazioni dovranno aggiungersi ad altri elementi di prova e potranno avere un'utilità anche per valutare l'intensità del proposito criminoso da parte del soggetto coinvolto ai fini della determinazione della pena ex art. 133 c.p. In secondo luogo, 180 Cass. 10 aprile 1995, cit. 2388

181 Cass. 3 dicembre 1988, in Cass. Pen 1999, 1608 in cui la Corte afferma «dato che la scriminante esclude l'antigiuridicità del fatto, l'ufficiale di polizia giudiziaria, avendo operato lecitamente, non doveva essere sottoposto ad indagini preliminari e perciò le sue dichiarazioni sono pienamente utilizzabili, non cadendo sotto il divieto sancito all'art. 63 c.p.p»

182 G. Barrocu, op. cit., pag. 105

183 Cass. 28 maggio 2008, in Cass. Pen. 2009, 2958 in cui la Corte si limita a liquidare la questione relativa alla qualificazione processuale dell'agente

infiltrato sostenendo che «se si esclude la punibilità per aver agito in conformità ai presupposti ed ai limiti imposti dalla legge, questi assume a tutti gli effetti la qualifica di testimone, pertanto alle dichiarazioni dell'agente che agisca in presenza dei presupposti e secondo le modalità di legge non si applica il criterio valutativo ex art. 192 commi 3 e 4 c.p.p»

nell'inverosimile ipotesi in cui l'attività possa essere giustificata alla luce della normativa generale, gli stretti limiti imposti dalla legge richiedono una valutazione approfondita e dettagliata della condotta dell'agente infiltrato: perciò, il pubblico ministero, nello svolgimento degli accertamenti, dovrà procedere indubbiamente all'iscrizione nominale, in quanto non trattandosi di una mera verifica superficiale sarà necessaria una vera e propria indagine per valutare la legittimità dell'operazione svolta dall'agente stesso. Le difficoltà che il pubblico ministero incontra nel valutare la sussistenza della scriminante speciale o generale sembrano dunque porsi come il maggiore ostacolo alla possibilità che l'agente, rispettoso delle procedure, non venga formalmente iscritto nel registro degli indagati184.

A ben vedere, anche qualora il pubblico ministero – data la sua posizione direttiva all'interno dell'indagine penale – sia in grado di escludere l'esistenza di profili di responsabilità penale a carico degli agenti, proprio il suo coinvolgimento diretto nell'operazione lo rende inadatto ad effettuare questo tipo di valutazione185, essendo il pubblico ministero chiamato a verificare l'operatività della scriminante lo stesso che ha diretto l'operazione sotto copertura.

Dunque, data questa analisi, appare più coerente con il sistema processuale nel suo insieme, incentrato come già detto sull'obbligatorietà dell'azione penale, che la ricorrenza in concreto della menzionata causa di giustificazione debba essere rimessa alla valutazione del giudice, dovendo escludere che vi possa procedere in maniera unilaterale ed insindacabile il pubblico ministero186: perciò il pubblico ministero dovrà procedere all'iscrizione dell'agente infiltrato nel registro delle notizie di reato (ex art. 335 c.p.p) e, successivamente, presentare al giudice per le indagini 184 G. Barrocu, op. cit., pag. 110

185 M. Garavelli, Meccanismi processuali repressivi ed interventi preventivi nella nuova disciplina relativa agli stupefacenti, in Legisl. Pen. 1992, 190, l'Autore arriva ad una diversa conclusione, infatti egli afferma che «nell'informativa al pubblico ministero dovrà essere menzionato l'ufficiale di polizia giudiziaria autore del fatto, poiché quest'ultimo assume formalmente la qualità di indagato. Per perdere tale qualità – anche al fine di essere sentito come testimone in dibattimento – occorre che egli riassuma una posizione di estraneità alla quale si può pervenire soltanto attraverso una richiesta di archiviazione nei suoi

confronti, avanzata dal pubblico ministero ex art. 408 c.p.p e 125 disp. att.» 186 G. Amato, Teoria e pratica, cit. pag. 222

preliminari richiesta di archiviazione; così va da sé che l'iscrizione dell'agente undercover ne determina, in genere, l'incompatibilità ad acquisire la veste di testimone.

Concludendo, si può sostenere che l'agente potrà essere sentito con il mezzo previsto dall'art. 210 c.p.p per i coimputati, e che le sue dichiarazioni potranno essere utilizzate dal giudice unitamente alle atre prove rinvenute nel corso dell'operazione: precisando, quindi, che l'obbligo di indagine formale nei confronti dell'agente pur impedendogli di testimoniare, non comporta una dispersione assoluta dell'elemento probatorio.

B) LA TUTELA DELL'IDENTITÀ DELL'AGENTE UNDERCOVER

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